LE ‘NOSTRE’ PAROLE DI ZARATHUSTRA

Postato da Admin il 08 SET 2011

"L’editio sincera di Nietzsche, la collezione “Alter ego” di Ar, che ospita i testi del grande filosofo tedesco con l’originale a fronte, è giunta alla prova decisiva: la versione dello Zarathustra. Opera da far tremare le vene e i polsi per la profondità teoretica, per la purezza stilistica, per il labirinto di echi e rimandi in essa contenuti (illuminati con sorprendente virtuosismo dal Curatore). Il volume (di 590 pagine) vedrà la luce tra qualche mese, ma, data la sua importanza, vi proponiamo di divenirne già sottoscrittori da ora.

LE "CENTURIE NERE" PRECURSORI RUSSI DEL FASCISMO?

Postato da Admin il 28 giu 2011

"Il Fascismo non è nato in Italia e in Germania. Ebbe la sua prima manifestazione in Russia, col movimento dei “Cento Neri”, completo già all’inizio del 900 nelle sue azioni e nei suoi simboli: la violenza politica, l’antisemitismo feroce, i neri stendardi col teschio. “Maurizio Blondet in -Complotti- (Il Minotauro, Milano, 1996, pag.83)...

Steno Lamonica intervista Silvia Valerio

Postato da Admin il 07 SET 2011

Silvia Valerio, ha pubblicato nel 2010 il libro “C’era una volta un presidente”, la fabula milesia dei suoi diciott’anni. Tutt’attorno, eroi, prove, comparse, antagonisti, e qualche apokolokyntosis. "L’invidia… talvolta, in uno di quelli che volgarmente chiamano trip mentali, vedo di fronte a me una nuova versione del Giudizio Universale, un po’ psichedelica e sadica, dove Dio, o chi per lui, affossa ed esalta in base alle reazioni delle anime di fronte a un’opera di Botticelli. Lo so, sono rimasta scioccata da chi al liceo sosteneva che Botticelli i piedi li disegnasse male."

COME IL MONDO ANTICO È DIVENTATO CRISTIANO

Postato da Admin il 27 Set 2011

"Da parte di diversi autori è stato osservato che il cristianesimo si è potuto diffondere con relativa rapidità nel mondo antico, incontrando relativamente poca resistenza, in una maniera che è stata paragonata a un contagio, un'epidemia le cui cause sembrano in qualche modo misteriose, nonostante la sua evidente carica di sovversione e dissoluzione nei confronti del mondo e della cultura antichi.

La Spagna tra Goti Arabi e Berberi in uno degli ultimi scritti di J.A.Primo De Rivera

Postato da Admin il 21 Ott 2011

Ebbe a scrivere Maurice Bardeche in “Che cosa è il Fascismo” (Volpe, Roma, 1980, pag.47) “Il solo dottrinario di cui i fascisti del dopoguerra accettano le idee all’incirca senza restrizioni, non è né Hitler né Mussolini, ma il giovane capo della Falange, il cui destino tragico lo sottrasse all’amarezza del potere ed ai compromessi della guerra”, Frase bellissima come tante altre nel libro del Bardeche, ma che non ha mai completamente convinto chi scrive.(1).



Casalino si basa nella sua interpretazione sulle simbologie alchemiche, astrologiche e mitiche per indicare i sensi profondi e universali della "Romanità" e il significato che assunse nella "Storia" la nascita di Roma, sino al punto di affermare che la vera Tradizione dell'Occidente nacque con essa. Questo volume riunisce due saggi dell'autore apparsi venti anni fa, "Aeternitas Romae. La via eroica al sacro dell'Occidente" e "Il nome segreto di Roma". Uno studio nel segno di Julius Evola e del suo tentativo di ripresentare, reinterpretare e far rivivere gli aspetti spirituali e metafisici della Romanità e quello che Roma e l'Impero significarono e potevano ancora significare per gli italiani di un millennio dopo.


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Nel magistrale L'esoterismo di Dante, René Guénon svelò la visuale per comprendere il senso nascosto del poema.
Pubblicato per la prima volta nella "Piccola Biblioteca" delle edizioni Adelphi, il breve saggio di René Guénon L'esoterismo di Dante costituisce, come quasi ogni libro di questo autore, un prezioso scrigno ricco di inestimabili tesori. "Dante indica in modo esplicito che nella sua opera vi è un "senso nascosto", propriamente dottrinale, di cui il senso esteriore e apparente è soltanto un velo, e che deve essere ricercato da coloro i quali sono capaci di penetrarlo": prendendo spunto dall'indicazione dantesca circa i quattro livelli a cui può essere attinto il senso dell'opera, il metafisico francese (di cui cade quest'anno il cinquantennale della morte) si interessa proprio all'ultimo, che definisce esoterico. Non è del resto un caso che le maggiori divergenze della critica continuino a vertere su questo significato, per comprendere il quale è necessaria, oltre a una speciale predisposizione, una qualificazione di tipo "tradizionale". A parte i fondamentali studi del Valli - di poco successivi al saggio di Guénon, che nella versione originale è del 1925 - in italiano ben poche letture sono state fatte in questa direzione così difficoltosa.http://www.esopedia.it/index.php?title=Ren%C3%A9_Gu%C3%A9non/L%E2%80%99Esoterismo_di_Dante


