LE ‘NOSTRE’ PAROLE DI ZARATHUSTRA

Postato da Admin il 08 SET 2011

"L’editio sincera di Nietzsche, la collezione “Alter ego” di Ar, che ospita i testi del grande filosofo tedesco con l’originale a fronte, è giunta alla prova decisiva: la versione dello Zarathustra. Opera da far tremare le vene e i polsi per la profondità teoretica, per la purezza stilistica, per il labirinto di echi e rimandi in essa contenuti (illuminati con sorprendente virtuosismo dal Curatore). Il volume (di 590 pagine) vedrà la luce tra qualche mese, ma, data la sua importanza, vi proponiamo di divenirne già sottoscrittori da ora.

LE "CENTURIE NERE" PRECURSORI RUSSI DEL FASCISMO?

Postato da Admin il 28 giu 2011

"Il Fascismo non è nato in Italia e in Germania. Ebbe la sua prima manifestazione in Russia, col movimento dei “Cento Neri”, completo già all’inizio del 900 nelle sue azioni e nei suoi simboli: la violenza politica, l’antisemitismo feroce, i neri stendardi col teschio. “Maurizio Blondet in -Complotti- (Il Minotauro, Milano, 1996, pag.83)...

Steno Lamonica intervista Silvia Valerio

Postato da Admin il 07 SET 2011

Silvia Valerio, ha pubblicato nel 2010 il libro “C’era una volta un presidente”, la fabula milesia dei suoi diciott’anni. Tutt’attorno, eroi, prove, comparse, antagonisti, e qualche apokolokyntosis. "L’invidia… talvolta, in uno di quelli che volgarmente chiamano trip mentali, vedo di fronte a me una nuova versione del Giudizio Universale, un po’ psichedelica e sadica, dove Dio, o chi per lui, affossa ed esalta in base alle reazioni delle anime di fronte a un’opera di Botticelli. Lo so, sono rimasta scioccata da chi al liceo sosteneva che Botticelli i piedi li disegnasse male."

COME IL MONDO ANTICO È DIVENTATO CRISTIANO

Postato da Admin il 27 Set 2011

"Da parte di diversi autori è stato osservato che il cristianesimo si è potuto diffondere con relativa rapidità nel mondo antico, incontrando relativamente poca resistenza, in una maniera che è stata paragonata a un contagio, un'epidemia le cui cause sembrano in qualche modo misteriose, nonostante la sua evidente carica di sovversione e dissoluzione nei confronti del mondo e della cultura antichi.

La Spagna tra Goti Arabi e Berberi in uno degli ultimi scritti di J.A.Primo De Rivera

Postato da Admin il 21 Ott 2011

Ebbe a scrivere Maurice Bardeche in “Che cosa è il Fascismo” (Volpe, Roma, 1980, pag.47) “Il solo dottrinario di cui i fascisti del dopoguerra accettano le idee all’incirca senza restrizioni, non è né Hitler né Mussolini, ma il giovane capo della Falange, il cui destino tragico lo sottrasse all’amarezza del potere ed ai compromessi della guerra”, Frase bellissima come tante altre nel libro del Bardeche, ma che non ha mai completamente convinto chi scrive.(1).

"Il Fascismo non è nato in Italia e in Germania. Ebbe la sua prima manifestazione in Russia,  col movimento dei “Cento Neri”, completo già all’inizio del 900 nelle sue azioni e nei suoi simboli: la violenza politica, l’antisemitismo feroce, i neri stendardi col teschio. “Maurizio Blondet in <Complotti> (Il Minotauro, Milano, 1996, pag.83). “Si può considerare l’Unione del Popolo Russo di Dubrovin, fondata nel 1905, come il primo partito fascista”Thomas Sthaler <Fascismo- Fascismi-Nazionalsocialismo> (Idee in Movimento, Genova, 2006, pag.9)
Chi scrive, per quel che ha letto del fenomeno in questione, non si sente di far proprie totalmente queste opinioni di studiosi sempre interessanti, se quello che scrivono il Blondet e lo Sthaler pare esagerato è pur vero che la Russia negli ultimi anni del regime zarista vide sorgere movimenti riconducibili a quella che è definita “destra radicale” che vennero, in seguito considerati da alcuni storici come “proto fascisti”, movimenti comunemente noti come <Cento Neri> (o anche <Centurie Nere> 1) Si tratta di gruppi che F.L.Carsten (<La Genesi del fascismo> Baldini e Castoldi, Milano, 1970, pag.57) definiva di “nuova destra” nemici egualmente di liberalismo e di socialismo nonché solitamente avversi agli ebrei. A proposito di codesti movimenti in Russia scriveva M.Agursky (<La Terza Roma>pag. 188): “.. l’estrema destra radicale russa non costituiva un movimento monolitico e comprendeva diversi gruppi monarchici e nazionalisti che in parte si erano formati spontaneamente e in parte, erano stati organizzati dall’alto …..Fra questi gruppi regnava un vivo antagonismo” (2 )
Ricordiamo tra i vari gruppi l’Unione dei Russi, il Partito Monarchico Russo, la Società per la Lotta contro la Rivoluzione, l’Aquila Bicipite Bianca etc.
Possiamo qui riportare il programma del Partito Nazionalista Russo reso noto il 25 X 1909 “I unità dell’Impero, protezione dei Russi in ogni parte dell’Impero e la Russia per i Russi. II Lealtà sia all’autocrazia che alle istituzioni rappresentative. III Sviluppo della Chiesa Ortodossa, specialmente nei villaggi. IV Miglioramento della situazione economica dei contadini e sostegno alla proprietà privata dei contadini, V Indivisibilità della proprietà privata. VI Diritto al lavoro. VII Sviluppo del governo locale in Russia per proteggere i Russi nelle aree dove sono in minoranza. VIII Opposizione all’eguaglianza dei diritti per gli ebrei. IX Pianificazione nazionale per industria ed agricoltura.  X Sviluppo nelle scuole dell’autocoscienza nazionale russa.”
Come scrive lo Shenfield (<Russian fascism,…>pag30) “La creazione di codeste organizzazioni che non a caso coincise con le sollevazioni.. del 1905, segna un inizio radicalmente nuovo per i conservatori russi” che in precedenza avevano respinto ogni ipotesi di politica <di massa> come attività spregevole e sovversiva, ma che erano ora giunti a  vedere la necessità di formare un contrappeso  alle sinistre liberali e socialiste. Tali iniziative aiutate da una parte e ostacolate dall’altra dall’ufficialità zarista poterono avere un relativo successo.”

