LE ‘NOSTRE’ PAROLE DI ZARATHUSTRA

Postato da Admin il 08 SET 2011

"L’editio sincera di Nietzsche, la collezione “Alter ego” di Ar, che ospita i testi del grande filosofo tedesco con l’originale a fronte, è giunta alla prova decisiva: la versione dello Zarathustra. Opera da far tremare le vene e i polsi per la profondità teoretica, per la purezza stilistica, per il labirinto di echi e rimandi in essa contenuti (illuminati con sorprendente virtuosismo dal Curatore). Il volume (di 590 pagine) vedrà la luce tra qualche mese, ma, data la sua importanza, vi proponiamo di divenirne già sottoscrittori da ora.

LE "CENTURIE NERE" PRECURSORI RUSSI DEL FASCISMO?

Postato da Admin il 28 giu 2011

"Il Fascismo non è nato in Italia e in Germania. Ebbe la sua prima manifestazione in Russia, col movimento dei “Cento Neri”, completo già all’inizio del 900 nelle sue azioni e nei suoi simboli: la violenza politica, l’antisemitismo feroce, i neri stendardi col teschio. “Maurizio Blondet in -Complotti- (Il Minotauro, Milano, 1996, pag.83)...

Steno Lamonica intervista Silvia Valerio

Postato da Admin il 07 SET 2011

Silvia Valerio, ha pubblicato nel 2010 il libro “C’era una volta un presidente”, la fabula milesia dei suoi diciott’anni. Tutt’attorno, eroi, prove, comparse, antagonisti, e qualche apokolokyntosis. "L’invidia… talvolta, in uno di quelli che volgarmente chiamano trip mentali, vedo di fronte a me una nuova versione del Giudizio Universale, un po’ psichedelica e sadica, dove Dio, o chi per lui, affossa ed esalta in base alle reazioni delle anime di fronte a un’opera di Botticelli. Lo so, sono rimasta scioccata da chi al liceo sosteneva che Botticelli i piedi li disegnasse male."

COME IL MONDO ANTICO È DIVENTATO CRISTIANO

Postato da Admin il 27 Set 2011

"Da parte di diversi autori è stato osservato che il cristianesimo si è potuto diffondere con relativa rapidità nel mondo antico, incontrando relativamente poca resistenza, in una maniera che è stata paragonata a un contagio, un'epidemia le cui cause sembrano in qualche modo misteriose, nonostante la sua evidente carica di sovversione e dissoluzione nei confronti del mondo e della cultura antichi.

La Spagna tra Goti Arabi e Berberi in uno degli ultimi scritti di J.A.Primo De Rivera

Postato da Admin il 21 Ott 2011

Ebbe a scrivere Maurice Bardeche in “Che cosa è il Fascismo” (Volpe, Roma, 1980, pag.47) “Il solo dottrinario di cui i fascisti del dopoguerra accettano le idee all’incirca senza restrizioni, non è né Hitler né Mussolini, ma il giovane capo della Falange, il cui destino tragico lo sottrasse all’amarezza del potere ed ai compromessi della guerra”, Frase bellissima come tante altre nel libro del Bardeche, ma che non ha mai completamente convinto chi scrive.(1).

Ebbe a scrivere Maurice Bardeche in “Che cosa è il Fascismo” (Volpe, Roma, 1980, pag.47) “Il solo dottrinario di cui i fascisti del dopoguerra accettano le idee all’incirca senza restrizioni, non è né Hitler né Mussolini, ma il giovane capo della Falange, il cui destino tragico lo sottrasse all’amarezza del potere ed ai compromessi della guerra”, Frase bellissima come tante  altre nel libro del Bardeche, ma che non ha mai completamente convinto chi scrive.(1).
Senza voler togliere nulla alla figura di Josè Antonio Primo de Rivera, una delle più nobili del fascismo come “fenomeno europeo”, si deve ammettere che il suo pensiero, al pari di quello di tanti altri del campo "fascista" non riuscì a giungere ad una formulazione precisa, e per quel che è possibile, "definitiva”. Il che contribuisce anche a spiegare l’insuccesso dei gruppi neo falangisti che hanno tentato di proseguire l’azione della Falange dopo la parentesi franchista.(2)

Certamente si deve tenere conto soprattutto della precoce morte del capo falangista assassinato dai “repubblicani”il 20 XI nel Novembre 1936, come è noto, infatti, Josè Antonio venne arrestato il 14 marzo di quell’anno, (il 18 luglio scoppiò l’insurrezione nazionale). Il capo della Falange, in carcere, ebbe modo di scrivere vari saggi tra cui le note che qui presentiamo datate 13 agosto 1936, a codesto scritto è stato dato il titolo “Germanici contro Berberi”; esso venne reso noto in Spagna soltanto, se non erro, nella seconda metà degli anni 90. Lo presento ai lettori soprattutto allo scopo di far conoscere anche in Italia un aspetto poco noto del pensiero di Josè Antonio, facendolo precedere dalle considerazioni fatte a riguardo di tale scritto  da Stanley G.Payne  in “Fascism in Spain 1923-1977” (University of Wisconsin Press.USA.1999.pagg221-222 : “Il saggio sosteneva una concezione razziale della storia spagnola, fortemente unita a considerazioni storiche, religiose e culturali che Josè Antonio non aveva mai esposto pubblicamente.  In tale scritto egli affermava che la Reconquista era stata una lotta tra un Nord germanico(visigoto), cattolico romano, ed europeo ed un Sud, dominato da una elite araba, ma composto essenzialmente da una popolo “indolente fantasioso e melanconico” andaluso, ispanico berbero: un diverso stock etnico che era o islamico o sempre più  indifferente alla religione. “In questa lotta i Berberi e gli aborigeni  presero parte  talvolta come semplici fantaccini e talvolta semplicemente come rassegnati sudditi di uno o dell’altro gruppo di conquistatori, seppur con una marcata  preferenza, almeno in gran parte della Spagna, per i Saraceni”; “dalla parte dei cristiani i principali capi erano tutti di sangue goto…. La Reconquista fu una impresa europea, cioè, in quel tempo, germanica. Molte volte, in effetti, liberi cavalieri provenienti dalla Francia e dalla Germania  vennero in Spagna a unirsi alla lotta contro  i Mori. I regni che essi fondarono ebbero innegabili fondamenta germaniche…. Considerevoli parte della Spagna, specialmente le Asturie ,il Leon e il Nord della Castiglia furono germanizzate… nel corso di un millennio. Senza considerare il fatto che in codeste zone l’affinità etnica con il Nord Africa era minore che nel Sud e nel Levante” La monarchia unificata del quindicesimo secolo aveva continuato la missione storica della cultura cristiano cattolica ed europea, in primo luogo unificando la Spagna e poi  creando un impero universale e difendendo la causa del cattolicesimo sia in Europa che nel resto del mondo “La conquista delle Americhe0” fu anch’essa un’ impresa cattolica e germanica, dotata di un “senso di universalità privo delle pur minime radici celtibere o berbere. Solo Roma e la cristianità germanica avrebbero potuto trasmettere alla Spagna la… vocazione cattolica alla conquista dell’America”. Ma la Spagna non è mai diventata omogenea né culturalmente né etnicamente, i conflitti sociali e politici dei tempi più recenti rappresentano in larga misura la rivolta  del substrato berbero-plebeo della Spagna meridionale  che è stata conquistata ma mai interamente assimilata.  “La discendenza berbera che si manifesta sempre di più appare in tutti gli intellettuali di sinistra da (il poeta Mariano Josè de ) Larra a oggi. Neppure l’attaccamento a mode straniere riesce  a nascondere in tutta la produzione letteraria degli ultimi 100 anni il risentimento dei vinti. In ogni scrittore di sinistra si trova il morbido desiderio di demolire, tanto persistente e di cattivo gusto che può essere alimentato solo dall’animosità propria di una casta umiliata…. Quello che essi odiano senza rendersene conto, non è il fallimento delle istituzioni  che essi denigrano, ma l’antico trionfo di queste, un trionfo sopra di loro… Essi sono i venti berberi che non perdoneranno mai il fatto che i conquistatori - Cattolici e Germanici - portavano il messaggio dell’Europa”. Nello stesso tragico periodo Josè Antonio scrisse sull’aristocrazia e  sulla  concezione della storia che andava maturando e che rivela forti influenze spengleriane.