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Gioacchino Volpe, "L'Italia che nasce"

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Finalmente una storia dei Longobardi che non patisce la distorsione di un'ottica tutta italiana. Di questo popolo interessantissimo, adatto a un'analisi antropologica e non solo storica, Jarnut segue in alcuni capitoli caratteri e mobilità (forse in Scandinavia, certamente nella Germania settentrionale e nelle odierne Boemia e Ungheria) precedenti la famosa invasione italiana del vi secolo.
E un popolo fortemente caratterizzato da un atteggiamento di migrazione totale: non si espande in Italia (come faranno poi i Franchi nell'VIII secolo), ma vi si trasferisce integralmente, lasciando ben poco di sé nelle regioni di provenienza. Il nuovo insediamento italiano fu poi definitivo, e i Longobardi interpretarono in modo "germanico" modelli bizantini (di Bisanzio erano stati alleati militari), tradizioni circoscrizionali romane e schemi culturali dell'antichità, costituendo per l'Italia la più importante cinghia di trasmissione fra il tardo impero romano e il pieno Medioevo.
L'Italia divise in due le vocazioni e i destini dei Longobardi, perché a nord, nella "Langobardia", posero le premesse per il "Regnum Italicum" e per i contatti con altri popoli germanici; a sud, dove dominarono più a lungo, ebbero contatti stretti con i popoli mediterranei. Il loro cammino verso una vera integrazione latino-germanica fu interrotto dall'invasione di Carlomagno. Di questi aspetti Jarnut da conto in pagine che non rinunciano alla narrazione e che contengono, utilmente, tutte le informazioni di base.


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Paolo Diacono, "Historia Langobardorum

Pubblicato da Admin il 11:29 0 commenti

Historia Langobardorum

Paolo Diacono (in latino Paulus Diaconus, pseudonimo di Paolo di Varnefrido - (Cividale del Friuli, 720 – Montecassino, 799) è stato un monaco, storico e poeta longobardo di espressione latina.

La Historia Langobardorum è l'opera più importante scritta da Paolo Diacono. È suddivisa in sei libri e tratta della storia del popolo Longobardo dalle origini al suo apice: la morte del re Liutprando nel 747.

La Historia è scritta in un latino di tipo monastico, si basa su opere precedenti di vari scrittori ed è un misto di prosa e poesia. Le fonti principali furono l'anonima Origo gentis Langobardorum, la perduta ed omonima Historia di Secondo di Non, i perduti Annali di Benevento ed un uso libero degli scritti di Beda il Venerabile, Gregorio di Tours e Isidoro di Siviglia.

Fu scritto nella Abbazia di Montecassino nei due anni successivi al ritorno dalla Francia dopo aver ricoperto il ruolo di grammatico presso la corte di Carlo Magno. La storia è vista con un'ottica da patriota longobardo, e descrive anche l'intreccio delle relazioni fra i Longobardi, i Franchi, i Bizantini ed il Papato. La narrazione della storia si può suddividere in due fasi, la prima lineare, descrive la fase del popolo prima dell'entrata in Italia, un unico indistinto di un popolo che si muove per territori quasi si preparasse all'arrivo in una Terra Promessa, il secondo, descrive le gesta di tanti attori che si radicano in territori ben precisi e si fondono con i luoghi e le genti. Il tutto legato ad un filo narrante scandito dalla successione dei Re. Una particolare attenzione è alla chiesa italiana di quel periodo anche su personaggi che non si intrecciarono con la storia dei Longobardi in Italia.

Dal punto di vista storico è un'opera importante e molto studiata, dato che è una delle pochissime fonti in cui si affronta (peraltro spesso in maniera quasi sbrigativa) il passaggio traumatico in Italia dalla civiltà romana a quella barbarica.


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Giovenale, "Satire"