Il più importante di codesti movimenti fu senz’altro l’Unione del Popolo Russo(Soiuz Ruskogo Narodna) partito che, sorto in reazione alla sconfitta  del 1905 nella guerra contro il Giappone (3) e dei moti rivoluzionari che ne seguirono, si proponeva di mobilitare  anche dei settori delle classi lavoratrici in difesa dell’autocrazia zarista. All’UPR furono favorevoli ambienti che guardavano con timore alla progressiva industrializzazione del paese e paventavano una colonizzazione della Russia da parte  del capitalismo internazionale. In tale movimento, come si è detto, confluirono gruppi sorti in precedenza su posizioni analoghe e ad esso facevano capo gruppi di attivisti denominati<Cento Neri> termine che passò poi a indicare tutta l’estrema destra zarista nel suo insieme. Gli attivisti dei <Cento Neri>(ad Odessa agirono squadre di <Camicie gialle>) vengono ricordati per lo più per la loro partecipazione alle violenze antiebraiche i cosiddetti <pogrom>(4). Non dimentichiamo che fu in codesti ambienti che fecero la loro apparizione i famigerati<Protocolli dei Savi Anziani di Sion> un documento sulle cui origini, e sui cui autori, riteniamo non sia ancora stata fatta piena luce. Uno dei loro slogan,che ritroveremo poi mutatis mutandis in molti paesi era<La Russia ai Russi> Gli attivisti delle Centurie Nere avrebbero anche giustiziato due deputati del Partito Costituzional Democratico (i <Cadetti>):Grigori B.Iollos e Mikhail Herzenstein, il loro periodico <Russkoe Znamya> si sarebbe allora vantato del fatto dispiacendosi che solo due ebrei (i due deputati) fossero periti in tale crociata contro la sovversione! 
Riprendiamo dallo Shenfiels <Russian Fascism..> (pagg30-31) “Uno sguardo sulle idee e gli scopi dell’UPR ci è fornito dal programma adottato dal movimento nel 1906. Il primo punto affermava la lealtà al trono affermando che il Manifesto (riformatore) del 17 X 1905 e la conseguente formazione della Duma non avevano abolito l’autocrazia o limitato in qualsiasi modo le sue prerogative. Il secondo ribadiva la lealtà verso la Chiesa Ortodossa Russa e affermava la missione cristiana della Russia di inaugurare il Regno di Dio sulla Terra, regno di fede, amore, bene e giustizia. Il sesto punto rifletteva l’idea di monarchia popolare <il sistema dei burocrati ha nascosto al popolo il luminoso volto dello Zar e perciò deve essere del tutto mutato>. Grande attenzione era dedicata alla <questione ebraica> e il XIV punto ne invocava una soluzione <umana> con l’espulsione degli ebrei verso la Palestina, dove essi avrebbero potuto creare un loro stato con l’aiuto russo”.In effetti, i <Cento Neri>miravano a indurre, anche con maniere “non buone”gli ebrei ed emigrare verso la Palestina, il che come si è poi potuto vedere non avrebbe risolto del tutto certi problemi!
Scrive lo Shenfield (pag.31) “Nell’ambito dell’UPR si possono distinguere due tendenze: una reazionaria mirante a restaurare un passato ormai scomparso, e una conservatrice che cercava di salvare ciò che ancora poteva essere salvato. In entrambi i casi, gli aderenti si sforzavano di raggiungere i loro obiettivi, non tanto direttamente grazie alle loro attività, quanto indirettamente tramite l’influenza che cercavano di esercitare sullo Zar, Essi speravano di incoraggiare il monarca a resistere alle pressioni provenenti da altre direzioni, mandandogli un messaggio secondo cui l’<autentico popolo russo> gli rimaneva leale, ma al contempo facendogli conoscere anche le reali necessità del popolo stesso” . Essi vennero a trovarsi  nella paradossale situazione di   dover intraprendere una azione pubblica indipendente allo scopo di rimettere un potere autocratico nelle mani del monarca.” Insomma più <realisti>del re!
Per dare un’idea delle posizioni dell’UPR citiamo anche alcuni punti da una petizione elaborata al Congresso di Odessa delle sezioni della Russia meridionale del movimento tenutasi nell’Ottobre 1908:<1) Cacciare gli ebrei dall’esercito, giacchè agiscono su di esso in modo pernicioso e distruttivo, come hanno dimostrato le sommosse negli eserciti.-2) Reprimere l’insolente stampa ebraica che denigra tutto ciò che è russo….-3) Non accettare in nessun servizio statale, civile, cittadino e amministrativo degli ebrei per fede e per origine, e allontanarne quelli che adesso vi si trovano, perché non si profili un non lontano futuro in cui a dirigere il popolo russo saranno gli ebrei.-4) Vietare alle banche statali di sostenere le istituzioni creditizie ebraiche che sono causa di rovina del ceto commerciale e imprenditoriale russo, e alle altre istituzioni ordinare di non dare agli ebrei assolutamente nessun appalto o fornitura.-5) Non permettere agli ebrei di possedere farmacie. 6) Ripulire la scuola russa dall’elemento ebraico e dagli insegnanti e professori che hanno tradito al giuramento e si sono venduti ai capitali ebraici.-7) Cacciare gli ebrei dai villaggi…..del pari non permettere la residenza degli ebrei nelle zone in cui si trovano fortezze e nelle città portuali.> Ma, nello stesso documento, altri punti indicavano il programma sociale dei nazionalisti:<1) Promulgare una legge sulla concessione di terre a quei contadini e piccoli borghesi dei villaggi che ne sono sprovvisti e sono occupati nell’agricoltura.-2) Promulgare leggi severe sul divieto di fare incetta di grano e di comprare i raccolti direttamente dai contadini.–3)Regolazione dei prezzi di affitto della terra per evitare casi di speculazione.-4) Costruire in tutti i villaggi scuole profesionali-5)Accelerare l’acquisto della terra da parte dei contadini attraverso la Banca dell’agricoltura-6)Migliorare l’esistenza e le condizioni materiali dei piccoli borghesi-.7)Ingiungere alla Duma nazionale di mettere al primo posto la questione agraria alla cui risoluzione la Duma si sottrae-8)Ordinare alla Duma di accelerare la revisione della questione operaia.>   

Il francese F.Duprat (<Un proto-fascisme russe. L’Union du Peuple Russe>in <Revue d’Histoire du Fascisme<N.16 Aprile_Maggio1976) scriveva: L’U.P.R,pur difendendo energicamente lo Zar, la Chiesa Ortodossa e l’autocrazia ammetteva che le rivendicazioni sociali del proletariato urbano e delle masse contadine fossero in gran parte giustificate. Radunati intorno al Dott. Dubrovin, i militanti più radicali. si dichiaravano favorevoli ad una seria riforma agraria e ad una sorta di stato corporativo. Il movimento riscosse larghi successi in importanti settori della piccola borghesia, tra i commercianti e gli operai ancora fedeli alla chiesa, mentre i suoi dirigenti venivano reclutati nei ceti superiori della società: proprietari terrieri, avvocati, grossi mercanti, ingegneri ed ex ufficiali.”(si veda in nota un’opinione un poco differente a questo proposito del Nolte)

Sul piano parlamentare l’UPR fu presente nelle successive Dume(parlamenti)elette negli anni precedenti la Prima Guerra Mondiale, il partito, infatti, seguiva la “via parlamentare”nonostante fosse alquanto critico nei confronti dell’istituzione parlamentare in se stessa, la percentuale dei voti ottenuta dal movimento variò dal 5 al 10%.al suo apice avrebbe contato circa 350.000 membri. Nel periodo della “terza Duma”(1907-1912) L’Unione del Popolo Russo si schierò a  difesa del <Mir>, la tradizionale comunità contadina russa, venendo così a scontrarsi con il famoso primo ministro A.Stolypin le cui riforme, a detta di alcuni,se fossero state completate(come è noto lo Stolypin cadde vittima di un attentatore) avrebbero, forse, potuto risparmiare alla Russia le successive tragedie. Peraltro, nello stesso periodo, il movimento ebbe a soffrire di una grave crisi: l’ala più nettamente nazionale populista capeggiata dal Dubrovin si separò formando un Partito del Popolo Russo che, però, non ebbe molto successo; da parte sua il grosso dell’UPR sotto la guida del Markov si riavvicinò alle fazioni della destra conservatrice ammorbidendo il proprio programma.
Scriveva il Duprat (op.cit) “Dalla sua nascita alla scissione il movimento aveva avuto una sua ala radicale che si voleva partito di rinnovamento politico e di liberazione sociale…. insistendo sulla necessità di una profonda riforma agraria e sulla conservazione delle  comunità organiche contadine basate sull’istituzione tipicamente russa  del MIR”Così “rifiutando la scelta radicale e riducendosi a semplice ausiliario del governo imperiale, il partito a partire dall’eliminazione del Dubrovin nel 1909, sacrificava tutte le sue possibilità politiche.” Inoltre, continuava il francese “Da parte sua l’abile Stolypin seppe giovarsi della mancanza di coesione dell'UPR per distruggerla dall’interno.. e provocò con le sue manovre la spaccatura avvenuta  durante la crisi del 190 egli riuscì così’ a sbarazzarsi  dell’ala radicale del movimento…privata di questa, l’UPR si confinò da allora,in uno sterile conservatorismo,facendosi notare solo per il suo antisemitismo anch’esso ormai privo di contenuto  economico e sociale e perciò differente da quello che il movimento aveva  manifestato nella prima fase della sua esistenza.”