E passiamo ora al testo di Josè Antonio
 “Che cosa è stata la Reconquista?" Una visione superficiale della storia tende a considerare la Spagna come una sporta di sfondo o di substrato permanente sul quale sfilano le diverse invasioni, alle quali noi spagnoli assistiamo come spettatori in quanto partì di un certo elemento aborigeno.
Dominazione fenicia, cartaginese, romana, gotica, africana……. Fin da bambini abbiamo assistito mentalmente a tutte queste invasioni come soggetti passivi, vale a dire come membri del popolo invaso. Nessuno di noi, nella sua romanzesca infanzia ha mai smesso di sentirsi il successore di Viriato, di Sertorio, degli abitanti di Numanzia (3). L’invasore è sempre stato il nostro nemico; l’invaso il nostro compatriota.
Quando le cose sono considerate con più calma, quando si matura, sorge questa perplessità: dopo tutto - ci si chiede - non solo la mia cultura ma anche il mio sangue e le mie viscere hanno più in comune con l’aborigeno celtibero o con il romano civilizzato? Vale a dire: non avrò il perfetto diritto, anche per un diritto del  mio sangue, a guardare la terra di Spagna con gli occhi dell’invasore romano; a considerare con orgoglio questa terra non come la remota culla dei miei avi, ma come incorporata dai miei avi a una nuova forma di cultura e di esistenza? Chi mi dice che all’assedio di Numanzia, vi fosse all’interno delle mura più mio sangue, più miei valori culturali, che negli accampamenti degli assedianti?
Forse possono capire meglio tutto ciò specialmente  coloro che vengono da famiglie  che hanno visto nascere nella America ispanica molte loro generazioni. I nostri avi residenti al di là dell’Atlantico. come i nostri odierni parenti che risiedono laggiù, si sentono tanto americani quanto noi ci sentiamo spagnoli; però sanno che la loro qualità di americani gli viene  in quanto discendenti di coloro che dettero all’America la sua forma attuale. Essi sentono l’America come interiormente loro perché i loro avi la conquistarono. Quali avi venivano da un’ altra terra che è ora   per i loro discendenti più o meno straniera. In cambiò la terra in cui ora essi vivono, a loro straniera secoli or sono, è ora la loro terrà, definitivamente incorporata da alcuni loro remoti antenati al destino vitale della loro stirpe.
Codesti punti di vista si basano su due diversi modi di intendere la patria: o come basata su una  terra o come fondata su di un destino. Per gli uni la patria è la base fisica della  culla in cui vennero posti;per loro ogni tradizione è una tradizione legata ad un determinato spazio, geografica. Per gli altri la patria è la espressione  fisica di un destino; la tradizione, intesa in questo modo, è soprattutto temporale, storica. ”
Dopo questa previa delimitazione di concetti è possibile riprendere la domanda che ci ponevamo all’inizio: che cosa fu la Reconquista? Già lo si sa, da un punto di vista insegnatoci fin dall’infanzia, fu il lento recupero della terra spagnola da parte degli spagnoli contro i mori che la avevano invasa. Però non è così. In primo luogo  i mori (è più esatto chiamarli “mori” che “arabi”, la maggior parte degli invasori erano barbareschi (berberi) del Nord Africa; gli Arabi, razza di molto superiore a loro, formavano solo una minoranza dirigente, occuparono quasi totalmente  la penisola iberica in poco tempo più di quello necessario per una presa di possesso materiale, senza lotta. Dal Guadalete (anno 711) fino a Cavadonga (anno 718)(4) ) la Storia non  parla di alcuna battaglia tra  stranieri  e indigeni. Persino il regno di Todomir, nella Murcia, si formò grazie a  compromessi con i mori. Tutta l’immensa Spagna fu occupata pacificamente, naturalmente compresi gli spagnoli che vi abitavano. Quelli che si ritirarono fino alle Asturie  erano i superstiti dei dignitari e i militari goti, cioè di coloro che tre secoli prima erano stati, a loro volta, considerati degli invasori. Il substrato popolare indigeno (celtiberico,  semitico in gran parte affine ai nordafricani nell’altra, il tutto più o meno romanizzato) erano tanto estraneo ai Goti quanto agli Agareni appena arrivati.(5)
In più, costoro sentivano più motivi di simpatia etnica e di costumi con i popoli vicini dell’altro lato dello stretto che con i biondi invasori provenienti dalla regione del Danubio giunti tre secoli prima. Probabilmente la massa del popolo spagnolo  sentì molto più di suo gusto l’ essere governata dai mori che dominata dai  Goti. Questo per quanto riguarda l’inizio della Reconqusita, della fine non vi è niente da dire. Dopo 600,700 e,in alcuni luoghi, quasi 800 anni di convivenza, la fusione del sangue e di costumi tra invasori e berberi era ormai indistruttibile:mentre la compenetrazione tra indigeni e goti, ostacolata per 200 anni dal dualismo giuridico e sempre rifiutata dal sentimento  razziale dei germanici, non cessò mai di essere superficiale.
La Reconquista non è, dunque,. un’impresa del popolo spagnolo contro un’invasione straniera; è, in realtà, una nuova conquista germanica; una lotta plurisecolare per il potere militare e politico tra una minoranza semitica di una gran razza -gli Arabi- e una minoranza ariana anch’essa di una grande razza -i Goti-, a questa lotta  presero parte berberi e aborigeni come carne da cannone (gente de tropa) come sudditi rassegnati    dell’uno o dell’altro dominatore, forse con una marcata preferenza, almeno per gran parte del territorio, per i saraceni.
Fino a tal punto la Reconquista è stata una lotta tra fazioni che a nessuno è mai capitato di chiamare “spagnoli” quelli che combattevano contro gli agareni; ma costoro  sono stati definiti “i cristiani” in opposizione ai “mori”. La Reconquista fu una guerra per il potere politico e militare tra due popoli dominatori, polarizzata intorno  a una lotta religiosa.
Dalla parte cristiana i capi principali erano tutti di sangue gotico. Pelayio lo si innalza sul pavese a Covadonga come continuatore della Monarchia seppellita presso il Guadalete. I capitani dei primi nuclei cristiani        hanno inequivocabile aria di principi di sangue e mentalità germanica. Inoltre si sentono legati fin dal principio alla grande comunità cattolico-germanica europea. 
Quando Alfonso il Savio aspira al trono imperiale, non adotta un atteggiamento stravagante: fa una richiesta, sulla base della maturità politica del suo regno, per quello che poteva vivere da secoli nella coscienza di principe cristiano-germanico di ognuno dei capi degli Stati che andavano sorgendo nell’ambito della Reconquista.
 La Riconquista è una impresa europea - vale a dire , in quel tempo -, germanica. Molte volte accorrono a combattere contro i Mori liberi signori della Francia e della Germania. I regni che si formano hanno un’innegabile impronta germanica. Forse, e non vi fu stato in Europa che avesse meglio impresso il sigillo europeo del germanesimo che la contea di  Barcellona e il regno di Leon. 
Schematicamente - astraendo delle migliaia di spostamenti e  le reciproche influenze tra  tutti gli elementi etnici componenti etniche rimescolate  per 8oo anni - la trionfante Monarchia dei Re Cattolici è la restaurazione della Monarchia gotico-spagnola, cattolico-europea rovesciata nel secolo VIII. La mentalità popolare, inoltre, allora difficilmente  distingueva tra la  nazione e   il suo re. D’altra parte, estese zone della Spagna, particolarmente le Asturie, il Leon e il Nord della Castiglia erano state germanizzate, quasi senza soluzione di continuità, per 1.000 anni (dagli inizi del V secolo fino alla fine del XV, senza altre  interruzione che gli anni che vanno dal Guadalete fino al  recupero delle zone settentrionali da parte dei capi goti cristiani) senza contare che l’ affinità etnica degli abitanti di codeste zone con il Nord Africa era molto miniore di quella degli abitanti del Sud e del Levante. L’unità nazionale sotto i Re cattolici è, dunque, l’edificazione dello Stato unitario spagnolo nel senso europeo, cattolico, germanico, di tutta la Reconquista. E il culmine dell’opera di germanizzazione sociale ed economica della Spagna, non lo si dimentichi, perché forse è stato in questo che la costante berbera ha potuto trovare la sua prima possibilità di ribellione
In effetti: il tipo di dominio arabo era soprattutto politico e militare. Gli arabi possedevano solo vagamente il sentimento della territorialità. Non si insignorivano delle terre, in senso strettamente giuridico-privato. Così le popolazioni contadine dei territori maggiormente dominati dagli arabi (Andalusia, Levante) rimaneva in una situazione in cui era loro possibile sfruttare liberamente la terra, in piccole proprietà e, forse anche in forme di proprietà collettive, l’andaluso, aborigeno, semiberbero e la popolazione berbera che alimentò più copiosamente le file arabe, godeva di una pace semplice e libera, inetta a grandi imprese culturali, però deliziosa per un popolo indolente, fantasioso e malinconico come quello andaluso.  Invece i cristiani, germanici, portavano nel loro stesso sangue il sentimento feudale della proprietà. Quando conquistavano delle terre instauravano sopra di esse delle signorie, non solo di carattere puramente politico militare come gli arabi ma patrimoniali allo stesso tempo che politici. Il contadino, nel migliore dei casi, passava allo status di vassallo: con il passare del tempo, quando per l’attenuazione dell’aspetto giurisdizionale, politico, tali signorie andavano accentuando il loro carattere patrimoniale, i vassalli, completamente sradicati, cadevano nella terribile condizione di lavoratori giornalieri.
L’organizzazione germanica, di tipo aristocratico, gerarchico, era, basicamente, molto più dura. Per giustificare tale durezza si impegnava nella realizzazione di un qualche grande compito storico. Era, in realtà, il dominio politico ed economico su un popolo quasi primitivo. Tutta quell’enorme armatura: Monarchia, Chiesa, aristocrazia, poteva cercare di giustificare dei suoi pesanti privilegi a titolo di realizzatrice di un grande destino storico. E lo tentò di farlo percorrendo due strade: la conquista dell’America e la Controriforma.
E’ un luogo comune (messo in circolazione dalla letteratura berbera di cui si parlerà più avanti) il dire che le conquista dell’America è un’impresa nata spontaneamente dal popolo spagnolo, realizzata quasi a dispetto della Spagna ufficiale. Codesta tesi non può essere sostenuta seriamente. Molte spedizioni vennero organizzate, certo, come imprese private, però il senso della cristianizzazione della colonizzazione dell’America è contenuto nel monumento delle Leyes de Indias, opera che racchiude quello che è stato un pensiero costante dello Stato spagnolo attraverso vicissitudini secolari. E la conquista dell’America è anche una impresa cattolico-germanica. Possiede un senso di universalità privo della benché minima radice celtiberica e berbera. Solo Roma e la Cristianità germanica poterono trasmettere alla Spagna la vocazione espansionistica, cattolica, della conquista dell’America. Quello che viene chiamato lo spirito avventuriero spagnolo sarà veramente spagnolo  nel senso aborigeno o berbero o sarà una delle manifestazioni del sangue germanico?. Non si trascuri il dato secondo cui, ancora ai nostri giorni, le regioni da cui parte il maggior numero di migranti, vale a dire, di avventurieri, sono quelle del nord, le più germanizzate, le più europee, quelle che, da un punto di vita di razza e di ciò che è caratteristico,potrebbero definirsi le meno spagnole. Invece è ancora oggi molto grande il numero di Andalusi e abitante del Levante  che si  trapianta nel Marocco, a Orano, in Algeria  e che vivono lì come se fossero del tutto a casa loro, come una ceppo che riconosce la terra lontana da cui sradicarono la sua ascendenza. Questa deriva  meridionale e levantina verso l’Africa non ha nulla in comune con le spedizioni colonizzatrici dirette in America. Inoltre Africa e America sono state sempre quasi le consegne di due partiti politici e letterari spagnoli. Di due partiti che coincidono quasi sempre con quello liberale e quello conservatore, quello popolare e quello aristocratico; il berbero e il germanico. Era cosa quasi obbligatoria che ogni autore avverso all’aristocrazia, alla chiesa, e alla monarchia incorporasse nel suo repertorio frasi come questa “Era meglio che la Monarchia spagnola, invece di estenuare la Spagna nell’impresa americana, avesse mirato alla nostra espansione naturale, quella africana.”
A fianco della conquista dell’America la Spagna germanica (doppiamente germanica sotto la dinastia asburgica) conduce in Europa la lotta cattolica per l’unità. Combatte questa lotta e alla lunga la perde, e conseguentemente, perde L’America. La giustificazione morale e storica del dominio sull’America risiedeva nell’idea dell’unità religiosa del mondo. Il cattolicesimo era la giustificazione del potere della Spagna. Però il cattolicesimo aveva perso la partita. Vinto il cattolicesimo, la Spagna rimaneva priva di un giusto titolo per l’Impero dell’Occidente. La sua credenziale era scaduta. Così si vide l’astuto Richelieu che, per abbassare la Casa d’Austria non ebbe scrupoli ad aiutare i paladini della Riforma. Egli sapeva molto bene che la pietra angolare degli Asburgo era l’unità cattolica della cristianità.