Pubblicato da Admin il 10:56 0 commenti
Giovenale ammette fin dall'inizio che quel che lo spinge a scrivere è l'indignazione verso il degrado della società in cui si trova a vivere (I, 79-80); probabilmente la morte di Domiziano nel 96 lo avrà spinto ad uscire allo scoperto, e anche l'amicizia con Marziale, che gli dedicò diversi epigrammi, dovette spingerlo all'emulazione. L'indignazione gli permette anche di superare i modelli diatribici e retorici (il tipo della suasoria è ironicamente quanto programmaticamente citato nella satira I) su cui sono tecnicamente costruite molte delle sue satire, specialmente negli ultimi libri. Intorno al 100 Giovenale pubblica la prima raccolta di satire, in età relativamente avanzata se, come sembra ragionevole, era più anziano o coetaneo di Marziale. È il suo momento di sbottare: Semper ego auditor tantum? Dovrò sempre stare solo a sentire? (Sat. I,1). I bersagli della satira di Giovenale sono numerosi, provenienti da ogni ceto e da ogni sesso; tutta la società romana del suo tempo è bollata con parole di fuoco. Così i rampolli debosciati dell'aristocrazia, privati del potere sono dediti a tutti i vizi importati dall'oriente quasi a tenerli in soggezione. Allo stesso modo la plebe si mantiene imbelle pascendola e offrendole spettacoli gladiatori e corse (la celeberrima espressione panem et circenses è proprio di Giovenale). Le donne, che sono ormai emancipate e aspirano ad altri ruoli piuttosto che alla filatura della lana nella domus del marito o del padre, sono viste come in preda ad una vertigine di ninfomania, che culmina nel celebre ritratto di Messalina/Licisca nella sesta satira. Gli Orientali sono l'estremo della degradazione umana, siano essi Graeculi che sussurrano nelle orecchie dei loro protettori, togliendo spazi ai buoni romani di stirpe rustica (come l'autore) che così sono ridotti alla vita miserabile del cliente, o Egiziani descritti come poco più che bestie, dedite al cannibalismo. Insomma, l'indignazione di Giovenale, vera linfa della sua creazione poetica, è a ben guardare un sentimento profondamente anacronistico. La società dei suoi tempi infatti vede l'abbassamento dell'antica aristocrazia dominante e l'insorgere delle nuove classi mercatorie, lo spostamento della fruizione culturale dall'élite senatoria a un pubblico più ampio, nuove convenzioni sociali e di costume che permettono un miglioramento nella condizione femminile (sempre parlando di donne libere) al prezzo della rinuncia alle prische virtù. Di tutto questo Giovenale non si avvede, o sceglie di non avvedersene. Ben pochi si salvano nell'oscuro universo tratteggiato nelle satire; un Amico che decide di abbandonare la pericolosa e corrotta Roma (III), un ritratto vivido e umoristico di un povero gigolo, Nevolo, dedito a sollazzare nobili invertiti e le loro vogliose matrone, che si lamenta del suo destino e anela a un'impossibile "redenzione" (IX): in pochi squarci lirici delle satire vediamo una rappresentazione idealizzata ma commossa della vita nei municipia, nelle antiche e un po' dimenticate città italiche come Aquino, sua patria. In una cittadina assistiamo a una rappresentazione teatrale, col pubblico che assiste rapito, ben diverso dallo smaliziato e schizzinoso pubblico dell'Urbe, e con i maggiorenti confusi e indistinguibili tra la folla (III). Ancora in questo "filone" dell'arte di Giovenale assistiamo nella satira XI all'evocazione di un banchetto che intende offrire a un amico (il topos è ovviamente quello messo alla berlina nel celebre epigramma di Catullo), in cui si descrive la mensa del poeta, non misera, non inutilmente fastosa, carica di pietanze non ricercate, ma sane e di buon sapore, servite da schiavi ben vestiti, perché non soffrano il freddo, che serviranno come meglio possono, ma capiscono il latino. Ma è nelle pagine sulfuree, più cariche di bile non smaltita, che l'arte di Giovenale colpisce il lettore, come nelle pagine compiaciute in cui descrive le notti brave delle matrone romane che hanno gettato al vento ogni ritegno, o quando descrive l'adunata dei consiglieri imperiali che si affretta per discutere del miglior modo di cuocere un rombo donato a Domiziano. Si può facilmente ironizzare sulle ragioni che spinsero Giovenale a descrivere così violentemente la sua epoca, ma non si può non restare colpiti dalla potenza delle sue immagini fosche e lutulente.


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Tito Livio, "Ab Urbe Condita"

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Si dice che a Remo per primo giunse il presagio cioè 6 avvoltoi e questo augurio era stato annunciato essendo apparso a Romolo un numero doppio i suoi seguaci avevano salutato l'uno e l'altro come re: gli uni in base alla priorità del tempo gli altri in base al numero degli uccelli reclamavano il regno. Quindi dopo essersi scontrati a parole nell'ardore dell'ira si volsero al massacro; qui nella folla colpito Remo cadde. È versione più diffusa che in segno di scherno verso il fratello Remo abbia varcato con un salto le mura recenti poi sia stato ucciso da Romolo irato il quale urlando avrebbe aggiunto queste parole:così (sarà ucciso) in seguito chiunque oltrepasserà le mie mura. Così Romolo solo si impadronì del potere; la città appena fondata fu chiamata con il nome del fondatore. Fortificò dapprima il Palatino in cui egli stesso era stato educato. Compì riti religiosi agli altri dei secondo il rituale albano ed Ercole secondo quello greco come erano stati stabiliti da Evandro.