Tra i principali esponenti dell’UPR possiamo ricordare : Nikolai Y.Markov  Vladimir Mitrofanovich Purishkevich  e  A.I.Dubrovin
. Nikolai Yevgeneyevich Markov nacque nel 1866 a Kursk da una famiglia di proprietari terrieri, divenne ingegnere ed entrò in politica nel 1905 formando un gruppo per la difesa della borghesia: il Partito dell’Ordine Civile, dopo aver aderito all’Unione del Popolo Russo ne divenne uno dei più affermati dirigenti, deputato alla Duma si rese famoso per i suoi attacchi sia al socialismo che al capitalismo e per il suo antisemitismo, egli credeva sia all’esistenza di un complotto ebraico-massonico sia alle accuse di omicidio rituale rivolte alle comunità ebraiche (accuse che dopo gli studi del Toaff apparirebbero non essere sempre state “campate in aria”). In anni seguenti,esule in Germania, non avrebbe mancato di sottolineare le somiglianze che ,a suo dire,ma non a quello di vari storici,vi sarebbero state tra l’Unione del Popolo Russo ed il Movimento Nazionalsocialista. Nel 1911 chiese l’esclusione degli ebrei dalle forze armate russe. Nel 1910,in seguito all’uscita dal partito del Dubrovin e dei suoi seguaci divenne leader del partito, tra le sue richieste figurava anche la restaurazione dell’assolutismo. Durante la guerra mondiale  fu favorevole ad una pace separata con la Germania e tentò di coinvolgere i tedeschi in un fantomatico complotto mirante a salvare i Romanov.
Dopo il trionfo dei comunisti fuggì in Germania dove fondò, tra gli emigrati russi, l’Unione  Monarchica Russa, mirante all’ascesa al trono del Principe Cirillo la cui moglie Viktoria Feodorovna era in contatto con il Generale Erich Ludendorff  che allora veniva ritenuto il capo dei nazionalisti radicali tedeschi. Ammiratore del Fascismo italiano,il Markov fu coinvolto nell’assassinio dell’uomo politico costituzional democratico Vladimir D.Nabokov (se ben ricordo padre dell’autore del famoso romanzo <Lolita>). Divenuto il suo antisemitismo sempre più radicale, si avvicinò alla fine degli anni venti al Partito Nazional Socialista e svolse attività di conferenziere. Morì a Wiesbaden il 25 IV 1945
Vladimir Mitrofanovich Purishkevich  (18 VIII 1870-1II1920)era nato in una famiglia  di nobili impoveriti in Bessarabia, si laureò all’Università di Odessa sulle ribellioni aristocratiche nell’antica Grecia. Dopo aver partecipato alle attività della< Russkoe Sobranie>(Assemblea Russa) Nel 1905 fu tra i fondatori dell’Unione del Popolo Russo di cui divenne vice-presidente .In seguito a una scissione nel 1908 fondò  una propria organizzazione l’Unione dell’Arcangelo Michele, fu eletto deputato nella II,III e IV Duma. Alle riunioni parlamentari amava presentarsi con  un fiore rosso nelle abbottonatura dei calzoni per irridere alle sinistre: probabilmente mirava a screditare ulteriormente l’istituzione parlamentare anche tenendovi un comportamento bizzarro, per spiegare la sua posizione nel parlamento  avrebbe detto “alla mia destra vi è soltanto il muro”.Tra l’altro chiedeva il confino degli ebrei in zone remote, l’abolizione della Duma e la riforma delle leggi in senso autoritario. Tuttavia non lo si potrebbe liquidare come un volgare reazionario: denunciava la decadenza delle classi dirigenti russe e, anche per evitare rivolte, era favorevole al miglioramento delle condizioni di vita dei contadini L’Unione dell’Arcangelo Michele da lui fondata si dimostrava più pragmatica dell’UPR e sostenne le riforme dello Stolypin .
Durante la prima guerra mondiale il Purishkevich lasciò l’attività politica per dirigere un treno ospedale al fronte. Nel 1916 si unì al principe Felix Yusupov in una congiura volta a uccidere il famigerato santone Rasputin il cui ruolo a corte si riteneva,screditasse la monarchia e indebolisse lo sforzo bellico russo, non essendo morto il santone del veleno che i congiurati gli avevano propinato, sarebbe stato proprio il Purishkevich a colpirlo con la propria rivoltella .Dopo la rivoluzione del Febbraio 1917 chiese inutilmente il divieto dei Soviets, nell’ottobre organizzò a San Pietroburgo un <Comitato per la Salvezza della Patria>cui si affiliarono specialmente dei militari. Nel Novembre il Purishkevich venne arrestato dalle Guardie Rosse per la sua partecipazione ad un complotto contro rivoluzionario: era stata scoperta una sua lettera al Generale Kaledin in cui lo sollecitava a venire a San Pietroburgo con i suoi cosacchi per ristabilire l’ordine  Prima vittima dei tribunali bolscevici venne condannato a 4 anni di prigione,venne però amnistiato nel Maggio seguente  dopo esser stato costretto a promettere di non occuparsi più di politica. Fuggì invece nella Russia meridionale controllata dagli Eserciti <Bianchi> antibolscevici, qui diresse il foglio monarchico <Blagovest>e, nel 1920,  fondò un Partito dello Stato del Popolo, ma nel lo stesso anno  morì di tifo a Novorossiysk(5)
Alxander Ivanovich Dubrovin (1855-‘?), medico, abbandonò la sua professione per darsi alla politica iniziando col contrastare le tendenze liberali che vedeva insinuarsi nell’aristocrazia russa, fondò un movimento l’<Assemblea Russa> che fece poi confluire nell’UPR di cui divenne uno dei dirigenti, Convinto che vi fosse una congiura giudaico massonica mirante al rovesciamento della Monarchia fu tra gli istigatori dei progrom compiuti dalle Centurie Nere giungrndo a chiedere l’espulsione degli ebrei dalla Russia. Riuscì ad acquisire un certo seguito tra i contadini, la piccola borghesia e il lumpenproletariat. Nonostante fosse un fautore dell’assolutismo sedette sui banchi parlamentari dopo aver organizzato una fallita azione di boicottaggio nei confronti della III Duma. Oltre che ad aver fomentato i pogrom fu sospettato di aver organizzato l’uccisione di un altro deputato.
Nell’ambito dell’UPR il Dubrovin era il capo di una fazione estremista che si esprimeva nel foglio <Russkoe znamya> che andò a costituire un gruppo dissidente quando nel 1910 il partito cadde sotto la direzione del Markov. Il Dubrovin mancava delle doti necessarie a un leader e il suo gruppo si ridusse ben presto a poca cosa. In fondo le sue vicende riflettono quelle dell’UPR: questo partito si avvicinò all’obiettivo di diventare un movimento di massa sfidando l’esclusivismo e il conservatorismo sociale dei sostenitori dello Zarismo, ma non riuscì a diventare ciò che avrebbe potuto essere, il che ridimensiona anche il suo ruolo come “precursore” del fascismo. La fine del Dubrovin è ancora avvolta nell’oscurità: il 21 X 1920 fu arrestato a Mosca dalla Cheka e accusato di aver organizzato i pogrom ed uccisione nel periodo 1905-1917,secondo P.Rees <Biographical Dictionary of the Extreme Right…> sarebbe stato fucilato nel Novembre 1918, mentre, secondò altri, sarebbe riuscito a sopravvivere fino alla fine degli anni 20.