E così, persa la partita prima in Europa, poi in America. quale compito di valore  universale avrebbe potuto addurre la Spagna dominatrice - Monarchia, Chiesa, aristocrazia - per conservare la sua situazione di privilegio? La mancanza dì giustificazione storica causava la dimissione da ogni funzione direttiva, i suoi vantaggi economici e politici rimanevano come   puri abusi. D’altra parte, con  il venir meno di ogni impegno, le classi dirigenti  avevano perso forza e risolutezza, anche per la propria difesa. Si può osservare una serie di fenomeni simili nel culmine della decadenza della  monarchia visigota. Così la forza latente, non ancora estinta, della popolazione berbera sottomessa, intraprendeva apertamente la sua rivincita.
Perché, anche nelle ore di culmine del dominio esercitato su di essa, la “costante berbera” non aveva cessato di esistere e di agire. Le popolazioni sovrapposte, quella dominate e quella dominata: la germanica e quella aborigena berbera, non si erano fuse. E neppure si intendevano tra di loro. Il popolo dominatore stava attento a non mescolarsi con quello soggiogato (fino al 1756 non si abrogò una prammatica di Isabella la Cattolica che esigeva che si provasse la purezza del proprio sangue, ossia, la condizione di cristiano vecchio (6), senza mescolanza con ebrei o mori, anche per svolgere   funzioni con una modestissima autorità. Il popolo dominato, nel frattempo, continuava a detestare quello dominante. Con atteggiamento molto tipico, adottò verso i dominatori un’aria di sottomissione condita di ironia. In Andalusia si arrivò ai più esagerati estremi dell’adulazione; però sotto tale adulazione apparente si ci vendica con la più sprezzante burla verso l’oggetto dell’adulazione stessa. Tale attitudine, quella  burlesca, è la più dolcemente rassegnata che possa adottare un popolo spogliato ed emarginato. Poi si manifesta l’odio, e , soprattutto, il consolidamento permanente  della separazione tra le due etnie. In Spagna l’espressione “il popolo” (“el pueblo”) conserva sempre un tono particolare nutrito di ostilità. Il “popolo ebreo” comprendeva, naturalmente, anche i profeti; l’espressione il  “popolo inglese” include i lord; alla buon’ora  un comune inglese non permetterebbe mai  che non lo si considerasse, sotto la denominazione e di inglese, unito ai nobili primi nobili del paese!. Qui in Spagna non è così: quando si dice “il popolo”, si vuol intendere l’elemento indifferenziato, quello che non viene specificatamente qualificato; quello che non appartiene all’aristocrazia, né alla chiesa, né all’esercito, né a una qualche gerarchia. Lo stesso Don Manuel Azaňa (7)  ha detto: “non credo negli intellettuali, né nei militari, né nei politici, non credo che nel popolo”. Però allora, gli intellettuali, i militari, i politici, al pari degli ecclesiastici e degli  aristocratici, non fanno forse parte  anche loro del popolo?
In Spagna no, perché vi sono due popoli e quando si parla del “popolo”, senza specificare, si allude a quello soggiogato, quello sottratto alla sua sempre rimpiante esistenza primitiva, indifferenziata, antigerarchica e che, proprio per questo, detesta colmo di rancore, ogni gerarchia riconducibile alla stirpe dei dominatori.
Codesta dualità è penetrata in tutte le manifestazioni della vita spagnola, incluso quelle che appaiono meno popolari. Per esempio il fenomeno europeo della Riforma ebbe una versione ridotta, però del tutto impregnata della lotta tra germanici e berberi, tra dominatori e dominati. In Spagna non vi fu un solo caso di principe eretico come ve ne furono in Francia o in Germania. I grandi signori rimasero aggrappati alla religione della loro casta. Ogni eretico, piccolo borghese o letterato, era come un vendicatore degli oppressi. Nella sua dissidenza alitava più che una tematica teologica un’incurabile avversione verso l’apparato ufficiale, formidabile, costituito dalla Monarchia, dalla chiesa, dall’aristocrazia….
E così è stato fino ali tempi più recenti. La linea berbera, sempre più manifesta  man mano vede declinare la forza contraria, si affaccia in tutta l’intellighenzia di sinistra, da Larra (8)   fino ad oggi: né la fedeltà alle mode straniere riesce a nascondere un accento di risentimento proprio dei vinti in tutta la produzione letteraria spagnola degli ultimi cento anni. In qualsiasi scrittore di sinistra è presente un gusto morboso di demolire, tanto persistente e tanto pieno di fastidio che non può essere alimentato che da una animosità personale da appartenente a una casta umiliata. La Monarchia, la Chiesa, l’aristocrazia, l’esercito danno sui nervi agli intellettuali di sinistra, di una sinistra che a questi effetti incomincia già dalla destra. Non è che sottopongano quelle istituzioni a una critica; è che, di fronte ad esse li prende una inquietudine ancestrale  come quelle che prende i gitani quando si nomina la “bicha”(vipera?). In fondo si tratta di   manifestazioni dello stesso richiamo del sangue berbero. Quello che, inconsciamente, loro odiano, non è il fallimento delle istituzioni che essi denigrano ma l’antico trionfo di queste, il trionfo su loro stessi sopra coloro che odiano tali istituzioni. Sono i berberi vinti che non perdonano ai vincitori - cattolici, Germanici -di essere stati i portatori dei valori europei,
Il risentimento ha sterilizzato in Spagna ogni possibilità di cultura. Le classi dominanti non hanno dato nulla alla cultura, il che non suole essere da nessuna parte la loro missione specifica. Le classi sottomesse, per poter produrre qualcosa di considerevole dal punto di vista culturale, avrebbero dovuto accettare il quadro dei valori europeo, germanico. che è quello vigente, ma esso suscitava una infinita ripugnanza, dato che era, in fondo, quello degli odiati dominatori. Così, grosso modo, può dirsi che l’apporto della Spagna alla cultura moderna è uguale a zero; salvo qualche grande sforzo individuale, slegato da ogni scuola, e qualche piccolo cenacolo inevitabilmente avvolto in un alone  di estraneità “(di appartenenza ad un qualche paese straniero)”.
Forse la Spagna andrà a pezzi, dividendosi lungo una frontiera che traccia, nella stessa penisola iberica il vero confine dell’Africa. Forse tutta la Spagna si africanizzerà. Quello che non si può dubitare è che, per molto tempo, la Spagna cesserà di contare qualcosa in Europa. Noi che per solidarietà culturale e anche per una misteriosa voce del sangue ci sentiamo legati al destino dell’Europa, potremo forse mutare il nostro patriottismo basato sulla stirpe che ama questa terra perché i nostri avi la conquistarono per darle forma, in un patriottismo tellurico che ami questa terra per quello che è, nonostante che in essa si sia spento fin l’ultimo eco del nostro destino famigliare?”
Concludendo con qualche mia parola di commento, si può ritenere che si possano trovare in codesto scritto delle affinità con certe idee espresse da Josè Ortega y Gasset (si veda l’antologia ‘Masse e Aristocrazia’ Volpe, Roma, 1972)
Stupisce trovare tale svalutazione dello stesso popolo spagnolo (evidentemente Josè Antonio non poteva risentire delle sue condizioni di prigioniero destinato al plotone d’esecuzione!). Lasciamo da parte la questione delle componenti etniche (berbere o altro) del popolo spagnolo ;degli Arabi possiamo affermare che probabilmente erano ai tempi della Conquista erano almeno parzialmente diversi da quelli attuali: nei secoli essi hanno assorbito il sangue dei popoli sottomessi, a cominciare da quelli negri. La civiltà arabo-islamica del passato, probabilmente è stata oggetto di sopravvalutazione da parte di alcuni storici (un punto questo su cui converrà ritornare in futuro) oggi la si può considerare da un punto di vista spengleriano (e non solo (9)ormai irrimediabilmente decaduta. (Senza parlare degli apporti che all’epoca della sua grandezza ebbe da altri elementi etnici a partire da quelli persiani)
 Quello che a noi interessa è la centralità nello scritto di Josè Antonio della grande impresa della “Riconquista”, si è già detto che la storia dell’Europa può essere, almeno in parte, vista come quella di una “fortezza bianca” assediata e assalita dai popoli asiatici e africani (cfr.Gonzague de Reynold “La Cittadella Assediata” Idee in Movimento, Genova, 2002. Inutile rammentare che l’identificazione tra “cristianità” ed Europa di quei tempi sarebbe oggi del tutto improponibile vuoi per le scelte terzomondiste delle chiese cristiane vuoi per l’ormai irrimediabile scristianizzazione dell’Occidente.
In questo quadro hanno grande importanza sia l’invasione islamica della penisola iberica (favorita, non dimentichiamolo, dalle locali comunità ebraiche) sia la sua Riconquista da parte delle forze europee.
Questa non poté dirsi completata neppure nel fatale 1492.
Noi oggi abbiamo la triste ventura di dover assistere a quella che probabilmente sarà la definitiva invasione del “mondo bianco” (Europa, Nord America, Australia) da parte dei popoli di colore. Delle forze di questa invasione (per ora relativamente pacifica) una componente assai importante è quella islamica e non si può ignorare che nel mondo islamico vi sia chi spera di riconquistare con l’immigrazione quello che l’Islam una volta conquistò e poi dovette abbandonare come l’Andalusia.Allo stesso modo, ma forse più a ragione, in Messico vi è chi spera che l’immigrazione riconquisti territori strappati al paese del centramericano dagli Stati Uniti.
In questo ambito vi  è chi indica la Reconquista   come modello per un’ eventuale riscossa europea (naturalmente in questo caso non si potrebbe contare su di un cristianesimo ormai religione del “terzo mondo”e  irrimediabilmente agonizzante in quello “bianco”). Potremo credere che sarebbe forse più da guardarsi alle remote e autentiche origini dell’Europa e della sua civiltà: alle invasioni indoeuropee.  “Agli inizi, troviamo gli Ariani una razza di conquistatori che è il substrato di ogni civiltà occidentale.”(Pino Rauti “ Le Idee che mossero il Mondo” Centro Editoriale Nazionale, Roma, 1966 pag. 12) C.D. Darlington  “in “ L’Evoluzione dell’Uomo e della Società”(Longanesi, Milano, 1969) riporta a pag. 170 l’opinione del famoso archeologo Gordon Childe secondo il quale gli ariani “appaiono dappertutto i promotori del vero progresso, e in Europa la loro espansione indica il momento in cui la preistoria del nostro continente incomincia a divergere da quella dell’Africa o del Pacifico.” Parrebbe lecito fantasticare su una “lotta finale”che, se vittoriosa, vedrebbe la cacciata di masse di alieni dal nostro continente e l’instaurazione del dominio di elementi rimasti europei al di sopra di masse informi ormai meticciate nel corpo, nell’anima e nello spirito e il modello non potrebbe essere che quello di Sparta.                                     La prospettiva di uno scontro finale, invece di essere costretti ad assistere impotenti, alla trasformazione del pianeta in un immondezzaio infestato da una putrescente massa di bastardi, senza razza, senza patria e senza fede potrebbe apparire seducente, anche se esso dovesse concludersi negativamente. Se non altro ad alcuni sarebbe data la possibilità di finire “in bellezza” facendo proprio l’immortale grido di F. Solano  Lopez “Muero con my Patria”. E oggi la nostra Patria è la nostra Razza. (10)
ALFONSO DE FILIPPI
NOTE
1) Anche il noto storico della “Rivoluzione Conservatrice”Armin Mohler accettava di essere considerato “fascista”ma “nella tradizione di Josè Antonio Primo De Rivera.
2)Cfr “Las siete muertes de Falange Espaňola”in “Revista de Historia del Fascismo”N.1 Sett.Ott.2010
3)Viriato(190-139 aC)capo lusitano lottò a lungo contro Roma,fu ucciso a tradimento dai suoi, QuintoSertorio123-72 aC)già sostenitore di Mario,rifugiatosi in Spagna si mise alla testa di una ribellione di elementi locali,fu ucciso da l suo luogotenente Peperna, Numanzia  capitale dei celtiberi fu centro della resistenza antiromana,fu assediata da Scipione Emiliano(133-134 a C)alla fine i suoi abitanti preferirono in gran parte uccidersi che darsi ai Romani.
4)Alla battaglia del fiume Guadalete (19 VII 711)le forze visigote vennero sconfitte da quelle arabo-berbere. A Cavadonga nel 722 la vittoria di Don Pelayo sugli invasori africani segnò l’inizio della Reconquista.
5) I Saraceni venivano detti anche “Agareni”in quanto presunti discendenti di Abramo e della sua schiava_ Agar
6) “Cristiani vecchi”cioè quelli non inquinati dal sangue di “conversi”mori o ebrei.
7 )Manuel Azana (1880-1940)primo ministro e poi presidente delle repubblica spagnola fino alla sconfitta da parte delle truppe franchiste.
8)Mariamo Josè de Larra(1809-1837)scrittore spagnolo
9) “Il periodo creativo della civiltà araba si è ormai definitivamente esaurito in secoli ormai lontani. A partire da un certo periodo,un migliaio di anni addietro,la civiltà “magica”(o ”araba” che dir si voglia) è morta:è un albero secco .Rimangono le strutture;rimane l’Islam ,ormai ossificato,pietrificato,incapace di evolvere dal suo interno,incapace di cambiare per sua forza spontanea,perché è inaridito”Piero Ottone “Il Tramonto della nostra Civiltà”(Mondadori,Milano,1994,pag.91)
10)“Prepariamoci dunque a sparire dalla faccia del mondo. Contro il destino è impossibile andare. Questione di battersi con onore nell’ultima battaglia. Questione di raccogliere le forze supreme e di mostrare in faccia ai negri, ai gialli, che c’è ancora gente, che ci sono ancora popoli e razze, e nazioni in questa vecchia, schifosa, marcia, decomposta, incancrenita Europa, capaci di sentire con orgoglio, con fierezza, con dignità, con titanico stoicismo l’impegno assunto di fronte alla tradizione avita”.V. Beonio Brocchieri introduzione a Oswald Spengler<Anni Decisivi>Bompiani,Milano,1934.