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Massimo Fini, "Catilina" (Mondadori)

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Chi è stato veramente Catilina? Quali erano gli scopi della sua congiura? Massimo Fini continua, dopo Nerone, le sue originali biografie storiche, autentiche rivisitazioni critiche di personaggi troppo facilmente liquidati da una storiografia conformista. La figura di Catilina che tratteggia in questo libro è ben lontana dal personaggio tramandatoci da Sallustio e Cicerone. Patrizio di nobilissima origine, bello e inquieto, Catilina si oppose all'oligarchia dominante da cui proveniva e abbracciò la causa della plebe. Egli guardava dietro di sè, verso la Roma delle origini, dove i valori erano l'onore, il coraggio fisico e morale, la lealtà, la coerenza, e la ricchezza non era ancora l'unico premio. Una classe dirigente corrotta mascherava dietro nobili parole sul "bene comune" la difesa dei proprio privilegi; la ricchezza e il potere avevano preso il posto dei valori morali. Più volte Catilina tentò la via legale del consolato: ne fu sempre respinto con ogni genere di trucchi e di brogli. Allora prese le armi: affrontò lo scontro con forze enormemente inferiori, sapendo di soccombere. E morì, pagando con la vita la fedeltà a se stesso.


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Renato Del Ponte: “Nel santuario della Grande Madre al Phrygianum – oggi sotto le fondamenta di San Pietro – i dati epigrafici delle iscrizioni commemorative ci parlano di riti effettuati ininterrottamente almeno sino al 390


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Alessandro (12-11-2005)
Uno di quei rari testi, che parla di Noi, delle nostre Radici Arcaiche, e che danno una Visione Viva, Vera del Senso del Sacro, elevatissimo che caratterizzava i nostri Antenati precristiani. Tra importazione forzata di un 'Celtismo' mai esistito, e di chiara impronta esterofila, e la distorsione svalutante che la cultura cristiana ha sempre operato, la Spiritualità Italica, pre-cristiana e nostrana mostra i suoi Tanti Volti, la sua Etica, l'Anelito Cosmico, cosi' come tante Dee e tanti Iddii, capaci di coesistere ed arricchire, nel Relativismo e nella Tolleranza tipiche del Mondo Gentile, poi definito dai cristiani 'Pagano'. Complimenti davvero all'ottima Opera del Prof.Renato Del Ponte. Valete Bene!
Voto: 5 / 5

Lorenzo (01-03-2004)
Il libro di Del Ponte è straordinario. Restituisce finalmente dignità alla tradizione mitica degli italici e dei romani, superando la vecchia visione che vedeva i suddetti miti una semplice fotocopia dei più sofisticati miti greci. Avendo già letto il libro di Carandini sulle origini di Roma, mi sono reso conto che Dal Ponte è veramente un anticipatore delle moderne teorie sulla nascita della città eterna.
Voto: 5 / 5
hirpus (19-04-2003)
La lettura di quest'opera è stata per me una sorprendente rivelazione. L'argomento è la Tradizione italica e romana: ma potrei dire che si tratta di un libro ecologista e animalista, se le sue pagine, animate quasi da afflato poetico, sono volte a mostrare il volto ierofanico della natura vegetale e animale che visse nell'antico suolo italico. Infatti l'Autore con un metodo singolare, che valorizza le fonti antiche, ivi compresa l'annalistica romana, restituisce con maestria e controllata partecipazione la sacrità dei luoghi che sono stati la culla della nostra civiltà. Dal Campidoglio, primeva dimora di Saturno, alle numerose radure boschive sede delle teofanie di Fauno e Diana, all'omphalos Italiae, che la Tradizione vuole situato nel mirabile lago di Cotilia con un isolotto natante centro cultuale, ma anche luogo di pascolo, la vita comune di quei popoli dalle misteriose origini appare immancabilmente permeata da una tensione religiosa e dal costante senso di una divina origine.Una gran voglia di visitare e abitare tali luoghi mi ha preso durante la lettura di questo libro, che consiglio fortemente.


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Di tutti i popoli e le tribù con cui i Romani si trovarono a combattere per la supremazia in Italia, nessuno fu più minaccioso dei Sanniti. Forti e valorosi, possedevano un territorio più ampio e un temperamento più risoluto di qualsiasi altra popolazione della penisola. Abbastanza numerosi e coraggiosi da rifiutare di sottomettersi a Roma, le opposero una resistenza militare e politica delle più strenue. Dal 343 al 290 a.C. impegnarono i Romani nei tre conflitti noti come guerre sannitiche. Anche la loro influenza sui Romani fu, per un lungo e cruciale periodo, costante, immediata, inevitabile: si potrebbe dire che essi li incitarono e li spronarono sulla strada dell'impero. Alla fine anche questo popolo si disperse e venne assorbito nel diluvio latino


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La Lingua Etrusca

Pubblicato da Admin il 05:47 0 commenti



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Ignis, "Rumon" (Graal)

Pubblicato da Admin il 05:38 0 commenti
Opera teatrale scritta nel 1914. La tragedia, scritta in un italiano fortemente arcaizzante, tratta della fondazione di Roma. Tra le sue righe si può riconoscere una profonda conoscenza della storia romana e di alcuni suoi aspetti occulti. 