L’UPR pubblicava vari fogli tra cui <Znamya>(La Bandiera), <Russkoye Znamya>(La Bandiera Russa), <Kolokol> (La Campana) etc.
Scoppiato il Primo Conflitto mondiale, il movimento nazionalista sostenne lo sforzo bellico anche se, in precedenza, non erano mancate, in seno all’UPR, tendenze favorevoli a un’alleanza con la Germania imperiale ed ostili a Francia, Gran Bretagna e Cina (6):l’Agursky, peraltro.(op.cit.pag.257) ricorda il caso di una esponente dell’Unione Varvara Stefanova Desobki (la quale, caso non raro in quei tempi, sarebbe stata anche un’agente della Okhrana la temuta polizia segreta imperiale) che, durante la guerra, rivolgendosi agli operai delle fabbriche Putilov avrebbe sostenuto che il conflitto veniva combattuto per i soli ed esclusivi interessi della borghesia.
La rivoluzione del Marzo 1917 colse di sorpresa l’UPR che si dimostrò incapace di organizzare la benché minima azione in difesa dell’ormai screditata monarchia e, in pratica, si dissolse. Nei tormentati mesi che precedettero l’insurrezione di Ottobre ed il trionfo dei bolscevichi, elementi nazionalisti militarono nei gruppi patriottici che chiedevano il proseguimento della rovinosa e suicida guerra contro gli Imperi Centrali, taluni presero parte all’abortita sollevazione contro rivoluzionaria del Generale Kornilov. Nella successiva guerra civile tra <Rossi>e <Bianchi> elementi provenienti dalla ormai defunta UPR parteciparono alle vicende militari e politiche dei vari gruppi anticomunisti, spesso divisi tra loro da suicide rivalità, un certo favore nei loro confronti lo avrebbe mostrato il Generale Wrangel uno dei più noti condottieri dei <Bianchi>
 Possiamo cogliere molte interessanti suggestioni dal citato volume di Mikhail Agursky <La Terza Roma - il nazionalbolscevismo in Unione Sovietica>
A pag.191 leggiamo: “..ponendo a confronto l’ideologia dell’estrema sinistra e quella dell’estrema destra, ci si trovano davanti somiglianze che sorprendono e stupiscono: 1-Nell’ideologia dell’estrema destra c’era una critica violenta del capitalismo, di cui, tuttavia, erano fatti soggetti responsabili soprattutto gli ebrei; e anzi, il capitalismo era detto essere invenzione in tutto e per tutto, ebraica” Esponenti dell’UPR “ce l’avevano con i grandi del commercio e dell’industria e invocavano provvidenze a favore dei lavoratori e degli artigiani russi” 2 Sia l’estrema destra che l’estrema sinistra avversavano il metodo parlamentare. 3.”  “destra e sinistra odiavano come loro principali avversari i liberali”-“4- “entrambe coltivavano l’idea che si dovesse ricorrere alla violenza politica.” “5 Destra e sinistra cercavano il consenso in uno stesso strato sociale. La base più importante di consenso era per l’estrema destra il mondo del lavoro. E la sezione che l’UPR aveva nella celebre fabbrica Putilov era anche la sua cittadella a Pietroburgo- 6 Destra e sinistra avevano simiglianti orientamenti in politica estera”.
E a pag.193 “La virtualità di sinistra che era insita nell’estrema destra radicale trovò conferma .. anche nelle considerazioni di un ex marxista russo di un certo nome,-Petr Struve- che nel 1909 disse essere l’UPR un partito socialista rivoluzionario alla rovescia” Sul piano della tattica politica vi furono dei casi in cui i dirigenti dell’Unione diedero istruzione ai loro seguaci di votare per i candidati delle sinistre pur di sconfiggere quelli liberali(pag.194) ”Non stupisce che in <rossi>vedessero nell’estrema destra non solo degli avversari ma anche un possibile serbatoio di voti da recuperare.
Leggiamo ancora a pag.195 e segg. “… molti rappresentanti della destra radicale furono quanto mai consapevoli dell’analogia che correva tra alcune delle loro idee e alcune di quelle imperanti nella sinistra. Ad esempio, un membro del vertice dirigente dell’UPR- Apollon Maikov- rimproverava ai leaders rivoluzionari di non avere una visione chiara della società futura per il cui avvento stavano lottando. A suo avviso, gli uomini della destra si proponevano gli stessi obiettivi dei rivoluzionari e in particolare<il miglioramento delle condizioni di vita oppure quella meta che coincide per molti aspetti con la dottrina degli anarco- socialisti là dove si cerca di dare spiegazione all’origine di qualche particolare gravame della nostra esistenza. Stanno invece al punto diametralmente opposto al nostro sia nella concezione generale del mondo (Weltanschauung) sia nell’individuazione dei mezzi da usare per modificare il destino degli uomini che soffrono.”
E l’Agursky riporta altri passi del Maikov: “I costituzionalisti (quelli che volevano un regime costituzionale) chiamano le formazioni armate rivoluzionarie i <rivoluzionari di sinistra>, mentre chiamano i Cento Neri <i rivoluzionati di destra>; e dal loro punto di vista la definizione è anche sensata. Noi (di destra) e loro (di sinistra) pensiamo che un regime costituzionale rechi il predominio totale del capitale e, in tali condizioni, il potere politico vada a finire esclusivamente in mano dei capitalisti, che ne trarranno beneficio solo per i loro fini egoistici e per opprimere e sfruttare il resto della popolazione. Né i cento Neri né i rivoluzionari (di sinistra) sono disposti ad accettare una cosa del genere. >. Maikov ce l’aveva con quei rivoluzionari che credevano di combattere il capitalismo, mentre di fatto, erano solo burattini manovrati dagli ebrei. Il pamphlet di Maikov praticamente finiva per invitare destra e sinistra <radicali> a darsi una comune piattaforma politica.”
Poi l’Agursky (Pag.196) cita quanto scriveva già nel 1902 un altro esponente della destra estrema Viktor Sokolov che “aveva anche lui confermato in modo chiarissimo l’esistenza di una certa identità di interessi politici tra l’ estrema destra radicale e l’estrema sinistra rivoluzionaria. Sokolov accusò allora i dominanti apparati burocratici di <sobillare gli uomini di destra a combattere i rivoluzionari e di volere così indebolirli entrambi logorandoli in questa lotta per dare così compimento ad un regime costituzionale> E aveva suggerito ai militanti di destra di abbandonare temporaneamente il campo di battaglia per dare possibilità <ai rivoluzionati di regolare i conti con la burocrazia costituzionalista, così’ come sarebbe loro sembrato più opportuno>“.
Da ciò il nostro traeva delle conseguenze relative ai fatti del 1917; “Non meraviglia che in un clima di generale collasso sociale molti membri di base della destra radicale passassero al bolscevismo traendo proprio dalla concezione di destra la giustificazione del loro trapasso.”
Poi a pag197 l’Agursky cita quanto ebbe a scrivere un ex segretario di stato russo- Sergej  Kryznovskij fuggito dalla Russia dopo la rivoluzione; val la pena riportare la citazione ; “L'estrema destra…  adottò più o meno lo stesso programma sociale e più o meno gli stessi metodi di propaganda che erano soliti usare i partiti rivoluzionari. La differenza stava solo nel fatto che da una parte(da destra) si prometteva alle masse la ridistribuzione obbligatoria della proprietà in nome dello zar autocratico, considerato rappresentante degli interessi popolari e vindice del popolo dall’oppressione dei ricchi, mentre dall’altra parte(rivoluzionari di sinistra) si prometteva la stessa cosa in nome degli operai e dei contadini uniti in una repubblica democratica. Era una differenza solo formale e forse in questo si può trovare la spiegazione di quello che, a prima vista, parrebbe un ben strano fenomeno: gli aderenti alla destra e alla sinistra radicali si spostavano facilmente da un campo all’altro.” (Qui non abbiamo né il tempo né lo spazio per fare il benché minimo cenno all’annoso problema delle affinità tra le opposte estreme).
Certamente l’Agursky enfatizza certi aspetti particolari,tuttavia ciò che scrive ci sembra particolarmente interessante. Nel suo libro l’Agursky non manca di citare alcuni casi di ex cento neri passati ai bolscevichi,a pag.-266 leggiamo.”Molti furono gli uomini di destra che simpatizzarono per i bolscevichi ,,,,, Si trattava di persone che avevano in uggia il sistema parlamentare e invocavano una mano forte alla guida del paese…”, il che non impedì certo che la dirigenza bolscevica rimanesse in gran parte composta da individui di origini ebraiche.(almeno fino all’epoca delle grandi <purghe>staliniane). Come abbiamo visto, la destra radicale non fu in grado di organizzare la benché minima resistenza alla rivoluzione del marzo 1917, anzi secondo l’Agursky “poderoso alleato dei bolscevichi fu il nerbo dell’ex destra radicale, che a lungo era stato valutato dai bolscevichi come proprio esercito della riserva; ed era una valutazione giusta. Infatti, uno dei fenomeni più notevoli del 1917, da cui dipese il successo della rivoluzione fu l’effettuale fusione dei bolscevichi con la destra rivoluzionaria. È tuttavia vero che l’amalgama si attivò sotto la guida bolscevica e che quasi nessuno dei capi della destra rivoluzionaria vi ebbe parte”. Infatti “ solo alcuni dei principali dirigenti della destra radicale fecero oggetto di seria considerazione l’eventualità di unirsi ai bolscevichi”. (pag.262)“Ci furono giornalisti ed attivisti dell’estrema destra – tutta gente di secondo piano, tuttavia,  che passarono con i bolscevichi e ne ebbero poi incarichi”. E “.  Molti che avevano attivamente militato nei partiti politici di destra, dopo la Rivoluzione si integrarono nella società sovietica ed alcuni entrarono a far parte – sicuramente con il consenso ufficiale – del clero ortodosso.”  (pag.266)

Qui si può fare solo un breve cenno al libro di Michael Kellogg <The Russian Roots of Nazism-White Emigres and the Making of National Socialism 1917-1945>in cui si esamina il ruolo degli esuli russi anti comunisti, tra cui molti ex Cento Neri nella’ascesa del movimento nazional socialista tedesco (si è già parlato delle attività del Markov in codesto ambito) .Si può ricordare che ad avere una funzione importante nei rapporti tra i primi nazional socialisti e gli esuli russi fu quel Max von Scheubner-Richter che cadde nella fallita sollevazione nazionalista del 9 XI 1923 e la cui perdita fu spesso lamentata dallo stesso Adolf Hitler. Per ora ci limitiamo a citare (pag.273): “Con il collasso della Russia Imperiale che le forze dei Cento Neri non avevano potuto impedire, le truppe tedesche poterono avanzare in profondità nel territorio dell’ex Impero zarista. L’occupazione tedesca dell’Ucraina nell’ultima fase della Prima Guerra Mondiale diede il via a una cooperazione su larga scala tra ufficiali Russi, Ucraini e Tedeschi di estrema destra. Tale cooperazione continuò nella comune attività anti-bolscevica ed antisemitica tra tedeschi di estrema destra ed emigrati <Bianchi>in Germania ed altrove. L’Intervento tedesco Ucraino alimentò le attività filo germaniche di ufficiali bianchi che passarono poi  a collaborare con i nazional socialisti,tra questi il Generale Vladimir Biskupskii, il Colonnello Ivan Poltavets-Ostranista ,il Colonnello Pavel Bermondt –Avalon,il Luogotenente Sergei Taboritskii,il Colonnello Fedor Vinberg e il luogotenente Piotr Shabelskii –Bor” aggiungiamo che esuli russi di estrema destra svolsero un certo ruolo sempre antisemitico ed antibolscevico anche negli Stati Uniti,ad esempio nel gruppo facente capo all’industriale Henry Ford. In ultimo non vanno dimenticati quei gruppi dichiaratamente fascisti che si formarono tra gli esuli russi specialmente nella Manciuria occupata dai Giapponesi.
Ritornando allo scopo di questo scritto, cioè sulla comparazione tra i <Cento Neri>e il Fascismo <come fenomeno europeo>,  chi scrive  non ritiene che l’Unione del Popolo Russo e i Cento Neri siano stati veramente “fascisti”(qualsiasi definizione del <fascismo > si voglia far propria) possiamo dire che il fascismo come fenomeno europeo ebbe le sue origini anche in gruppi fioriti prima del conflitto 1914-1918 (caso tipico l’Action Française) ma che non possono venire considerati <fascisti> .“Se le cose cominciano quando acquisiscono un nome, allora il Fascismo ha una sua data di nascita. Vide la luce a Milano…. il 23 marzo 1919,… Ma i mussoliniani Fasci di combattimento non erano un caso isolato, facevano parte di un fermento più vasto. Indipendentemente da Mussolini, analoghi movimenti si stavano formando anche in altre zone d’Europa”R.Paxton <Il Fascismo in azione> (Mondadori, Milano2005pag.27)
W. Laqueur (< Black Hundred> pp. 290-291) scriveva che il movimento dei Cento Neri “fu egualmente antiliberale e anticapitalista. Similmente all’Action Française i Cento Neri si fermarono a metà  strada del cammino verso il fascismo, con i loro forti elementi populisti ed anticapitalisti, la loro xenofobia, il loro nazionalismo aggressivo ed il loro rudimentale… razzismo. I cento Neri rimasero legati ai pilastri dell’Ancien regime, la monarchia e la chiesa. Essi non erano moderni non seppero adattare la loro politica ad un mondo in mutazione. Si rivelarono incapaci di produrre un capo e di costituire un partito saldamente organizzato e centralizzato. La loro propaganda non riuscì a raggiungere la maggior parte della popolazione.”