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ANTIBANCOR

Pubblicato da Admin il 14:24 0 commenti
“Gentile Lettore,

l’assenza di un ordine finanziario, e soprattutto di un assetto monetario, fa balenare all’orizzonte lampi di catastrofi economiche ben più distruttive di quelle provocate dal crac del 1929. Mentre accademici illustri e supertecnici degli istituti centrali di emissione – tutti ‘uomini rispettabili…’ – si ‘affannano’ […] nella ricerca di un parametro definitivo per determinare il valore reale delle monete, i vari espedienti escogitati […] crollano ingloriosamente, dopo aver permesso l’arricchimento di pochi individui a danno ora di questa, ora di quella Nazione. Crediamo quindi giusto affrontare i problemi finanziari e monetari secondo un’ottica totalmente diversa da quella classica […]: tanto puntuale nel proporre modelli econometrici, monografie brillanti e trattati monumentali, quando incapace di suggerire alle autorità politiche gli strumenti per impedire che la moneta – garanzia di sovranità nazionale – diventi un cappio intorno al collo del popolo.

Esistono nuove tecniche e nuove vie da esplorare, se si è capaci di distruggere le ‘gabbie’ nelle quali – in perfetta malafede – chi trae profitto da questo disordine vorrebbe continuare a tenerci chiusi. Per smantellarle, economisti e storici dell’economia hanno operato e continuano ad operare. Con il loro insegnamento e col contributo di quanti antepongono l’onestà intellettuale al proprio interesse economico e sociale, ci adopereremo affinché questo sistema, basato sull’enorme ‘bolla di sapone’ di denaro inesistente, acceleri il proprio collasso: si ripristinerà così l’economia reale – la sola adeguata al Bene della comunità nazionale.

Fronte Nazionale
 Questo volantino, a firma Fronte Nazionale, fu distribuito con il primo numero di “L’Antibancor. Rassegna periodica di economia e finanza”, anno 1 n. 1, 1992. L’Antibancor si proponeva di “segnalare e sottolineare gli aspetti erronei e nefasti dell’attuale sistema monetario del ‘mondo occidentale’, così come esso si manifesta nella pratica finanziari quotidiana: tanto degli istituti centrali di emissione, quanto della finanza internazionale che ne è la suggeritrice, il motore e la guida” (nella quarta di copertina, i ‘quattro punti fermi’ dell’Antibancor). Una capacità di preveggenza, vista l'assoluta centralità attuale del problema, che il Fronte dimostrò anche intorno alla sua stessa ragione costitutiva: la lotta alle ondate migratorie. Poi si sa com'è andata a finire: Freda in galera, Calderoli al governo.

La Rassegna fu recensita dal quotidiano ‘La Stampa’:
Fascismo & Finanza. All' armi, siamo economisti Freda vara una rivista ANTIPLUTOCRATI di tutto il mondo, unitevi. L' appello arriva dall' inesausta voce del Fronte nazionale di Franco Freda. Ora il Fronte Nazionale si lancia nei territori dell' alta finanza con una edita dalle Edizioni di Ar e intitolata con trasparente allusione L' Antibancor. era infatti lo pseudonimo usato dall' ex governatore della Banca d' Italia Guido Carli nei suoi articoli su L' Espresso e ripreso a sua volta dal nome della valuta universale proposta da John Maynard Keynes alla conferenza di Bretton Woods. […]

L’indice del primo numero mostra la natura degli studi della rassegna curata dalle Edizioni di Ar: Plutocrazia (a firma Fronte Nazionale); i grandi banchieri; dal capitalismo di Stato al capitalismo privato; credito e promesse di pagamento, un sistema monetario alla deriva secondo un’analisi di Maurice Allais; economia di carta e politica economica monetaria; il divorzio del Ministero del tesori dalla Banca d’Italia; usurocrazia; la ‘Salomon Brothers e le miniere di re Salomone; altro.

Lo scritto ‘Plutocrazia’, si apriva con una citazione di Carlo Marx:
 “Poco dopo la sua nascita, la società moderna trascinò per i capelli Pluto fuori dalle viscere della terra, e salutò l’oro come il suo Santo Graal”.

La rivista fu pubblicata in cinque numeri (il primo fu, poi, ristampato; quindi i numeri sono tutti disponibili: www.edizionidiar.it – la collezione, euro 50,00). L’antibancor, divenne successivamente una collana editoriale delle Edizioni di Ar, nella quale sono stati inseriti i testi di studio sugli stessi argomenti della rivista:

- Francesco Avigliano - L’enigma sociale.

- Gertrude Coogan - I creatori di moneta. Chi crea la moneta? Chi dovrebbe crearla?
- Walter Beveraggi Allende – Teoria qualitativa della moneta. Contro il monetarismo, l’inflazione, la disoccupazione.


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di Luca Valentini

La consapevolezza, quella di una dimensione intellegibile, di un’Unità primaria che non possa essere in alcun modo analizzata né considerata con i riferimenti profani dell’umana esistenza, cioè utilizzando i parametri del tempo e dello spazio o del volume, ha sempre assunto con sé l’idea simbolica di una caduta, di un cedimento, di uno smembramento, ma con una conseguente rinascita, un’eroica affermazione di potenza, di volontà dominatrice che riconduce il molteplice alla primordialità Unità. Tali realtà hanno avuto come aristocratica manifestazione il mondo al quanto criptico, volutamente e significatamente occulto, dei Misteri Antichi, che, attraverso le loro tante e diversificate forme – da quelli orfici a quelli egizi, ai più celebrati di Eleusi, fino a quelli solari, imperiali e di stato di Mithra – e attraverso i diversi autori che ce ne hanno tramandato le mitologie di fondo e le vive esperienze seppur limitate dallo status iniziatico e riservato degli stessi, hanno esplicitato una comune origine trascendente, un comune riferimento archetipico, quindi un simile fine magico-realizzativo. Non è casuale, la stretta correlazione mitologica che si può instituire tra diversi rami della misteriosofia, aventi differenti divinità di riferimento, anche e soprattutto per le diversa tradizioni a cui appartenevano, ma con simili funzioni simboliche, come, per esempio, accadeva nelle iniziazioni egizie ed in quelle eleusine:”Dioniso fu anch’egli figlio di Giove, ed ebbe per madre Semele; fu lo stesso che Osiride presso gli Egizi, e Bacco presso i Romani; e perciò io lo chiamerò indifferentemente Dioniso, Bacco e Osiride[1].