Dall'Introduzione: Il Rumon di IGNIS: la scena e le quinte, pag. 9:

“... Fu infatti per esortare gli italiani all'entrata in guerra e quasi ad invocare il risveglio della Dea Roma che Ignis, scrisse il suo Carme a Roma che è datato 15 agosto 1914. Questo carme, costruito come il Rumon in forma di carmen solutum, è una violenta invettiva contro i vili... E' inoltre una preghiera a Roma...”.


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Prima Tellus

Pubblicato da Admin il 05:37 0 commenti

Prima Tellus

Prima Tellus
Sulle tracce dell’Italia Primigenia - La dissertazione sulla Gigantèa dell’isola di Gozo.
Autore/i: Ravioli Camillo
Editore: I Libri Del Graal
introduzione di Siro Tacito. pp. 112, ill. b/n, Roma Prezzo: € 10,00
Erudito di vasti interessi, fu Segretario della “Spedizione Romana in Egitto” (1840), Capitano del Genio e di Stato maggiore (1848-1849), ingegnere e consigliere sanitario della Provincia di Roma. Il suo nome, oggi, pressoché dimenticato, è legato a studi di storia militare, storia dell’arte, archeologia, ma soprattutto alla ricerca delle più profonde e remote radici dell’Italia; in quest’ultimo ambito, le tesi da lui esposte ebbero una notevole influenza sul clima culturale italiano a cavallo tra il, XIX e il XX secolo. Il suo diretto successore in tali studi fu Ciro Nispi-Landi.
“Prima Tellus”, in riferimento al primordiale continente italo-atlantideo, è il titolo del presente volume che riunisce due scritti: un saggio introduttivo di Siro Tacito e la “Dissertazione sulla Gigantéa dell’isola di Gozo” di Camillo Ravioli. In quest’ultimo scritto, breve ma assai denso, Ravioli identifica nel monumento dell’isola dell’ arcipelago maltese un “Teschio Cabirico”, tempio tipico di un’antichissima civiltà, identificata con l’Atlantide di Platone, fiorita su suolo italiano. Con vasta erudizione, e attingendo verosimilmente alcuni elementi da dottrine riservate nell’ambito della Schola Italica, viene delineata la visione del Sacro propria a tale civiltà, ed il suo influsso in tutto l’antico mediterraneo. Nel saggio introduttivo, Siro Tacito illustra gli aspetti principali della tesi di Ravioli, e accenna agli studiosi che dopo di lui hanno esposto idee analoghe, giungendo fino a metà del ventesimo secolo.


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Storia della prima Italia

Pubblicato da Admin il 05:29 0 commenti

Storia della prima Italia

di Pallottino Massimo

 

L'Italia come realtà politica, linguistica e culturale unitaria è unacreazione di Roma a partire dall'età di Giiulio Cesare e di Augusto. Prima diallora la Penisola era un mosaico etnico-culturale di gruppi regionali etero-genei, ciascuno con lingue e tradizioni proprie, le cui vicende siintersecavano fra loro e con aree esterne del Mediterraneo e dell'Europacontinentale. I caratteri di questa "prima Italia" rivestiranno unaparticolare importanza per la storia millenaria del nostro paese, in cui siintrecciano costantemente due ragioni dialettiche legate alla stessaconfigurazione geografica: da un lato la vocazione unitaria, dall'altro latendenza a un pluralismo regionale.



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Relazione sull'altare della Vittoria"

Pubblicato da Admin il 05:27 0 commenti
Quinto Aurelio Simmaco, "