Riportiamo in proposito anche quanto scrive lo Shenfield (<Russina Facism..>pag31)
“Il più noto degli storici contemporanei ad essersi dedicato ai <Cento neri> Hans Roggers, sostiene che mentre gli aderenti all’UPR erano dei reazionari populisti  che prefigurarono molti dei temi e delle contraddizioni del fascismo,essi non possono venire considerati fascisti, perché il fascismo viene definito  come una reazione alla società moderna,società che allora in Russia non era stata ancora edificata” e anche il Nostro concorda  “Io non  penso che i <Cento Neri >siano stati fascisti- e non solo per il fatto che non vivevano in una società moderna…” Si potrebbe,a giudizio di chi scrive,e di molti altri più qualificati di lui, utilizzare il termine <proto-fascisti>
Potremmo  concludere riportando quanto scriveva Walter Laqueur in <Fascismi-Passato, presente, futuro> (Tropea, Milano, 2008, pag.226,traduzione abominevole). “La Russia ha una tradizione prefascista, quella del Cento Neri, che si formò a cavallo tra Ottocento e Novecento. Certe sue idee fondamentali si sono tramandate e appaiono tuttora fertili. I Cento Neri non erano esattamente un partito fascista perché dipendevano largamente dalla Chiesa e consideravano essenziale appoggiare la monarchia. Ma l’Unione del Popolo Russo … fu uno dei primi movimenti politici di massa dell’impero zarista, a differenza dei piccoli gruppi elitari di estrema destra che lo precedettero la sua propaganda era populista, accusava il capitalismo ebraico - liberale al pari della corrotta amministrazione che impediva allo zar di comunicare direttamente con i sudditi. Il movimento era anche razzista, xenofobo e credeva in un complotto globale giudaico –massonico… Esso era composto dal ceto inferiore urbano e nobilitato da qualche sparuto aristocratico. Era più forte in Russia meridionale e occidentale che nelle regioni del Nord o dell’Est, ricevendo sovvenzioni dal governo. L’Unione odiava i liberali altrettanto dei rivoluzionari socialisti e delle minoranze etniche…….. Vladimir Purishkevich, il leader maggiormente dotato dei Cento Neri era un focoso agitatore ed è ritenuto da alcuni stortici recenti il primo fascista russo…”
In una delle sue ultime apparizioni in pubblico, nel Novembre del 1922, al V congresso dell’Internazionale Comunista V.I.Lenin ebbe a paragonare, in un discorso, il Fascismo italiano ai Cento Neri, probabilmente gli sfuggivano i caratteri di “novità”del nuovo movimento italiano nei confronti dell’estrema destra zarista, tuttavia la cosa non ci pare priva di un certo interesse.

Ma le vicende dei <Cento Neri>non si erano ancora concluse.
Scriveva lo Shenfield (cit pag,42)”Ci sono molte indicazioni che dei “patrioti” russi negli ultimi anni dell’URSS ebbero accesso alla stampa dell'UPR e la utilizzarono nella loro propaganda. Vari ricercatori hanno indicato dei casi in cui essi copiarono testi dell’UPR, facendovi solo revisioni di poco rilievo e limitandosi talvolta a parafrasarli. Per esempio, un testo incluso nel bollettino dell’ambasciata sovietica a Parigi del 1972 era quasi identico a un articolo del 1906 sulla <questione ebraica>scritto da Rossow un membro dell’UPR. Un altro sintomo dell’importanza attribuita all’eredità dei Cento Neri fu un opuscolo ,pubblicato nel 1991 dalla Casa Editrice Militare in un milione di copie ,che intendeva <raccontare la verità, per la prima volta nel periodo sovietico,sull’Unione del Popolo Russo>. In effetti, un paio di gruppi formatisi all’inizio degli anni 60 proclamavano di essere i diretti successori dei Cento Neri”(Si può ricordare a questo proposito il noto gruppo Pamjat)
Possiamo  per concludere citare ancora W:Laqueur che  in <Black Hundred>(pag,17) ebbe a scrivere : “ ..in ogni caso i Cento Neri non presentano interesse solo sul piano storico. Il loro messaggio non fu dimenticato fra i russi di destra emigrati dopo il 1917 e quando con Gorbaciov tornò in Russia la libertà di espressione  i Cento Neri furono i primi beneficiari della Glasnost”. Riteniamo che ancor oggi nel multiforme e ultra frammentato schieramento nazionale russo non manchino i gruppuscoli  che si presentano in un modo o nell’altro come gli eredi e i continuatori delle Centurie Nere dell’Unione del Popolo Russo.  Insomma “I Cento Neri vivono e lottano insieme a noi”!

 Facendo una digressione sul piano culturale possiamo qui ricordare una figura che ci pare degna di un certo approfondimento Mikhail Menchikov(1859-1918) assassinato dai bolscevichi poco dopo la rivoluzione  Considerato uno dei pochi teorici russi del razzismo,il Menschikov sarebbe stato vicino alle concezioni di H.S,Chamberlain cui,nei suoi scritti,faceva spesso riferimento. Abbandonando il tradizionale antisemitismo a carattere religioso ne elaborò uno a carattere nettamente biologico,similmente a quanto avveniva in vari paesi dell’Europa. Siffatte concezioni,insieme a sue elucubrazioni sulle presunte origini <ariane> di Gesù Cristo,probabilmente per influsso del Chamberlain, lo isolarono dai gruppi più legati a concezioni di nazionalismo cristiano. Nel 1902 pubblicò sul periodico <Novoe Vremnja>(Tempi Muovi)del 7/20 aprile un articolo <Complotti contro l’Umanità>in cui faceva riferimento,tra i primi, ai <Protocolli dei Savi di Sion>


ALFONSO DE FILIPPI.


(1)Chi scrive  ebbe già a parlare dei <Cento Neri>e, sommariamente, dei vari “fascismi” russi in un articolo <Tra lo Zar, Mussolini e Stalin –Appunti per la storia del “fascismo” russo>firmato con lo pseudonimo <Guido Altrieri>, apparso su <Orion>n.136 del Gennaio 1996. Come è noto la denominazione  <Centurie Nere> divenne famoso grazie al sempre interessante romanzo di  Jack London <The Iron Heel>  (<Il Tallone di Ferro>1908)in cui si favoleggia di una situazione pre rivoluzionaria negli USA nell’ambito della quale i ceti possidenti formano dei gruppi attivistici di tal nome per contrastare le sinistre. ’
(2) Cfr Hans Rogger <Russia> in H.Rogger e E.Weber(a cura di)<The European Right>Un. of California Press,USA,1974
(3) Molti videro poi in tale sconfitta l’inizio del declino della Razza Bianca e dell’ascesa dei popoli di colore cfr.il mio <L. Stoddard, Cassandra del tramonto della Razza Bianca>
(4)Ernst Nolte in <La Crisi dei Regimi Liberali e i Movimenti Fascisti> (Il Mulino, Bologna,1970,pag.268) scriveva che i “pogrom dei Cento Neri,dopo la rivoluzione del 1905, vennero tollerati dal governo,anzi appoggiati e organizzazioni come l’Unione delle Genti Russe o l’Unione del Popolo Russo ,antiliberali,anticapitalistiche ed antisemitiche ad un tempo,ebbero una classe dirigente in gran parte proveniente dalla gente umile e riuscirono a farsi appoggiare dai contadini e dai proletari.”
 (5) “Altro pericolo assillava il Purishkevic.. Egli infatti incitò ad opporsi al<pericolo giallo> M.Agursky <La Terza Roma> pag.190:” J.Webb <Il sistema occulto>-Sugarco-Milano-1989 pag.186 scriveva: “Una biografia di Purishkevic pubblicata a Leningrado nel 1925, quando l’uso razzistico della Svastica non era ancora famoso fuori della Germania, reca il simbolo in copertina e la Svastica appare anche sui francobolli della Repubblica Mongola di Ungern-Sternberg.” D’altra parte “La Svastica fu usata come simbolo da un gruppo di monarchici russi rifugiato a Kiev dove collaborava” con i tedeschi (1918 circa) J. Goodwin <Arktos> (Mediterranee-Roma-2001-pag.59).E’nota l’affezione che la sventurata Zarina provava per tale Simbolo.
(6) “L’UPR era chiaramente germanofila,anti-inglese e anti-francese”>’M.Agursky<La Terza Roma>pag.189

BIBLIOGRAFIA
Agursky Mihail <La Terza Roma- Il Nazionalbolscevismo in Russia>Il Mulino, Bologna, 1999
Kellog Michael <The Russian Roots of Nazism. White Emigrés and the  masking of National Socialism (1917-1945)<Cambridge University Press UK,2005
Laqueur Walter <Blach Hundred The Rise of the Extreme Right in Russia>Harper,USA,1993
Laruelle Marlene (a cura di )<Le rouge et le noir- Extreme droite et nationalisme en Russie>CNRS,Paris,2007
Laruelle Marlene <Mythe Aryen et reve imperiale dans la Russie du XIX siecle<CNRS,Paris,2007
Rees Philip<Biographical Dictionary of the Extreme Right since 1890>Simon  & Schuster,Gran Bretagna,1990
Shenfield Stephen D.<Russian Fascism Traditions, tendencies, movements>Sharpe,USA,2001
Zapater Espi Luis Tomas <El nacionalismo ruso-La respuesta euroasiatica a la globalizacion>UPV,Valencia,2005