Tale è la presenza dell’Uno plotiniano nella figura di Zeus o di Giove, padre degli Dei in Grecia ed a Roma, o di RA, Dio Uno e creatore degli dei in Egitto. Tale è l’Assoluto alla massima potenza[2], avendo allo stesso tempo un’alterità immateriale, una presenza “una in molti”, fondamento della teologia che determina un’illusoria molteplicità in ciò caratterizza la conoscenza umana, quindi, discendente e non più cosciente di tale potenza: vi si manifesta l’idea della “trascendenza immanente”, momenti dialetticamente diversi, ma non separati, natura naturans e natura naturata, sempre riconducibili all’ermetico chiusura del Tutto, dell’Ordine Cosmico, rappresentato in alchimia dal serpente Uroboros. Qui vi è il segreto di ciò che procede, dell’unità organica dell’universo, della sua composizione, delle potenze varie ed infinite che lo compenetrano, da un’apparente frammentazione del potere supremo, del potere di Giove in potenze secondarie, che si caratterizzano per la mancata identità con se stesse, per un moto di propensione verso l’esterno, per l’acquisita e caduca capacità di generare altro da sé, quindi la diminuzione della potenza per il suo frantumarsi. In ciò si configura la ροπή neoplatonica, il cammino ricurvo, la caduta, la persa stabilità ed identità, l’entrata in ciò che nel Timeo di Platone viene denominata la χώρα, “il ricettacolo di tutto ciò che si genera”, “nutrice della generazione”, che possiede le stesse indeterminazioni dell’Ente Supremo, essendo l’infinito Vuoto, contenente la materia che non ha forma e che solo la trova per la partecipazione in essa di ciò che proviene e si compone dall’alto, che le conferisce un limite: nella dottrina ermetico-alchemica è ciò che si riferisce al Dragone Verde, è la Materia Prima dell’Opera, la ΰλή aristotelica. Come Osiride era manifestazione del supremo RA, parimenti Dioniso era figlio e manifestazione di Zeus, essendo entrambi la figurazione simbolica dell’essenza demiurgica, dell’Intelletto, del νόυς, principio indivisibile che andrà a comporre l’anima. Osiride, ingannato dal fratello Seth, personificazione delle forze ctonie ed infere, viene catturato ed ucciso: sarà smembrato ed i suoi resti dispersi nel Nilo, come Dioniso dopo la sua lotta contro i rivoltosi Titani. A tal punto la riflessione sulla potenza del Divino si connette direttamente a ciò che comunemente si definisce la “passione dell’anima”, come dispersione energetica che non permettendo un forza centripeta né favorisce il dilatamento nello spazio, nel volume e nel tempo, quindi caratterizza un graduale ma preciso processo di umidificazione e di successiva solidificazione:”E’ impossibile che la mente nuda possa prender dimora in un corpo terrestre, dato che questo non potrebbe essere susciettibile d’immortalità né possedere una tale virtù. La mente si veste dell’anima; l’anima, essendo divina, si veste dello spirito e governa il corpo…[3] Si configura per l’anima, pertanto, una serie di acquisizioni che la letteratura antica ed esoterica ha associato alla formazione del soffio vitale, del veicolo, del porfiriano spiritus, cioè quel procedere nelle diverse dimensioni astrali e planetarie, assumendone le varie caratteristiche proprio di quel mondo acquatico, umido e lunare che sempre precede la pura incarnazione terrestre. Non è un caso, infatti, che proprio determinate divinità femminili, come Demetra, la figlia Persefone o Core, rappresentanti del potere germinante e di natura ctonia, come Priapo, associato al potere seminale, o Dioniso che li ricomprende tutti, siano associati a tale dimensione transuente, mercuriale, che nel ciclo delle generazioni, nel suo eterno ritmo di vita e morte trova la propria vitale giustificazione. Con l’incarnazione in un corpo fisico si conclude ciò a cui abbiamo fatto già riferimento, cioè la ροπή, il cammino ricurvo, durante il quale progressivamente la memoria di ciò che si era andava e va man mano disperdendosi, essendo l’attenzione tutta polarizzata sulle casualità e le apparenze del mondo fenomenico, quindi, kantianamente, del mondo che non conosce in sé l’essenza del proprio esistere e che non reputa possibile andar oltre a quelle che sono le percezioni normali e profane dei sensi. A tal punto dobbiamo affrontare la quaestio fondamentale dei Misteri, l’essenza viva della loro così celebrata ed importante esistenza nel mondo antico e ciò si riconnette alla profonda sensibilità che si aveva per il Sacro, per le sue determinazioni, per quanto era riconducibile all’origine stessa non solo della propria vita, ma anche della propria città, del proprio regno, dell’Impero: accedere all’iniziazione misterica significava volersi riunire con la radice prima e luminosa di sé, con quel Dioniso che era stato smembrato[4] e ciò era possibile farlo solo volendo deliberatamente ripercorre il processo di caduta al contrario, quindi una rinascita, una risalita verso quel monte ove si scorge il Sole all’alba. E’d’uopo comprendere, perciò, che il neofita preliminarmente doveva attuare interiormente una morte rispetto al mondo profano, al mondo dei sensi e delle passioni. Non sarà inutile riprendere un approfondimento ed un preciso riferimento di Arturo Reghini[5], in cui si rammenta come argutamente Plutarco avesse messo a confronto i due verbi τελευτάν e τελείσθαι , che designavano rispettivamente il morire e l’essere iniziato, riportando, di seguito, un significativo passo di Apuleio:”…Mi accostai al limite della morte, e calcata la soglia di Proserpina, viaggiai tratto attraverso tutti gli elementi; a mezzo la notte vidi il sole coruscante di un candido lume; mi accostai di presenza agli Dei inferi e superni e lì adorai da vicino…[6]. La catarsi iniziatica era, a tal punto, il primo passo verso la vera iniziazione: essa si caratterizzata di diverse purificazioni, come la σΰστασις, che comprendeva riti espiatori, lustrali e preparatori. Simbolicamente si trattava di risalire la ripide parete del monte, partendo dalla più profonda vallata ed in questi termini crediamo sia al quanto utile ricordare come Dioniso dormì per tre anni presso Proserpina prima di danzare con le Ninfe, divinità che sovraintende sui morti ma che possiede anche un forte potere generativo. Nella dottrina ermetico-alchemica ci si trova di fronte all’intrapresa dell’Opera, dinanzi a quel Dragone Verde a cui abbiamo già accennato, col compito di resistergli, di non farsi imprigionare dalla sua massima capacità di corruzione e di generazione:”Come il medico con le sue medicine purga e netta l’interno del corpo, da cui caccia il sudiciume, così i nostri corpi devono essere lavati e purgati da ogni impurezza, perché possa essere raggiunta la perfezione nella nostra generazione [7]. Si ritrova in queste prime operazioni misteriche quella sfera umida, con le sue divinità, Demetra, Core, Proserpina, le Ninfe, ma con un sostanziale cambiamento di polarità. E’ espresso benissimo da Porfirio[8] come il valore operativo dell’umidità, dell’acqua abbia una duplice valenza, a seconda dell’attività o della passività con cui ci si pone verso di essa. Abbiamo scritto abbondantemente circa il secondo senso polare che le figure lunari, acquatiche assumono nel processo di caduta, di smembramento del νόυς e di ciò che lo precede, nell’accoppiamento dell’anima col proprio veicolo, col proprio soffio vitale, ma ora è necessario sottolineare come il potere generativo, l’elemento acqua abbiano una valenza palingenetica, di purificazione, che non a caso sono associati al simbolismo dell’antro, della caverna, del mitreo, simboli del mondo in rivoluzione, che si rigenera. Ad Eleusi vi erano i Piccoli Misteri, celebrati nel mese di Anthesterion, rappresentanti una preliminare purificazione, ed i Grandi Misteri, essendo la vera e primaria iniziazione, celebrati dopo sei mesi dai primi, nel mese di Boedromion. In entrambi Dioniso presiedeva alla purificazione e se i primi erano associati a Persefone, i successivi lo erano alla madre Demetra[9]. Infatti, alla preliminare discesa negli inferi è riferito il mito di Persefone, rapita per nove notti da Ade, che era apparso da una voragine ed aveva trascinato la giovane ninfa nel suo regno sotterraneo, simboleggiando la prima operazione dell’opera al nero, la prima putrefazione del composto umano, è la vittoria di Seth, è il grado di Corax nell’iniziazione mithriaca, ove si annulla la volontà profana, il sentirsi ed il vivere in un mondo illusorio per avvertire primariamente e terribilmente la dimensione altra rispetto a quella fenomenica. Di seguito, in Demetra, dea delle messi, della primavera, nei Grandi Misteri eleusini si esplicita il principio di rigenerazione che dona vita non più mortale ma spirituale, iniziando quel processo di riconversione, di “centramento”, di ricomposizione del corpo smembrato di Dioniso[10]. E’ il passaggio, ricordato da Porfirio nella già citata Sentenza XXXVII, attraverso l’uso di differenti virtù, al corpo lunare, il quale, tramite adeguata ingnificazione, potrà elevarsi al corpo solare e poi a quello etereo, in un cangiamento ed in un avvicinamento sempre maggiore all’immaterialità, alla spiritualità perduta e ritrovata:” Le anime che cambiano di corpo, appaiono ora sotto una forma, ora sotto un’altra: ma quando riesce a tenersi fuori dalla generazione, l’anima è unita all’anima universale[11]. Una vibrazione che non si manifesta senza un ricordo, senza un’anamnesi, senza aver invertito la polarità della potenza, che torna a guardare a sé, a rivolgersi su di sé, nella sua stabilità, nella sua identità, che infrange la generazione, la nascita mortale, nel cui superamento vanno inquadrati sia l’evirazione di Attis sia la ricomposizione osiridea senza il proprio fallo, a voler, quindi, escludere il potere seminale, che precedentemente abbiamo associato a Priapo. La rigenerazione misterica, pertanto, era rivolto ai pochi che sapevano dignificarsi ed operare tale cambiamento di polarità magnetica e ciò si rifletteva su un preciso insegnamento circa le condizioni del post-mortem, che si presentava come riflesso dei vari gradi iniziatici, quindi, per nulla pervaso dalla desertica immortalità dell’anima, potendosi attribuire l’immortalità solo al Principio Supremo ed a chi vi si identifica, o dalla democratica reincarnazione di tutti:” Felice chi possiede, fra gli uomini, la visione di questi Mysteria; chi non è iniziato ai santi riti non avrà lo stesso destino quando soggiornerà, da morto, nelle umide tenebre[12]. Se all’iniziato dopo la morte era riservato un destino diverso dal comune mortale, allo stesso in vita era concesso il potere, davvero aristocratico, di realizzare gli stati di riascensione al Divino in piena attività e piena coscienza. Ad Eleusi al grado dignitario di Holokleros, in cui si sublimava la purificazione umida, si ridonava, secondo l’insegnamento di Eraclito, secchezza all’anima ed integrità a Dioniso: è l’ignificazione del Mercurio, è la fissazione del volatile dopo la volatilizzazione del fisso, è il malato che torna ad essere uomo rigenerato e forte. Non a caso l’Holokleros viene associato ad Asclepio, quale medico di sé e per gli altri, di colui che rigenerato può conferire l’iniziazione ad altri. Il medico, come l’auriga, è colui che ha saputo dominare le due forze, le due entità polarmente opposte di Zolfo e Mercurio, non eliminandole, ma armonizzandole o eroicamente sottoponendole alla propria superiore volontà ed indirizzando l’iniziato e la nostra analisi verso l’ultima trasmutazione. L’ultima palingenesi ad Eleusi e nella gerarchia mithriaca era l’iniziazione regale, il divenire Pater, riconquistare alchemicamente la Regalità Saturnia Primordiale, attuare la Rubedo, quindi operare l’identificazione direttamente con ciò da cui lo stesso νόυς procedeva, cioè l’Uno. Egli è, secondo quanto riporta Porfirio, nella sua opera Sulla filosofia degli oracoli, Aiòn, l’Eternità, il Bene Supremo di Platone, l’Essenza Originaria, da cui si sono emanate le varie divinità della tradizione greco-romana. Nelle misteriosofia antica, a tal punto, si attua la Realizzazione Ultima, procedendo al di là delle statue dell’Anima e del Nous, :”Egli entra in intimo rapporto col Divino…egli si vede diventato il Divino stesso…vita degli Dei e degli uomini divini e perfettamente felici: lungi dagli altri che sono quaggiù, superiore ai piacieri di questo mondo, fuga dell’Uno verso l’Uno [13]. Miticamente Dioniso, reintegrati tutti i pezzi del proprio corpo, torna a risiedere sul trono del padre Zeus, ma a tal punto non essendo più soggetto a determinazioni esterne, non più soggetto, come al sole naturale, ad un alba e ad un tramonto, trasmuta la propria essenza solare in essenza polare, quella del Sole di Mezzanotte che non conosce tramonto, si identifica nell’Apollo Iperboreo di Delfi, che è la via verso la dimora del Nume Supremo, dello stesso Padre degli Dei:”Perciò sta bene al dio il primo dei nomi e così pure il secondo e il terzo: Apollo, infatti, per così dire, rifiuta la pluralità e nega la molteplicità, Ieios vuol dire che è uno e solo; quanto a Febo, è certo che gli antichi così chiamavano tutto ciò che fosse pure e casto[14].