Nel 357 d.C. Costanzo II, mentre era in visita a Roma e prima di ripartire per Costantinopoli pur esercitando i propri uffici di pontefice massimo coll'assegnare o confermare gli esponenti dell'aristocrazia senatoria ai posti loro spettanti dei collegi sacerdotali, ordinò che fosse rimosso dalla Curia Julia, cioè dall'aula del Senato, l'altare della dea Vittoria, uno dei simboli più significativi del legame esistente fra autorità imperiale e le religiones tradizionali dll'Urbe e quindi i membri del Senato stesso.
Era stato Augusto in persona, il fondatore dell'Impero, il 28 agosto del 29 a.C., ad elevare nella Curia da lui edificata, una statua di Vittoria, opera di fattura greca, di provenienza tarantina, e a dedicarvi un apposito altare. La sua presenza è sempre attestata, anche quando Diocleziano, più di trecento anni doporiedificò l'aula senatoria. Di bronzo dorato, il simulacro rappresentava una figura femminile, alata, poggiante i piedi nudi su un globo, le vesti svolazzanti ed una corona d'alloro nella destra. Era inveterata consuetudine che i senatori, nell'atto di entrare nell'aula, bruciassero incenso o liberassero vino alla Vittoria sull'altare adiacente: resta aperta la questionese ara e statua rappresentassero o no un binomio inscindibile. Era quello l'omaggio simbolico alla divinità tutelare dell'Impero e nel contempo la testimonianza della fedeltà del Senato nei confronti della dinastia regnante.
Durante la restaurazione pagana di Giuliano (361-363) è da supporre che l'ara tornasse in Senato mediante un decreto prefettizio o un senatoconsulto: infatti, dopo la parentesi di Gioviano (363-364), durante il regno di Valentiniano I è noto come fosse tranquillamente continuato l'uso di sacrificare alla Vittoria nella curia.
In effetti, sotto Valentiniano I (364-375) e per la maggior parte del regno di Graziano suo figlio (375-383) le cose si mantennero tranquille: cristiani e pagani godevano di eguale prestigio pubblico e, sebbene i sovrani professassero la fede in Cristo, tuttavia i culti tradizionali ed i relativi sacrifici continuavano a mantenersi a spese dello Stato.
Ne sono testimonianza le prime lettere dell'epistolario simmachiano, in cui è parola delle decisionie decreti del collegio pontificale, degli ostenta espiati con sacrifici, delle festività della Gran Madre degli dei e, come si pè isto, si discute anche in materia di Vestali. Ma nel 382, su probabile solecitazione di papa Damaso e del vescovo milanese Ambrogio, l'autorità dello Stato fu tolta ai culti tradizionali, che non più furono riconosciuti "culti dello Stato", ma solo oggetti di dirito privato. Le spese relative ai culti furono riversate in parte nel fisco imperiale e in parte nelle casse del prefetto al pretorio, sottratte le rendite fondiarie delle Vestali e degli altri collegi sacerdotali ed adoperate a pagare umili corporazioni artigiane, confiscate le terre dei templi e dei collegi e loro interdetto di riceverne in eredità in futuro, L'ara Victoriae, infine, fu nuovamente rimossa.
Era di fatto la "laicizzazione" dello Stato, che in realtà sottointendeva l'imminente fagocitazione dello Stato stesso da parte di una Chiesa cattolica onnipotente e rapacemente gelosa del proprio potere assoluto ed esclusivo.
Per i pagani questi provvedimenti erano privi di senso, in quanto per loro lo Stato non avrebbe potuto sostenersi senza in cultus deorum, garantente la pax deorum, vale a dire la protezione divina sulle sorti dell'Impero. Era come se venisse unilateralmente infranto un antico patto giuridico: quello che, a partire da Romolo e Numa, era stato stipulato fra res publica Romanorum e potenze divine, col fine ultimo della tutela e conservazione dello Stato stesso. Abolire il finanziamento pubblico ai culti tradizionali era rompere quell'antico contratto: ecco perché non potevano esistere culti, che non avessero la pubblica sanzione e finanziamento.
Senza un riconoscimento pubblic, giuridicamente valido, i culti rientravano nella sfera privata, ma lo Stato perdeva la sua anima, diveniva un'entità desacralizzata priva di luce e riferimento superiore, con conseguenze gravissime facilmente immaginabili: la caduta dello stesso Stato, abbandonato a se stesso da quelle divinità che l'avevano sostenuto per undici secoli e mezzo.