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Paganesimo in lutto

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Il 26 giugno del 363 a Maranga in Mesopotamia moriva l’Imperatore Romano FLAVIO CLAUDIO GIULIANO, passato alla storia, per  rozza imposizione cristiana, come l’Apostata, per aver ripudiato il cristianesimo impostoGli con la violenza  sin da piccolo ed essersi dichiarato Pagano nella maturità.   Egli fu il più grande Restauratore del Paganesimo  della Storia, in un periodo in cui rifiutare  deità del Sinai, Yhavèh e Gesù e rimanere fedeli agli Dei Indoeuropei significava la morte,spesso tra torture stomachevoli. Il ridicolo termine “apostata” dedicatogli dai cristiani non fu applicato all’assassino Costantino,che da Pagano divenne cristiano in punto di morte. Assassino perché trucidò la propria moglie (incinta!...) ed il proprio figlio Crispo . I cristiani lo trasformarono in “santo”. Disperata fu l’azione politica e religiosa di Flavio Claudio Giuliano,poiché il comunismo delle anime evanglico  ed il democraticismo cripto bolscevico del cristianesimo avevano inesorabilmente minato lo Stato Pagano Romano e distolto il suo Popolo dagli Dei Protettori della Romanità. L’impressionante odio che il cristianesimo dell’epoca nutriva contro ROMA IMPERIALE  -il disprezzo per ROMA ora è tipico dei cristiani leghisti-  serpeggiava ovunque,ed il paragone con Roma come Prostituta era tra i più educati per gli scrittori fedeli al difensore della TORA’,Cristo. L’Imperatore cercò nel suo brevissimo tempo di governo, di ripristinare e difendere il Culto degli Dei, poiché l’aristocrazia Romana,quasi totalmente ancora Pagana, vedeva il democraticismo e cosmopolitismo cristiano  il seme distruttore dell’Impero. I cristiani –quelli si coerenti- si rifiutavano di prendere le armi per la difesa dell’Impero  perché “il loro regno non è di questo mondo” e “porgevano l’altra guancia”. Poi, sappiamo di cosa furono capaci nella Storia di compiere sulle carni innocenti dei Popoli. Basti pensare che il primo campo di concentramento della Storia, sorse a Skytopolis in Siria nel  359 d.C. ad opera dei cristiani:qui venivano concentrati i Pagani per la tortura e l’esecuzione. UNA VERGOGNA NON RICORDARLO. Giuliano ripropose nelle scuole dell’Impero lo studio della Filosofia con riferimento alla Spiritualità Pagana,il ripristino dei Culti Pagani ed il ritorno delle Statue degli Dei nei Templi  sembravano il presupposto al rinsaldamento dell’Eternità di Roma. Coraggiosissimo in guerra, egli morì il 26 giugno del 363 contro i Persiani. Circolò da subito il sospetto che ad ucciderlo fosse un cristiano Romano, in odio verso Colui che non voleva consegnare l’Impero Romano ed i suoi Popoli al Rabbi Gesù,Bibbia ,Vangelo. Lasciò alcuni Suoi scritti, tra cui lo splendido  “DISCORSI CONTRO I GALILEI” (Egli definiva i cristiani “galilei” perché  sorsero in Galilea) , devastante atto d’accusa contro il cristianesimo –religione rivelatasi atto preparatorio del Marxismo- e lucidissimo Manifesto del Paganesimo Indoeuropeo,oggi pubblicato dalle Edizioni di AR (www.edizionidiar.com)  che ci sentiamo in dovere di ringraziare. I Suoi scritti,dopo la morte,subirono il rogo – edificante abitudine cristiana-  ed il disprezzo dell’apologetica della cristianità. Fu paragonato a Satana in un delirio di oltraggi alla Sua Memoria. Che questo libro non manchi nella biblioteca di ogni Indoeuropeo.“  arete776@libero.it


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L' abito non fa il monaco

Pubblicato da Admin il 23:54 1 commenti
"Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù " Giovanni 18,33-37.

Questa è una delle più celebri frasi del vangelo di Giovanni, dove si presume che Gesù, in modo allegorico, alludesse al regno di Dio, luogo ambito dai suoi fedeli dopo la morte. La vita terrena del cristiano, in attesa della parusia del suo profeta, dovrebbe adempiersi nel compimento degli insegnamenti di Cristo, nel banco di prova del mondo, in attesa della grande ricompensa post mortem.


Mi sorge dunque alquanto curiosa la storia di un regno e del suo sovrano.

Un re che sulla base di una singola frase del vangelo: “...Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa ...” (Matteo 16,18), ha fondato la sua discendenza regale, si è arrogato il titolo di successore di San Pietro e poi con la superbia del tempo addirittura di Vicario di Cristo in terra, è il Pontefice (termine usurpato dal nome della massima autorità religiosa del mondo pagano romano il Pontefix Maximo) sovrano assoluto dello Stato Pontificio (Patrimonium Sancti Petri).

Questo stato nato nella falsità della Donazione di Costantino (convertitosi solo in punto di morte) e dall'utile compromesso con i sovrani carolingi si è perpetrato fino ai giorni nostri in una scia di omicidi, morte, violenze, torture, persecuzioni e soprusi a dir poco inaudite. Sfruttando lo scudo della missione divina i reggenti di Roma hanno sempre lottato con le unghie e con i denti più che per la salvezza del loro belante gregge di fedeli, per mantenere l'oscurantismo delle menti e la loro poltrona regale.

Le tanto famose crociate in Terra Santa, per esempio, sono un fenomeno di una profondità poco conosciuta, tutti ne parlano, ma pochi sanno realmente la loro lunga storia. Dopo la prima spedizione del 1096 che ha dato il via e il modello alle successive, la Santa Sede ha usato questa istituzione come un'arma da scagliare contro i suoi nemici. Oltre a Gerusalemme e alla Spagna musulmana sono state indette crociate contro i territori indigeni dell'Africa e delle Americhe, contro i popoli pagani Balti, Livoni e Lettoni, massacri compiuti con il benestare di Sua Santità. Questo potente strumento trovò grande impiego anche contro gli eretici, come la famosa crociata contro gli Albigesi del 1208 (Catari) e quella indetta contro gli Hussiti nel '400. L'uso più strumentalizzato però per i fini dei pontefici, sono state le varie crociate indette in Italia per garantire l'integrità e l'espansione del loro regno, contro Federico II Hohenstaufen e i suoi eredi, contro gli Angioini poi, i Colonna e la Serenissima Repubblica di Venezia per citare i casi più famosi.

Siamo ora forse andati a soffiare la polvere da un passato troppo remoto ma ahimè anche troppo poco conosciuto, passando all'epoca moderna mi limito solo a dire due cose: indice dei libri proibiti (abrogato solo nel 1966) e inquisizione con le sue decine di migliaia di morti ( l'ultima vittima fu il famoso alchimista Alessandro, conte di Cagliostro scomparso nelle celle della prigione di San Leo nel 1795).

Ora per tutti i ferventi patrioti cattolici italiani sono da sottolineare alcuni particolari forse passati in secondo piano nell'oceano dei fatti storici.

Dopo il pontificato di Gregorio XVI che condannò la libertà di stampa, di pensiero e di coscienza, il 21 giugno 1846 abbiamo l'incoronazione di Pio IX. Dopo un'iniziale sostegno alla prima guerra di indipendenza italiani permettendo la partenza di un contingente di 10.000 soldati agli ordini del generale Durando, il 24 marzo 1848, il 29 aprile dello stesso anno il Pontefice fa questa allocuzione al concistoro: “ai nostri soldati mandati al confine pontificio raccomandammo soltanto di difendere l'integrità e la sicurezza dello Stato della Chiesa. Ma se a quel punto alcuni desideravano che noi assieme con altri popoli e principi d'Italia prendessimo parte alla guerra contro gli Austriaci... ciò è lontano dalle Nostre intenzioni e consigli”. Pio IX aveva capito che i moti unitari mettevano a rischio anche il Patrimoni San di Pietro.

La battaglia che permise la nascita del regno d'Italia fu combattuta nelle Marche a Castelfidardo e con il successivo assedio di Ancona nel settembre del 1860, tra l'esercito Sabaudo e i 10.000 volontari delle truppe pontificie, rovinosamente sconfitti. Così l'Italia divenne unita da nord a sud, unendo le conquiste della seconda guerra d'indipendenza a quelle di Garibaldi.
La superbia di Pio IX che affermava il dogma dell'infallibilità del magistero del Papa in materia di fede e di morale venne abbattuta il 20 settembre 1870 dalle cannonate che aprirono la famosa Breccia di Porta Pia. Da quel giorno fino ai patti del 1929 dove il fascismo dovette piegarsi al Papa (concedendoli nuovamente uno stato seppur piccolo), la Chiesa manifestò un continuo ostracismo nei confronti del neonato regno continuando a ribadire la necessità di un suo dominio territoriale. Tralasciando ora l'ampissimo discorso delle banche vaticane (APSA Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) che richiederebbe pagine e pagine per poter avere un quadro complessivo del fenomeno, voglio ribadire la mia indignazione come cittadino Veneto, quando dopo la disastrosa recente alluvione Sua Santità ha chiesto un contributo di 290.000 € alla regione per pagare gli abiti della sua visita avvenuta il maggio scorso. Ci sarebbero ancora troppe cose da dire... Non volendo scendere sulle tematiche religiose e di fede, voglio solo dire ai cristiani che guardano la santa sede come faro di luce per l'umanità che forse sono rimasti accecati.