[1] Dom A.G. Pernety, Le favole egizie e greche, p. 228, Edizioni all’insegno del Veltro, Parma 1999.
[2] Giandomenico Casalino, La prospettiva di Hegel, p. 58 , Edizioni Icaro, Lecce 2005, in cui l’autore specifica come l’Assoluto non sia cosa diversa dall’Essere, dimensione altra, ma come accade nella dottrina ermetico-alchemica, espressione di un’accresciuta fissità, di ancor più elevata presenza calorica dello Zolfo filosofale:”Porfirio intuì, infatti, che nell’ambito del logos apofatico il Bene-Uno è sempre essere, al massimo di potenza-δύναμις (Plotino), ma sempre essere…”.
[3] Ermete Trismegisto, Il Pimandro, p. 100, Sear Edizioni, Borzano (R.E) 1993.
[4] In tal senso risulta molto interessante e significativo un frammento di un rituale orfico che brevemente riportiamo di seguito:” Come s'agitano nell'Immenso Universo, come turbinano e si ricercano queste anime  innumerevoli che sgorgano dalla grande Anima del Mondo!  Esse cadono da Pianeta in Pianeta e piangono nell'Abisso la Patria dimenticata......sono le tue lacrime o Dionysos.....Grande Spirito, divino Liberatore, riprendi le tue figlie nel tuo seno di Luce”.
[5] Arturo Reghini, La resurrezione iniziatica e quella cerimoniale, in Le parole sacre e di passo dei primi tre gradi ed il massimo mistero massonico, Edizioni Atanor, Roma 2002.
[6] Apuleio, Metamorfosi, XI, 23.
[7] Basilio Valentino, Le dodici chiavi de la filosofia, p. 75, Edizioni Mediterranee, Roma 1998.
[8] Porfirio, L’antro delle Ninfe, p.60-1 , Edizioni Adelphi, Milano 2006:”il miele viene adoperato per purificare, per preservare contro la putredine, e come simbolo della forza seduttiva del piacere che induce alla generazione; per questo è appropiato anche alle ninfe dell’acqua, come simbolo della purezza incontaminata delle acque, cui le ninfe presiedono, della loro virtù purificatrice e della loro cooperazione al processo generativo”.
[9] Sull’iniziazione eleusina rimane sempre una guida insuperabile il saggio di Victor Magnien, I Misteri di Eleusi, pubblicato dalle Edizioni di Ar.
[10] “…si trova, nella misteriosofia ellenistica, l’espressione ‘seminarium’ per il corpo magico, per il fatto, dunque, che questo non è un corpo particolare e fisso, ma piuttosto la possibilità attiva, il seme per infiniti corpi suscettibili, in via di principio, ad essere formati e ‘proiettati’ dalla sostanza mentale, per congrua trasformazione”, EA, La dottrina del corpo immortale, in Introduzione alla Magia, Vol. I, p. 219-20, Edizioni Mediterranee, Roma, 1987.
[11] Plotino, Enneadi, III, 2, 4
[12] Inno omerico a Demetra 480-482, a cui possiamo associare il “non è dato immergersi due volte nello stesso fiume” di Eraclito.
[13] Plotino, Enneadi, VI, 9, 11
[14] Plutarco, op, cit., p. 190-1.


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Il totalitarismo cristiano

Pubblicato da Admin il 11:34 4 commenti
Di Fabio Calabrese

Un punto sul quale ho visto che l’amico Steno Lamonica insiste molto nei suoi scritti, è la filiazione del comunismo dal cristianesimo. E’ un concetto su cui non si può che convenire: tutta la modernità coi suoi fenomeni degenerativi deriva dal cristianesimo. E’ un punto su cui, pur condividendolo, io non ho insistito particolarmente a sottolineare per un motivo preciso: il crollo dell’Unione Sovietica e dei sistemi comunisti nell’Europa orientale (non però in Cina, a Cuba, in Corea del nord) potrebbe produrre in qualcuno l’errata impressione che il problema sia ormai sostanzialmente risolto, mentre in realtà non è stato risolto nulla e in questi venti anni le cose non hanno fatto che peggiorare.

La situazione di conflitto fra comunismo e americanismo ha fatto sì che le due branche della modernità anti-tradizionale e anti-europea in qualche misura si neutralizzassero a vicenda. E’ solo dopo il crollo dell’Unione Sovietica che hanno preso avvio la globalizzazione, il PNAC (“Project for a New American Century”, il piano americano di dominio planetario) e il riversarsi – chiaramente manovrato – delle masse umane di migranti dal Terzo Mondo allo scopo di stravolgere la sostanza etnica dell’Europa. Tutte cose che non potevano essere attuate finché esisteva l’Unione Sovietica, perché avrebbero fatalmente spinto per reazione gli Europei occidentali in braccio a quest’ultima.

Il comunismo, palesemente, era destinato a essere la punta di diamante e il beneficiario definitivo di un piano di assoggettamento planetario, tuttavia qualcosa non deve essere andato come inizialmente previsto. Probabilmente “lo scostamento” si è verificato con l’ascesa al Kremlino di Stalin che ha spazzato via la nomenklatura della prima ora, folta di elementi ebraici da Stalin tenuti in sospetto perché correligionari del suo nemico Lev Trockij. Di sicuro c’è il fatto che alla conclusione del secondo conflitto mondiale emerse con chiarezza la spaccatura fra i vincitori che portò a quel mezzo secolo di stallo che conosciamo come Guerra Fredda.

Oggi a portare avanti il progetto totalitario di domino mondiale è una potenza dichiaratamente cristiana, gli Stati Uniti d’America, e questo se non altro ha il pregio di dissipare tutta una serie di equivoci. Quel che rimane oggi del comunismo è strettamente funzionale agli interessi del grande capitale internazionale ma soprattutto USA, come ben dimostra l’esempio della Cina oggi grande “mercato del lavoro” di braccia a bassissimo prezzo per l’industria americana. Sembra proprio che l’alleanza che strangolò l’Europa nel 1945 si sia oggi riformata.

Nel prosieguo di questo articolo vedremo di capire cosa sia l'americanismo, il cristianesimo made in USA e perché lo si debba ritenere una forma di totalitarismo, ma prima ancora sarà bene capire quanto sia totalitario il cristianesimo in genere e innanzi tutto avere chiaro cosa significhi totalitarismo.

Noi tendiamo a confondere totalitarismo e dittatura, al punto che spesso i due termini sono usati come sinonimi; invece si tratta di due cose affatto differenti. Per dittatura si può intendere qualsiasi forma di regime non democratico, mentre il totalitarismo è qualcosa di più e di diverso, un potere autocratico che tende a rimodellare per i propri fini il corpo sociale ed entrare pesantemente nella vita delle persone, su cui intende esercitare uno stringente condizionamento.

Il fascismo, ad esempio, era una dittatura ma non era un regime totalitario. Gli storici che oggi studiano in maniera imparziale l’era fascista, regolarmente si stupiscono di quanto poco il fascismo interferisse nella vita privata delle persone, di quanta libertà fosse accordata a chiunque non fosse un oppositore dichiarato del regime (compresa quella di metterne in caricatura gli aspetti deteriori, che ci sono dappertutto, si pensi a Petrolini, che il regime non osteggiò mai, mentre il “democratico” De Gasperi doveva “democraticamente” mandare in galera Guareschi per una vignetta, e in anni più recenti un altro campione di democrazia, Massimo Dalema cercò di fare altrettanto con Forattini).

Si ha l’impressione che il fascismo sia stato anche troppo tollerante verso forze estranee ad esso che lasciò sussistere: la monarchia, il grande capitale, la Chiesa cattolica, le stesse che al momento della prova decisiva gli si rivoltarono contro, pugnalando alla schiena anche l’Italia.

Altre volte mi è capitato di esprimere il concetto che il cristianesimo cattolico e protestante sono due mali, due versioni dello stesso male, fra cui è molto difficile o impossibile scegliere il minore. Se infatti il protestantesimo non ha, come il cattolicesimo nella Chiesa, un’istituzione rigida, gerarchica e dogmatica in grado di esercitare un pesante potere d’interferenza nella vita civile degli stati “cattolici”, nel protestantesimo è presente un’ossessione biblica che generalmente nei Paesi “cattolici” non si riscontra.

Si ha l’impressione che nei Paesi cosiddetti cattolici la religione, mentre per la parte meno acculturata della società significa l’adesione a una serie di pratiche superstiziose (padre Pio, le madonne, il sangue di San Gennaro), per lo strato dei fedeli di cultura medio – alta essa sia semplicemente l’ossequio a un’istituzione di potere che non provoca un grosso coinvolgimento emotivo, tuttavia non dobbiamo sottovalutare il potere del cristianesimo di costituire una vera e propria gabbia mentale che rende letteralmente incapaci di concepire altre forme di pensiero, in materia di religione ma anche altrove.

Sarebbe umoristico se non fosse tragico ascoltare un cristiano quando parla delle altre religioni. A sentirli parlare, non solo l’universalità del fenomeno religioso sarebbe una dimostrazione dell’esistenza di Dio – del loro Dio – ma quello che sembra variare da una cultura e da una religione all’altra, non è in sostanza che il nome della divinità: Gli islamici adorano Allah, i taoisti cinesi il Tao, i buddisti Buddha, eccetera; danno l’impressione di pensare che basterebbe qualche piccolo aggiustamento in perfetti cristiani.

Basta osservare le cose un po’ più da vicino per capire che le cose stanno in maniera del tutto differente: continuando per assurdo a usare termini abramitici per riferirsi a culture molto distanti dall’eredità di Abramo, dovremmo concludere che induisti e scintoisti sono idolatri, e buddisti, confuciani e taoisti atei; né più né meno.

In realtà, qui viene fatto una specie di gioco delle tre carte; quello che è universale è l’anelito umano alla trascendenza e al sacro, non la forma particolare delle religioni abramitiche (presunte discendenti da Abramo), che in effetti non sono condivise da più di un terzo dell’umanità, e si è disinvoltamente scambiata una cosa per l’altra.

La stessa incomprensione che i cristiani manifestano per le culture extraoccidentali e le religioni non abramitiche, la mostrano per l’antichità pre-cristiana. E’ una cosa che risulta sorprendente per coloro che non hanno esperienza di questo ambiente, ma nella scuola italiana esiste una vera e propria lottizzazione delle competenze, per la quale mentre l’insegnamento e la stesura dei manuali per lo studio della storia sono un appannaggio marxista, la filosofia è invece di competenza cattolica. La stessa incomprensione, dicevo, che i cristiani manifestano nei confronti delle culture non occidentali e delle religioni non abramitiche, la ritroviamo tale e quale riguardo al pensiero antico pre-cristiano, e anche qui la cosa sarebbe umoristica se non fosse tragica.

Leggendo come questi manualisti cattolici spiegano la filosofia antica, apprendiamo che Senofane, Platone, Aristotele erano giunti al monoteismo, ma non avevano potuto arrivare al concetto di un Dio personale. In realtà, quello che viene presentato come l’ulteriore e definitivo progresso dello spirito umano conseguente alla rivelazione cristiana, non è che un rozzo antropomorfismo che testimonia l’arretramento speculativo avvenuto con la cristianizzazione, il “divino artigiano”, il Dio che avrebbe plasmato il mondo come gli uomini fabbricano i loro oggetti. Prima ancora dei tre filosofi “monoteisti” summenzionati, l’idea del Fato o del Brahman come forza trascendente impersonale sottesa all’ordine delle cose, rivela nel paganesimo antico e nell’induismo una profondità speculativa del tutto estranea agli antichi Ebrei progenitori delle religioni abramitiche.

Esattamente come accade ai totalitarismi politici, la presunzione e l’arroganza dottrinali finiscono per comportare un sistema totalmente oppressivo e liberticida sul piano pratico.

Non varrebbe nemmeno la pena di ripeterlo per l’ennesima volta: la storia della cristianizzazione dell’Europa è una storia di violenza quasi inenarrabile, da far scomparire i totalitarismo del XX secolo: le persecuzioni con cui Costantino e Teodosio, poi gli imperatori bizantini fino a Giustiniano, cristianizzarono l’impero romano facendo diventare un delitto passibile di morte continuare a seguire la religione dei padri, le campagne carolinge contro i Sassoni e quelle dell’Ordine Teutonico contro gli Slavi, sempre basate sul principio della conversione a fil di spada, la crociata contro gli Albigesi nel XIII secolo che distrusse la Provenza medievale, poi i roghi dei cosiddetti eretici e delle cosiddette streghe. La Chiesa cattolica ha conquistato l’Europa come un esercito invasore e l’ha tenuta sotto controllo come un esercito occupante. Quando non ha potuto più farlo, è iniziata, lenta ma progressiva e con ogni probabilità irreversibile, la laicizzazione o, per chiamare le cose con il loro nome, la scristianizzazione: l’Europa rigetta via da sé il cristianesimo come quel corpo estraneo che effettivamente è.