Per i cristiani queste obiezioni contavano poco: a parte la nuova garanzia che si voleva ora fornita all'Impero dal loro dio unico, in fin dei conti a loro non interessava tanto la continuità della res publica Romanorum in sé, cristiana o non cristiana che fosse, ma la supremazia spirituale (e i mezzi economici per affermarla...) sulle anime di tutta l'umanità: in particolare, la loro attenzione si sarebbe ben presto volta verso le fresche e vergini forze barbariche prementi alle frontiere, quale più efficace e fertile terreno di coltura della loro azione evangelizzatrice.
Con i decreti del 382 si volle, in definitiva, distruggere la ritualità dello Stato romano, sottraendo il supporto economico che ne stava alla base:anche se, come si è detto prima, la questione non doveva intendersi in termini puramente economici (come surrettiziamete vollero vedere gli avversari, allora, e molti storici moderni in epoca recente), poiché l'intervento anche economico dello Stato era giuridicamente connesso all'esistenza stessa dei culti. Insomma, culti e Stato non possono, nell'ottica tradizionale, essere scissi: il concetto, tutto moderno, di laicismo, è una mostruosità inconcepibile per le società tradizionali.
Una prima ambasceria condotta da Simmaco alla corte di Milano nello stesso anno non ebbe alcun successo per il ristabilimento dello status quo, per via di un libello fatto pervenire a corte da papa Damaso, in cui alcuni senatori cristiani si dissociavano dai colleghi e chiedevano il mantenimento delle leggi antipagane.
Ma gli dei si vendicarono del loro spregiatore e l'anno seguente Graziano cadeva per mano dell'usurpatore, mentre una carestia di immani proprorzioni colpiva le provincie mediterranee.
Era forse un segno divino che una nuova iniziativa poteva essere tentata presso il nuovo sovrano d'Occidente, Valentiniano II, di soli dodici anni, la cui madre, Giustina, era di fede ariana e quindi ostile al vescovo Ambrogio. Nel 384, inoltre, una particolare congiuntura favorevole parve assistere il partito pagano in Occdente: Simmaco diviene prefetto urbano, Pretestato prefetto pretorio d'Italia, Bauto e Rumorido (germanici pagani) sono capi dell'esercito, Marciano (amico di Simmaco) è vicario d'Occidente. La nuova ambasceria, votata ad ampia maggioranza dal Senato, questa volta senza opposizione cristiana, viena tantata in luglio e sarà di nuovo Simmaco a capeggiarla, questa volta con molte più speranze di successo. Simmaco legge la Relatio che viene pubblicata nel testo che segue e la maggioranza dei consiglieri dell'Imperatore, non solo i pagani, ma anche i cristiani, è dl parere di accedere alle richieste del Senato. Ma ecco intervenire Ambrogio due volte in rapida successione: non sono tanto le sue considerazioni "pastorali" e la sua dialettica a prevalere, quanto le minacce di scomunica rivolte esplicitamente al giovane Imperatore, dai possibili effetti dirompenti sul piano politico per una corte debole, che necessitava inoltre del sostegno del catolicissimo Teodosio contro la minaccia, sempre incombente da ovest, di Magno Massimo. Ogni decisione favorevole alle richieste pagane verrà allora bloccata.
Pasò qualche anno ed il 24 febbraio 391 Teodosio da Milano emanò una legge, indirizzata al praefectus urbi Rufio Albino, in cui si proibiva completamente ogni culto gentile e perfino le visite ai templi; successivamente, in giugno, proprio a Nicomaco sr., allora prefetto al pretorio d'Italia, il sovrano notificava una minacciosa e severissima legge contro gli apostati dalla religione cristiana. Era un linguaggio alquanto eloquente, ma con ciò veniva finalmente gettata la maschera: era la fina dell'ultima tolleranza. Ma i templi non si chiusero, i collegi sacerdotali non si sciolsero: di lì a poco la rivolta di Eugenio ed Arbogaste sopraggiungeva a determinare il crollo del sistema teodosiano in Occidente.
Fra il 392 e il 394 torna in Senato, per l'utima volta, l'ara victoriae, i contributi ai collegi sono restaurati, i cembali della Gran Madre risuonano ancora per le vie di Roma. Ma è un sogno di breve durata, che si infrange sulle sponde del Frigido e nel pugnale insanguinato di Flaviano. Simmaco è eloquente testimone di tutto ciò: della fine di un certo mondo, ma anche delle tenace volontà di perpetuarlo per vie insolite e meno appariscenti, come abbiamo visto nela seconda parte della sua Vita, e nell'eredità lasciata ad una fiorente posterità: senza Simmaco non vi sarebbe stato un Boezio e senza Boezio forse Dante non sarebbe stato tale e il mondo della classicità latina non sarebbe nulla più che un muto residuo archeologico e non quella realtà che per molti ancora vivedi luce propria.