Federico (alder88@hotmail.it)


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Significato e funzione della monarchia

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Significato e funzione della monarchia

di Julius Evola



(Saggio contenuto in: "La monarchia nello Stato moderno" di Karl Loewenstein, G. Volpe ed. - Roma, 1969) 




Il saggio di K. Loewenstein ha offerto al lettore una visione d'insieme delle varie forme della monarchia e delle possibilità che, secondo questo autore, restano ad un regime monarchico nell'epoca attuale. La monarchia, come si è visto, qui non è presa nel senso letterale del termine (governo di un solo, potere concentrato in un solo uomo) ma, giustamente, nel suo senso tradizionale e più corrente, ossia con riferimento ad un Re.
...Le conclusioni del Loewenstein sono piuttosto pessimistiche. Per poter esistere ai nostri giorni, la monarchia dovrebbe rassegnarsi ad essere un'ombra di ciò che era già stata. Essa potrebbe venire concepita solamente in un quadro democratico e, propriamente, nella forma di una monarchia costituzionale parlamentare. A parte l'Inghilterra, che costituirebbe un caso a sé, il modello offerto dalle monarchie dei piccoli Stati dell'Europa settentrionale e occidentale — Svezia, Norvegia, Danimarca, Belgio, Olanda, Lussemburgo — è quello che eventualmente si dovrebbe tenere davanti agli occhi.