Lo studioso tedesco Karl Heinz Dreschner è da anni impegnato nella stesura di una Storia criminale del cristianesimo di cui sono già usciti alcuni volumi. La cosa notevole è che quello che in origine doveva essere un libro, sotto le mani dell’autore si è presto allargato alle dimensioni di un’enciclopedia.

In definitiva non esiste nessuna invenzione del totalitarismo moderno che il cristianesimo non abbia cristianamente anticipato, comprese le più atroci come i campi di concentramento. Nel libro La distruzione dei templi, lo scrittore greco Vlasis Rasias ci racconta la brutale violenza con cui gli imperatori cristiani estirparono la religione antica, e ci fa conoscere una realtà che gli storici di solito preferiscono ignorare: i lager cristiani:

“Anno 359 - In Skytopolis, Siria, i cristiani organizzano il primo campo di concentramento per la tortura e l"esecuzione dei pagani arrestati in qualsiasi parte dell'Impero (...).

Anno 370 - L'imperatore Valente ordina una tremenda persecuzione contro i pagani in tutta la parte orientale dell'Impero. Ad Antiochia si giustizia, in mezzo a molti altri pagani, l"ex governatore Fidustius e i sacerdoti Hilarius e Patricius. Si bruciano numerosi libri nelle piazze delle città dell'Impero dell'est. Si perseguitano tutti gli amici di Giuliano (Orebasius, Sallustius, Pegasius, ecc.). Viene bruciato vivo il filosofo Simonides e decapitato il filosofo Maximus.

Anno 372 - L'imperatore Valente ordina al governatore dell'Asia Minore di sterminare tutti gli ellenici e tutti i documenti relativi al loro sapere (..).

Anno 385 fino al 388 (...). Migliaia di innocenti pagani in tutto l'Impero vengono martirizzati nel terrificante e orribile campo di concentramento di Skythopolis” (1).

Tuttavia a mio avviso il punto che conta davvero non è tanto tutto ciò, quanto il fatto che questa lunga storia invereconda di inganni, soprusi e violenza, e questo è un fatto che dobbiamo capire una volta per tutte, non è una deviazione rispetto al “messaggio cristiano” alla “buona novella” annunciata dal vangelo, ma niente altro che la sua concreta applicazione.

Oggi i cristiani hanno adottato perlopiù un “profilo basso”, mostrandosi come la quintessenza della mitezza della mansuetudine, della disponibilità al dialogo, e questo può far passare inosservato il nucleo centrale totalitario della loro dottrina, che però basta grattare un po' sotto la superficie per riscoprire.

Prendiamo una frase di uso comune, il cui uso ricorrente ha creato un'apparenza d'innocenza e di innocuità, “i cristiani e le bestie”. I sottintesi, che trovano perfetta rispondenza sul piano storico, sono terribili, essa significa alla lettera che solo il cristiano, battezzato e fedele alla Chiesa cattolica, può essere considerato uomo.

Vorrei citare un episodio in cui parecchi anni fa mi sono imbattuto per caso: mi trovavo in biblioteca alla ricerca di un libro. Mentre ero intento a questo lavoro, mi capitò casualmente fra le mani un testo che non aveva nulla a che fare con quel che cercavo, era l'autobiografia di una scrittrice italiana, e mi misi a sfogliarne per curiosità le prime pagine. Purtroppo non ricordo di chi si trattasse, sono passati diversi anni da allora, e non ho pensato di prendere appunti né che avrei potuto utilizzare la cosa in uno scritto come il presente.

Questa signora era nata negli anni '30 dello scorso secolo. I suoi genitori erano entrambi di idee laiche, e avevano deciso di non battezzarla, ma la dovettero battezzare di corsa. Era successo che la madre non aveva latte, e fu quindi necessario ricorrere a una balia. Ne trovarono una di famiglia contadina, che subito chiese:

“Dov'è il certificato di battesimo della bambina?”

Alle reazioni sorprese dei genitori, rispose:

“Non vorrete che mi attacchi al seno una bestiolina?”

Così i genitori, volenti o nolenti, dovettero farla battezzare in tutta fretta.

Dobbiamo considerare che la Chiesa cattolica si riteneva a tutti gli effetti la rappresentante esclusiva di Dio in Terra, ed in quanto tale rivendicava il diritto di amministrare, spiritualmente e materialmente, ogni cosa esistente sulla Terra, che solo con il battesimo ed alla precisa condizione di mantenersi devoto seguace della Chiesa stessa, l’uomo riceveva personalità giuridica, e che per conseguenza, ciò che appartiene a un pagano è una res nullius di cui la Chiesa può liberamente disporre, e che perciò può dare in concessione (sempre revocabile) al momento del battesimo a chi l’ha fin allora sempre posseduta. Noi vediamo un’eco di questa concezione nell’atteggiamento degli storici che si occupano dell’alto Medio Evo: capita che quello che prima era un “capotribù” viene promosso a “re” al momento del battesimo, diventa addirittura il primo sovrano ed il fondatore della propria dinastia anche se era salito su un trono che i suoi antenati detenevano già da secoli. È successo con Clodoveo re dei Franchi, è successo anche, ad esempio, con Stefano I d’Ungheria, divenuto, dopo essersi convertito, “primo re” di una nazione che i suoi antenati governavano da secoli.

Poiché solo il cristiano era considerato “uomo”, poiché ciò che apparteneva a dei non cristiani era res nullius, la Chiesa si riteneva libera di farne dono a chi volesse, così ad esempio fu “fatto” re di Sicilia il normanno Roberto il Guiscardo molto prima che questi togliesse l’isola ai saraceni, e la successiva conquista non fu affatto una conquista, un’usurpazione, una rapina: un uomo sarà pure libero di sbarazzarsi delle “bestie” che infestano la sua proprietà. È da notare che nello stesso modo furono “date” ai Normanni le terre dell’Italia meridionale che appartenevano agli “eretici” bizantini, dal che si arguisce che la condizione per essere ritenuto “cristiano” e quindi realmente “uomo” non è credere in Cristo, ma ubbidire al papa.

Ciò non rappresenta comunque un'acquisizione definitiva perché assieme alla “grazia del battesimo” la Chiesa si riserva sempre il diritto di revocare la proprietà di un uomo su ciò che possiede, od almeno di sospenderla, ed è questo il motivo per il quale la scomunica (letteralmente “esclusione dalla comunità” dei credenti) o anatema (termine che ha lo stesso significato e viene dal greco ana – temno, “tagliare via”) era un’arma così potente nelle mani della Chiesa medievale, temuta in particolare dai sovrani, perché faceva venire meno il giuramento di fedeltà dei feudatari, che di solito non aspettavano di avere altro che il pretesto per ribellarsi, in modo da conseguire maggiore autonomia e potere.

Appunto in ragione delle scomuniche inflitte all’imperatore Federico II ed a suo figlio Manfredi, la Chiesa si ritenne in diritto di trasferire nel 1266 il regno di Sicilia dalla casa di Svevia a quella d’Angiò, ed è da notare il particolare, che merita di essere ricordato ad imperitura vergogna di questi sedicenti rappresentanti terreni della divinità, che il corpo di Manfredi, caduto alla testa dei suoi uomini nella battaglia di Benevento, e sepolto dai suoi soldati, fu fatto disseppellire e buttare fra i rifiuti dalle autorità ecclesiastiche: uno scomunicato, “una bestia” non aveva il diritto alla sepoltura.

Stiamo parlando di una delle vicende più gravi, delle pagine più nere della nostra storia plurimillenaria, dove meglio si vede che la Chiesa ha agito sull'Italia come un tumore o un parassita. Dobbiamo essere consapevoli di che cosa significò questo evento per l'Italia, di quale prezzo pagammo e continuiamo ancora oggi a pagare per la bassezza ecclesiastica, l'ambizione dei papi, la mancanza di scrupoli dei “pastori” del “gregge cristiano”.

Fino ad allora, il nostro meridione era la parte più avanzata della Penisola, favorito dagli scambi commerciali e culturali con Bisanzio e con il mondo islamico che allora era più progredito dell'Europa. I Normanni e poi gli Svevi vi avevano creato un moderno stato accentrato. Come lo stato solido ed accentrato creato in Inghilterra dal normanno Guglielmo il Conquistatore sarebbe divenuto una delle maggiori potenze d'Europa, il regno normanno-svevo dell'Italia meridionale che presentava con quest'ultimo delle forti analogie, era incamminato sulla strada di un'analoga importanza politica e floridezza. Le Tavole Melfitane promulgate dall'imperatore Federico II ne furono il coronamento giuridico; con esse s'introdiceva, se non proprio una costituzione moderna, una legislazione uniforme che era di quanto più avanzato esistesse allora in Europa.

La fioritura artistica testimoniata ancora oggi dal duomo di Palermo e da quello di Monreale è una prova di questa stagione eccezionale del nostro meridione, così come lo è il fatto che fu alla corte palermitana che cominciò, con Cielo d'Alcamo e Jacopo da Lentini a nascere la letteratura in lingua italiana, od anche il fatto che la più antica scuola europea considerata di livello universitario sia stata la scuola di medicina di Salerno, istituita sempre da Federico II, grande sovrano illuminato, se mai ve ne furono prima del XVIII secolo.

L'invasione angioina chiamata dalla Chiesa precipitò il nostro meridione in un baratro da cui non è più uscito Al seguito di Carlo d'Angiò arrivò una masnada di avventurieri francesi pronti a trasformarsi in un ceto baronale avido e distruttivo come uno sciame di cavallette, che trapiantò di colpo nel nostro meridione che fino ad allora ne era stato praticamente esente, gli aspetti più retrivi ed ormai anacronistici del feudalesimo.

Ecco cosa scrive al riguardo lo storico Scipione Guarracino:

“Se il feudalesimo aveva avuto capacità ricostruttive nell'Europa delle grandi pianure cerealicole, trapiantato nel difficile ambiente mediterraneo ebbe solo effetti disgregatori e la nobiltà feudale venuta al seguito di Carlo d'Angiò, dopo la prima ondata dei baroni normanni duecento anni prima, spezzò definitivamente le possibilità dell'urbanesimo meridionale, che potevano essere solo quelle dell'iniziativa commerciale forte e dinamica. Sotto Carlo d'Angiò il surplus delle ristrette pianure fertili fu avviato verso i consumi delle città del centro-nord, mentre i privilegi e i monopoli mercantili concessi ai toscani trasformarono rapidamente l'intero regno in una "economia dominata". Nel XIII secolo e in un ambiente inadatto il feudalesimo era ormai solo causa di decadenza, mentre la sua funzione era già terminata da un pezzo nell'Europa settentrionale. La nobiltà del Mezzogiorno italiano, di un paese cioè costretto a essere povero, sarebbe stata in futuro la più parassitaria, la più passiva che si possa immaginare” (3).

Le conseguenze a lungo termine le paghiamo ancora oggi, e tutte le volte che si parla dell'arretratezza del meridione, ricordiamoci a chi la dobbiamo.