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Lo Splendore della Romanitas

Pubblicato da Admin il 05:17 0 commenti
Quinto Aurelio Simmaco

La perfezione dell'uomo religioso romano-italiano e la costituzione della civiltà universale della Pace
È a una figura simbolo, all’Ottimo Padre romano Quinto Aurelio Simmaco che è dedicato questo libro, quale rappresentante esemplare dell’uomo romano-italiano, impegnato nell’ultimo fronte di difesa dell’Ordine Divino di Roma, del suo Impero, della sua Pace.
Questa trattazione non si occupa della vita esteriore, storica dell’Ottimo Padre, questa descrizione è già stata svolta in altre opere. Qui si esamina l’essenza del magistero di Simmaco secondo una prospettiva religiosa romano-italiana tradizionale, nel quadro della Religio Aeterna, e perciò nel contesto metafisico integrale della Provvidenza Assoluta, e in riferimento alla misura divina di Pace Universale Perfetta che la teofania romana, quale teofania del Regno e della Regalità Divina Eterna, ha inverato nell’umanità.
Nel dispiegamento dei capitoli, è possibile cogliere dapprima il mistero della costituzione di Roma e del Popvlvs Romanvs Qvirites, attraverso la comprensione della palingenesi di Enea, investito della funzione di restituire l’umanità al suo stato aureo primordiale. A seguire si tratta lo specifico ufficio di Impero riservato a Roma e al Popolo romano, della natura del genvs eneade-romano e della sua religione esemplare, fondamento della costituzione della perfezione della Pace Divina nell’immanenza della civiltà umana. In questo contesto e in particolare nel delicato momento della crisi e del conflitto del IV secolo, Quinto Aurelio Simmaco riassume in se stesso il modello del Senator., contribuendo in maniera preminente a fissare la norma invariabile dell’ortoprassi antica, che era stata il perno della regolarità della tradizione per l’acquisizione dell’avctoritas e della potestas, in tutti gli oltre dieci secoli del ciclo romano, raccogliendo e unificando il patrimonio della Sapientia Maiorvm espressa nel Mos Maiorvm, ordinando il corpvs degli avctores di riferimento, definendo la prassi della formazione civile e religiosa dell’autentica persona romano-italiana, fondando teoricamente il modello del perfetto Senator-Orator, codificando gli stvdia per il pieno conseguimento dell’hvmanitas-romanitas, regolando il cvrsvs honorvm, garantendo una mentalità romana regolare a tutto l’Ordo Senatvs. 'Il modello costituito dal Senator-Orator doveva essere proposto come classico, perciò invariabile, la posterità avrebbe dovuto imitarlo senza indugi, affinché l’essenza dell’autorità senatoriale, depositaria del Mistero di Roma, e con essa il Senato e l’Ordo Senatvs, potessero mantenersi nei secoli, in vista della fedeltà all’Ordo renascendi della Città Divina, Roma.'
Gli elementi essenziali della religione romana furono così ben custoditi e trasmessi nel tempo, in intima comunione con l’esoterismo virgiliano, attraverso il quale la linea arcana della tradizione di Roma-Italia si è conservata nei secoli fino ad oggi. Nella parte conclusiva del libro, viene tracciato solo un abbozzo delle linee guida per l’adeguata costituzione dell’Ordo Senatvs. Il riferimento di ogni opera romano-italiana tradizionale, ancora oggi, in un tempo che presenta molte analogie con il IV secolo, è fornito dal magistero di Quinto Aurelio Simmaco, in esso si trova l’insieme degli elementi necessari per la ricostituzione e la direzione dell’Ordo Senatvs.


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La grande scoperta di Georges Dumézil è stata l’articolazione tripartita della cultura, del mito e delle società uscite dalla comune eredità indoeuropea, dall’Irlanda all’India antica; in questo saggio ci dona una sintesi agile ed accessibile dei suoi studi sulla mitologia, le religioni e le società delle popolazioni di radice indoeuropea, con particolare riguardo al mondo greco-italico. Uno strumento unico per comprendere in profondità i legami tra mito e struttura sociale nelle antiche civiltà europee ed asiatiche.


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La religione romana arcaica

Pubblicato da Admin il 04:59 0 commenti

Miti, leggende, realtà della vita religiosa romana. Con un'appendice sulla religione degli etruschi 

Georges Dumézil fu docente di civiltà indeuropea al College de France a partire dal 1948. Proprio la sua perizia nel muoversi nelle aree delle diverse culture antiche lo porta a non abbracciare la teoria che vede la religione dei romani come una semplice prosecuzione di quella dei greci. Essa fu una forma di culto complessa e originale, anche se mediata da altre culture.



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La Libreria

Pubblicato da Admin il 00:59 2 commenti
Nessuno potrà aspirare alla Vittoria nella lotta politica, senza una solida preparazione ideologica che si concretizza nello strumento principe, il Libro. Il Militante, poi, ha il Dovere verso ciò cui crede di essere preparato per la sconfitta dialettica con il Nemico il quale ha mille volti, spesso nascosti da maschere perbenistiche tipiche del catto-marxismo. Il Sistema Plutocratico che sfascia l'Italia ha perfettamente compreso che tramite la ben oliata meccanica della Congiura del Silenzio, si toglie all'Avversario il consenso politico. Ecco perché le Case Editrici di Destra (alludiamo alla destra anticapitalista, NON quella che giace nel letto dei Banchieri...) sono messe nella sabbia del Silenzio.
Meno si leggono un Luca Leonello Rimbotti, un Alfred Baeumler, un Cesare Ferri, un Oswald Spengler -solo per citarne alcuni- più la cachistocrazia -splendido termine ellenico che ben denota il "Governo dei Peggiori"...- esaltata dal Sistema Plutocratico che spadroneggia (SENZA avversari, NOI esclusi...) continuerà a strangolare il Popolo. Ecco, quindi, la necessità di fornire ai nostri Connazionali-Nemici compresi, i migliori ci seguiranno - un bisturi allegorico per estrarre dal Corpo Sano della Nazione quel mostruoso tumore che affama ogni Popolo, il Mondialismo, che attraverso il Capitalismo e Materialismo, complici anche talune religioni cosmopolite ed internazionaliste che hanno spiritualmente "arato" il terreno, si sono presentate in OGNI Governo dei Popoli, basti pensare alle orrende responsabilità che la Grande Macelleria, il Comunismo, ha scatenato CONTRO il Lavoratore. Offriamo una attenta lettura dei testi segnalati convinti che il miglior Militante è colui che SA per cosa combatte. NOI veniamo dalle Statue di Roma Imperiale e dagli Scudi degli Spartani.

Gli Scaffali




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