Già in epoca rinascimentale il grande Niccolò Machiavelli (un grande pensatore ed una grande anima di italiano, che non a caso continua ad essere ingiustamente calunniato dalla cultura clericale) aveva individuato in modo assolutamente corretto nella Chiesa la causa prima delle sventure italiane: la Chiesa cattolica non era mai stata abbastanza forte da unificare l'Italia sotto di sé, ma abbastanza forte da impedire che qualcun altro lo facesse e dotata di abbastanza prestigio da richiamare come suo “campione” un invasore straniero sul nostro suolo, da Carlo Magno a Napoleone III passando per Carlo d'Angiò. Si comprende che è solo l'ignoranza della nostra storia antica e recente a impedire alla maggior parte dei nostri connazionali di vedere che esiste una contraddizione, un conflitto totale fra l'essere italiani e l'essere cattolici.

Tuttavia oggi non è su questa sponda dell'Atlantico che il cristianesimo mostra oggi il suo aspetto più violento e virulento.

A uno sguardo superficiale sembrerebbe che non possa esistere un mondo con maggiore pluralismo religioso degli Stati Uniti, dove una miriade di chiese, sette, conventicole si contendono “il gregge dei credenti”. In realtà questa situazione scarsamente comprensibile in termini europei, non testimonia altro che la mancanza di carisma in ciò che gli yankee intendono per religione, là chiunque può aprire una Chiesa come un negozio o un'impresa economica. Tuttavia questo pluralismo apparente ha lo stesso valore del pluralismo politico in un ambiente in cui l'unica discriminante fra “la destra” e “la sinistra” sembra essere la questione se concedere o meno alle coppie omosessuali il diritto di sposarsi e di adottare.

Tutte queste diverse “religioni” sono infatti subordinate a quella che potremmo chiamare la “religione americana”, un mix anch'esso scarsamente traducibile in termini europei di “religiosità” e “patriottismo” che mescola il saluto alla bandiera con la preghiera nelle scuole, il Giorno del Ringraziamento e il Columbus Day, Gesù Cristo e lo Zio Sam.

Per gente assolutamente priva sia di capacità speculative sia di senso della trascendenza, anche “la religione” non avrebbe significato se non avesse conseguenze immediatamente pratiche, che in questo caso consistono nel confermare il senso di superiorità che il superuomo yankee prova nei confronti dei subumani che popolano il resto del pianeta.

La religione americana è nettamente veterotestamentaria, al punto che dovremmo chiederci se la si possa realmente considerare una forma di cristianesimo, visto che ignora quasi del tutto il vangelo, o se è piuttosto di un neo-giudaismo che si dovrebbe parlare, ma dopotutto, questo è un problema dei cristiani (o dei giudeo-cristiani, o dei giudeo-americani, fate voi) non nostro, anche se la mia impressione è che gli yankee abbiano ancor meno titolo a essere considerati cristiani degli islamici, che dopotutto dedicano molto spazio alla figura del “profeta Issa”.

Nel XVII secolo uno scrittore inglese (mi scuso di non ricordarne il nome) inventò la favola che gli anglosassoni sarebbero i discendenti delle dieci tribù perdute di Israele. Questa favola che non ha nessun fondamento né storico, né antropologico, né linguistico né di altro genere, diventò il mito fondante della pseudo-nazione americana. Quando gli yankee sostengono di essere il “Nuovo Israele”, state sicuri che con ciò non intendono assolutamente nulla di metaforico.

Miguel Martinez, detto Kelebek, che, essendo di origine messicana, gli yankee li conosce bene, ha scritto in un articolo pubblicato sul suo sito www.kelebekler.com , L'anticristo circasso:

“Gli USA hanno avuto molto a che fare con la Bibbia, ma poco con Platone, Tommaso d'Aquino, al-Ghazali o Voltaire. (…).

In altri paesi, è un luogo comune dire che gli Stati Uniti sono un "paese nuovo privo di storia." In realtà la storia c'è, solo che è largamente biblica. Se altrove si guarda indietro verso i Celti e gli Etruschi, gli statunitensi guardano indietro verso gli antichi Israeliti; le guerre di Davide sono anche le loro guerre” (3).

La bibbia, lo sappiamo, è un testo che è stato scritto soprattutto per gratificare il feroce egocentrismo tribale degli antichi Ebrei che, convinti di avere un rapporto speciale con la loro inverosimile divinità, si erano persuasi che questa avesse dato loro “in pasto” i popoli che avevano distrutto insediandosi nella Palestina: Filistei, Cananei, Aramei e via dicendo. Allo stesso modo dell'antico Israele, ritenendosi per speciale concessione di Dio, dispensato dalle norme dell'umanità e della pietà (c'è proprio una corrente cristiano-sionista che si denomina dispensazionismo) il Nuovo Israele americano ritiene di poter giustificare quanto meno ai propri occhi il massacro di qualcosa come 5 – 7 milioni di Nativi Americani (“Pellirosse”), un genocidio che non ha nulla da invidiare a quello che il processo di Norimberga ha addossato alla parte perdente la seconda guerra mondiale.

Questo spirito brutale, di una carica di violenza che noi stentiamo a immaginare, è stato ben reso da Richard Dawkins che nel suo testo L'illusione di Dio ha riportato alcuni stralci della violenza sottintesa al cristianesimo yankee, violenza che è la stessa degli uccisori di Ipazia, degli aguzzini di Skytopolis, dei crociati che distrussero la Provenza catara, degli inquisitori che mandavano al rogo “eretici” e “streghe”, il volto più autentico del cristianesimo. Si tratta di passi di alcune lettere ricevute da lui o da altri liberi pensatori da lettori statunitensi:

“Avete una bella faccia tosta. Vorrei prendere un coltello, sbudellare voi idioti e urlare di gioia mentre i visceri vi escono dalla pancia. State fomentando una guerra santa in cui un bel giorno io e altri come me avremo il piacere di passare all'azione”.

“Mi conforta sapere che la punizione che Dio vi assegnerà sarà mille volte più grande di qualunque punizione possa infliggervi io. Il bello è che soffrirete in eterno per peccati di cui non vi rendete nemmeno conto. La collera di Dio sarà senza pietà. Spero per il vostro bene che la verità vi sia rivelata prima che il coltello vi penetri nella carne. Voi atei non avete idea del castigo che c'è in serbo per voi. Ringrazio Dio di non essere voi”.

“Feccia adoratrice di Satana. Facci il favore di crepare e andare all'inferno. Spero che ti becchi una malattia dolorosa come il cancro al retto e muori di una morte lenta e atroce, così incontri il tuo Dio, Satana” (4).

E' il cristianesimo una religione basata sull'amore? Da questi passi, proprio non si direbbe, si direbbe piuttosto una religione basata sull'odio, e ci sono due millenni di storia a testimoniare che questo è il suo volto autentico, non la maschera buonista ostentata dal cattolicesimo odierno.

I cattolici, soprattutto della specie tradizionalista, professano oggi una grande simpatia per gli Stati Uniti. Di fronte all'incalzare del neo-paganesimo, del laicismo, delle religioni extraeuropee portate dagli immigrati, islam in testa, sono convinti di aver trovato un alleato, una sponda, ma è proprio da lì che con ogni probabilità arriverà loro il colpo più duro. Ciò che costoro si ostinano a non capire, è che un sistema totalitario non può tollerare centri di potere autonomi.

Gli Stati Uniti hanno acquisito sul mondo cosiddetto occidentale l'egemonia politica, economica e militare, e mirano chiaramente ad acquisire anche quella religiosa esautorando da questo ruolo la Chiesa cattolica. Un primo attacco è venuto sollevando la questione dei preti pedofili. Non è che il problema non sia reale, ma quello che importa, è capire perché sia stato sollevato con tanta enfasi proprio negli Stati Uniti e in tempi recenti.

Il problema è sempre esistito, sempre e dovunque, è il portato inevitabile di una Chiesa che impone a coloro che formano i suoi ranghi un atteggiamento innaturale verso la sessualità e/o recluta i propri adepti fra coloro che hanno una sessualità deviata.

In genere non sono mai state comminate ai preti pedofili sanzioni più pesanti dello spostamento in altra sede; in compenso il diritto canonico prevede il crimen sollicitationis, ossia il “delitto” commesso da coloro che denunciano gli abusi commessi dagli ecclesiastici: le vittime sono trasformate in rei. E' sempre accaduto e lo si è sempre saputo, e allora perché si è deciso proprio ora di sollevare il velo su ciò?

Un altro attacco più sottile è stato portato con la pubblicazione e la diffusione a livello planetario con grande impiego della grancassa mediatica, di un romanzo assolutamente mediocre, ma che contiene non solo un deciso (e meritato) attacco alla Chiesa cattolica e ad alcune fra le sue istituzioni più ambigue come l'Opus Dei, ma prospetta un nuovo (per noi Europei) modello di cristianesimo o cristiano-americanismo, con un Gesù sposato che forse non è morto sulla croce, con Maria Maddalena personaggio molto più importante di quanto finora ci abbiano raccontato (per la gioia delle femministe) che forse era nientemeno che la moglie di Gesù, con i re merovingi che forse erano i discendenti di Cristo, traditi dalla Chiesa a vantaggio degli usurpatori carolingi, il disegno insomma di un cristianesimo alternativo venato di new age e femminismo, americaneggiante e rispetto al quale la Chiesa cattolica appare spiazzata e screditata. Questi certamente non sono che dei ballon d'essai, il più deve ancora venire.

Dovevamo essere nel 1987 o nel 1988. Il presidente sovietico Michail Gorbacev si era recato nella cattedrale di San Basilio a Mosca per annunciare il pieno ripristino della libertà religiosa in Russia. Il patriarca moscovita Alessio II nel suo discorso “di ringraziamento” gli tolse (e ci tolse) qualsiasi illusione che l'arroganza ecclesiastica sia limitata al mondo cattolico.

“Fra mille anni”, disse, “Quando voi non ci sarete più, noi ci saremo ancora”.

Io ho sempre odiato il comunismo, ma in quel momento mi sentii solidale con il povero Gorbacev.

“Ma come?”, mi venne da pensare, “Quest'uomo viene spontaneamente, senza esservi obbligato, a portarvi quella libertà che avete agognato per settant'anni, e tu lo umili con la tua presunzione di superiorità che non ti deriva da niente altro che dall'indossare una tonaca?”

Il patriarca moscovita aveva colto un punto essenziale: la storia di una religione si misura in millenni, quella di un'istituzione politica in decenni o al massimo in secoli, e il confronto era quindi squilibrato in partenza.

Tuttavia non credo che la profezia di Alessio II si realizzerà.

Il cristianesimo cattolico e forse anche quello ortodosso sono agli sgoccioli.

Sarà il giudeo-cristianesimo “made in USA”, la diffusione dell'islam e delle altre religioni esotiche portate dall'immigrazione, sarà la laicizzazione e l'indifferentismo religioso conseguenza di una religione imposta con la forza quando non ha più potuto essere inculcata con metodi violenti, sarà la rinascita neopagana che si profila sempre più chiara fra gli europei autentici, sarà la combinazione di tutte queste cose, ma se non noi, i nostri figli avranno la soddisfazione di vedere la scomparsa degli eredi di coloro che hanno voluto estirpare dall'Europa la sua spiritualità nativa.



NOTE

1. Vlasis Rasias: La distruzione dei templi (estratto), sito della Congregazione degli Ellenici, 13.4.2006

2. Scipione Guarracino, Storia dell'età medievale, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 1992.

3. Miguel Martinez, L'anticristo circasso, sito Kelebek, www.kelebekler.com
Richard Dawkins, L'illusione di Dio, Mondadori, Milano 2006, pag. 210-211.



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