.. Nell'analisi della portata dei vari argomenti addotti a favore del regime monarchico il Loewenstein ha cercato di essere oggettivo, non riuscendo però sempre ad esserlo. In lui è abbastanza visibile la precisa avversione per ogni principio di vera autorità, mentre un insufficiente rilievo viene dato ai fattori di carattere etico e immateriale. Ora, crediamo che se si fosse costretti a concepire una monarchia solamente nell'accennata forma svuotata e democraticizzata, peraltro possibile unicamente perché si tratta di piccoli Stati marginali, non ancora coinvolti nel dinamismo delle grandi forze dell'epoca, tanto varrebbe chiudere senz'altro in negativo la partita.
..Si deve riconoscere, d'altra parte, che le conclusioni pessimistiche in ordine alla monarchia appaiono in larga misura giustificate ove si ipostatizzi la situazione del mondo attuale e si ritenga che essa sia irreversibile, destinata a protrarsi indefinitamente. Questa situazione è definita da un materialismo generale, della prevalenza di bassi interessi, dall'errore egualitario, dal regime delle masse, dalla tecnocrazia e dalla cosidetta « civiltà dei consumi ». Senonché cominciano a moltiplicarsi i segni di una profonda crisi di questo mondo di un benessere e di un ordine fittizi. Forme varie di rivolta sono già avvertibili, per cui non è escluso che si giunga ad uno stato di tensione e ad un punto di rottura, e che, specie di fronte a possibili situazioni liminali, domani si ridestino forme diverse di sensibilità, si verifichino reazioni simili a quelle di cui è capace un organismo quando è minacciato mortalmente nel suo più profondo essere.
.. Il subentrare, o meno, di questo nuovo clima è l'elemento decisivo anche pel problema della monarchia. Secondo noi, esso dovrebbe venir posto nei seguenti termini: Che significato potrebbe avere la monarchia nel caso che avvenga un simile cambiamento di clima, e in quale forma essa potrebbe costituire un centro per la ricostituzione di un ordine « normale » — normale in un senso superiore? Certo, in una nazione la presenza di una vera monarchia avrebbe un potere rettificatore; ma questo è un circolo vizioso: senza la premessa da noi accennata, ogni restaurazione avrebbe un carattere contingente, non organico e, in un certo senso, innaturale.
.. Il disordine attuale nel campo politico, tutto ciò che esso presenta di instabile, di pericolosamente aperto alla sovversione — a marxismo e a comunismo — deriva sostanzialmente dalla carenza di un superiore principio di autorità e da una insofferenza quasi isterica per un principio del genere, per il che certe esperienze politiche di tempi recenti servono ai più da comodi alibi. Parlando di un superiore principio di autorità, noi ci riferiamo ad una autorità che abbia una effettiva legittimazione e un carattere, in un certo modo, «trascendente», perché senza di ciò l'autorità sarebbe priva di base, sarebbe contingente e revocabile. Un centro veramente stabile mancherebbe.
..È importante fissare chiaramente questo punto essenziale, per differenziare la monarchia, sulla quale qui verte il discorso, dalla monarchia nel senso lato di potere o governo di un solo. In effetti, sono concepibili, e si sono anche realizzate, forme spurie, contraffatte di autorità. Anche i regimi comunisti poggiano di fatto su un autoritarismo che può rivestire le forme più crude e tiranniche quali pur siano le giustificazioni che gli si vorrebbero mendacemente dare. Sulla stessa linea si può mettere il fenomeno dittatoriale se lo si concepisce altrimenti che in relazione a casi di emergenza, come accadde, del resto, in origine, anche nell'antica Roma.
..D'altra parte, l'antitesi, così spesso avanzata, fra dittatura e democrazia è relativa, solo che si esamini il fondo esistenziale di questi due fenomeni politici, fondo che è uno « stato di massa ». Se la dittatura non ha caratteri puramente funzionali e tecnici (un esempio può essere quello offerto attualmente dal regime di Salazar in Portogallo), se essa poggia su un pathos come in alcune forme recenti plebiscitarie e populiste, galvanizzarla è lo stesso elemento attivato da ogni demagogia democratica. Il dittatore fa da cattivo surrogato al monarca con l'appellarsi a forze che cercano confusamente un punto di appoggio, un centro, qualunque esso sia, pur di venir a capo del caos, del disordine, di situazioni divenute insopportabili. Ciò spiega però anche il fenomeno di possibili, bruschi cambiamenti di polarità in sèguito a qualche trauma che ha sospeso la forza coesiva e animatrice del sistema, come quando in un campo magnetico la corrente viene a mancare. Il caso più perspicuo è forse offerto, a tale riguardo, dallo stupefacente cambiamento del clima politico collettivo verificatosi nella Germania attuale, dopo l'entusiasmo quasi frenetico di massa che aveva caratterizzato il precedente periodo dittatoriale. È significativo che invece un analogo fenomeno di inversione non si era prodotto in Germania dopo la prima guerra mondiale, perché l'antecedente non era stato una dittatura bensì una tradizione monarchica.
.. Per la « trascendenza » del principio di autorità proprio ad una regalità, il regime monarchico costituisce l'unica vera antitesi sia a dittatura, sia a democrazia assoluta. In ciò si deve indicare il fondamento del suo superiore diritto. Le varie forme che può rivestire e le idee o i simboli con cui può legittimarsi questa trascendenza a seconda dei tempi, non toccano l'essenziale: l'essenziale è il principio. Ha ragione il Loewenstein quando dice che in un mondo desacralizzato dalle scienze naturali, nel quale la stessa religione è minata, non può più esser quistione di quella mistica della monarchia che in altri tempi si appoggiava a certe concezioni teologiche e a una certa liturgia. Ma se si dà uno sguardo al mondo dei portatori di corona in tutti i tempi e in tutti i luoghi, si può rilevare come motivo comune e costante il riconoscimento della necessità di un centro stabile, di un polo, di qualcosa che per essere veramente stabile deve avere, in un certo modo, il proprio principio in sé stesso o dall'alto, che non deve avere un carattere derivato. A tale riguardo si può scorrere, ad esempio, l'ottima opera di F. Wolff-Windegg, Die Gekrönten. A ragione qualcuno ha scritto: « Una regalità puramente politica — si può affermarlo senz'altro — non è mai esistita ». In tempi non lontani il «per grazia di Dio», la sovranità di diritto divino non implicò, nei sudditi, considerazioni teologiche specifiche; essa valeva, per così dire, in termini esistenziali, corrispondeva appunto al bisogno di un punto superiore di riferimento, punto che viene assolutamente meno quando il re è tale unicamente per « volontà della nazione » o « del popolo ». D'altra parte, solo in quel presupposto potevano svilupparsi, nei sudditi, nel segno del lealismo, quelle disposizioni, quelle forme di comportamento e di costume di un superiore valore etico, di cui diremo fra breve.
..Così non si può condividere il parere del Loewenstein, che l'argomento «ideale» a favore della monarchia sia ormai invalidato. È vero, certo, quel che egli dice, ossia che il declino della monarchia è dovuto non tanto alla democrazia quanto all'avvento delle macchine e degli aerei, dell'automobile, della televisione — si può dire, in genere, della civiltà industriale tecnologica. Ma qui è da domandarsi, appunto, se si è in diritto di ipostatizzare questa civiltà, ci si deve chiedere in che misura l'uomo vuole accordare a tutto ciò un valore diverso da quello di un insieme di semplici, banali mezzi, i quali nella «civiltà dei consumi » lasciano un assoluto vuoto interiore. Ripetiamolo: si tratta anzitutto della «dignità» della monarchia, di un prestigio e di un diritto che sempre e ovunque si trassero da una sfera sovraindividuale e spirituale: investiture sacre, diritto divino, filiazioni e genealogie mistiche o leggendarie, e così via, non sono state che forme figurate per esprimere un fatto sostanziale sempre riconosciuto, ossia che un ordine politico, una unità collettiva veramente organica e vivente si rende possibile solamente ove esistano uno stabile centro e un principio sopraelevato rispetto a qualsiasi interesse particolare e alla dimensione puramente « fisica » della società, principio avente in proprio una corrispondente intangibile e legittima autorità. Pertanto, in via di principio è assolutamente giusto quel che ha scritto Hans Bliiher: « Un re che lascia confermare dal popolo la sua funzione sovrana, ammettendo, con ciò, di essere responsabile di fronte al popolo — invece di essere re­ sponsabile per il popolo dinanzi a Dio — un tale re ha rinunciato alla sua regalità. Nessuna infamia commessa da un re — e Dio sa se essi non ne hanno commesse — distrugge la sanzione mistica oggettiva del sovrano. Ma una elezione democratica la distrugge immediatamente ».
..Se in altri tempi il legame di fedeltà che univa il suddito e il seguace col sovrano poté venire assimilato ad un sacramento — sacramentum fidelitatis —, qualcosa di ciò si è conservato anche più tardi come il fondo abbastanza percepibile di un'etica speciale, dell'etica, appunto, del lealismo e dell'onore, la quale poteva acquistare una particolare forza nel presupposto, or ora indicato, della presenza di un simbolo personalizzato. In tempi normali, il fatto che il sovrano come individuo non fosse sempre all'altezza del principio, poco importava; la sua funzione restava imprescrivibile e intangibile perché non era all'uomo ma al re che si obbediva e la sua persona valeva essenzialmente come un supporto affinché si destassero, o venissero propiziate, quella capacità di dedizione superindividuale, quell'orgoglio nel servire liberamente ed eventualmente perfino quella prontezza al sacrificio (come quando in momenti drammatici tutto un popolo si raccoglieva intorno al suo sovrano) che costituiscono una via di elevazione e di dignificazione per il singolo e, nel contempo, la forza più potente per tener insieme la compagine di un organismo politico e per ridurvi ciò che esso ha di anodino e di disanimato e che nei tempi ultimi ha preso una pericolosa estensione.
..Che tutto ciò non si possa realizzare nella stessa misura in un'altra forma di reggimento politico, è abbastanza evidente. Un presidente di repubblica può essere ossequiato, ma in lui non si potrà mai riconoscere altro che un «funzionario», un « borghese » come un altro, il quale solo estrinsecamente, non in base ad una intrinseca legittimità, è investito di un'autorità temporanea e condizionata. Chi conserva una certa sensibilità sottile percepisce che l'«essere al servizio del proprio re», il « combattere per il proprio re » (perfino il combattere « per la propria patria », malgrado la colorazione romantica, ha in confronto qualcosa di meno nobile, di più naturalistico e collettivistico), il «rappresentare il re» hanno una qualità specifica; tutto ciò presenta invece un carattere parodistico, per non dire grottesco, quando è «al proprio presidente» che ci si dovesse riferire. Soprattutto nel caso dell'esercito, dell'alta burocrazia e della diplomazia (a prescindere dalla nobiltà ), ciò appare ben evidente. Lo stesso giuramento, quando viene prestato non ad un sovrano ma alla repubblica o all'una o all'altra astrazione, ha qualcosa di stonato e di svuotato. Con una repubblica democratica qualcosa di immateriale, ma pur di essenziale e di insostituibile, va fatalmente perduto. L'anodino e il profano prevalgono. Una nazione già monarchica che diviene una repubblica è, in un certo modo, una nazione « declassata ».
.. Se abbiamo rilevato che quella specie di fluido che si forma intorno al simbolo della Corona è assai diverso da quanto può riferirsi a « stati di folla » esaltati, quali può suscitarli o favorirli la demagogia di un capo­popolo, la differenza esiste anche nei riguardi di ogni semplice mistica nazionalistica. Certo, il sovrano incarna anche la nazione, ne simboleggia l'unità su un piano superiore, stabilendo quasi, con essa, una « unità di destino ». Ma qui ci si trova all'opposto di ogni patriottismo giacobino; non si ha nessuno di quei confusi miti collettivizzanti che parlano al puro demos e che vanno quasi a divinificarlo. Si può dire che la monarchia modera, limita e purifica il semplice nazionalismo; che come essa previene ogni dittatura sostituendovisi con vantaggio, così previene anche ogni eccesso nazionalistico; che essa difende un ordine articolato, gerarchico e equilibrato. Si sa che i rivolgimenti più calamitosi dei tempi ultimi sono da attribuirsi essenzialmente a nazionalismi scatenati.
..Dopo quel che abbiamo detto, è evidente che noi non condividiamo affatto l'idea, che ormai la monarchia deve democraticizzarsi, che il monarca debba assumere quasi tratti borghesi — « deve scendere dalle auguste altezze di altri tempi e presentarsi ed agire in modo democratico », come pretende il Loewenstein. Ciò significherebbe semplicemente distruggerne la dignità e la ragion d'essere, indicata in quanto precede. Il re dei paesi nord-europei che si porta la valigia, che va a fare le compere nei negozi, che acconsente che la radio o la televisione presenti al popolo la sua brava vita familiare comprese le bambine che fanno le bizze, ovvero con la Casa Reale che si presta alla curiosità e ai pettegolezzi dei rotocalchi, e quanto altro si pensa possa rendere vicino al popolo il sovrano, includendovi, in fondo, un certo bonario aspetto paterno ( se il padre lo si concepisce in una blanda forma borghese), tutto ciò non può non ledere l'essenza stessa della monarchia. La « maestà » diviene allora davvero un vuoto epiteto del cerimoniale. A ragione è stato detto che « il potente che per un mal inteso senso di popolarità acconsente a lasciarsi avvicinare va a finire male ».
..È chiaro che tener per fermo tutto ciò, significa andare contro corrente. Ma, di nuovo, si pone una alternativa: si tratta di accettare, o meno, come irreversibile uno stato di fatto, sussistendo il quale della monarchia possono solo esistere inani vestigie. Uno degli elementi da considerare, a questo riguardo, è l'insofferenza, nel mondo attuale, per la distanza. Il successo delle dittature e di altre forme politiche spurie è dovuto, in parte, proprio a! fatto che nel capo viene visto « uno di noi », il « Grande Compagno »; solo in questi termini lo si accetta come guida e gli si obbedisce. Così stando le cose la preoccupazione per la «popolarità» e per i modi « democratici » è ben comprensibile. Ma ciò, in fondo, è tutt'altro che naturale; non si vede perché ci si debba subordinare quando il capo, alla fin fine, è semplicemente «uno come noi », quando non viene avvertita una distanza essenziale, come nel caso del vero sovrano. Così un « pathos della distanza » — per usare una espressione di Nietzsche — dovrebbe sostituirsi a quello della vicinanza, in rapporti che escludono ogni superba tracotanza da una parte, ogni servilismo dall'altra. Questo è un punto basilare, a carattere esistenziale, per una restaurazione monarchica. Senza riesumare forme anacronistiche, invece di una propaganda che «umanizzi» il sovrano per accattivare la massa, quasi sulla stessa linea della propaganda elettorale presidenziale americana, si dovrebbe vedere fino a che punto possano avere una azione profonda i tratti di una figura caratterizzata da una certa innata superiorità e dignità, in un quadro adeguato. Una specie di ascesi e di liturgia della potenza qui potrebbero avere una loro parte. Proprio questi tratti mentre rafforzeranno il prestigio di chi incarna un simbolo, dovrebbero poter esercitare sull'uomo non volgare una forza di attrazione, perfino un orgoglio nel suddito. Del resto, anche in tempi abbastanza recenti si è avuto l'esempio dell'imperatore Francesco Giuseppe che, pur frapponendo fra sé e i sudditi l'antico severo cerimoniale, pur non imitando per nulla i re « democratici » dei piccoli Stati nordici, godette di una particolare, non volgare popolarità.
..Riassumendo, il principale presupposto per una rinascita della monarchia secondo la dignità e la funzione di cui si è detto, resta, a nostro parere, il destarsi di una nuova sensibilità per un ordine che si stacchi dal piano più materiale ed anche semplicemente « sociale », e tenda a tutto ciò che è onore, fedeltà e responsabilità, perché simili valori hanno nella monarchia il loro naturale centro di gravità; mentre, a sua volta, la monarchia risulterà degradata, ridotta ad una semplice sopravvivenza formale e decorativa quando tali valori non siano vivi e operanti — innanzitutto in una élite, in una vera classe dirigente. Non sono le stesse corde che il difensore dell'idea monarchica e quello di un qualsiasi altro sistema debbono far risuonare nel singolo e nella collettività. Così è assurdo affidare i destini dell'idea monarchica ad una propaganda e ad una prassi partitica che ricopi, ad un dipresso, i metodi della parte opposta in clima democratico. Anche il poter constatare oggi l'affacciarsi di tendenze verso un centro autoritario, verso una «monarchia» nel senso letterale (= monocrazia) non basta, dopo quel che abbiamo detto sulle differenze profonde che possono presentare le varie estrinsecazioni del principio di unità e di autorità. Il senso di ciò che non si lascia né vendere né comprare né usurpare nelle dignità e nella partecipazione alla vita politica è un fattore decisivo e sfugge come acqua fra le dita a chi pensa soltanto in termini di materia, di vantaggio personale, di edonismo, di funzionalità e di razionalità. Se di quel senso non si dovesse più parlare per effetto del famoso « senso della storia » marxista, che si pretende irrevocabile, tanto vale accantonare definitivamente la causa monarchica. Ciò equivarrebbe, peraltro, anche a professare il più tetro pessimismo nei riguardi di ciò a cui si può fare ancora appello nell'uomo dei tempi ultimi.
II
..Dopo aver considerato l'aspetto spirituale del problema della monarchia, è necessario indicare gli aspetti che si riferiscono al piano positivo, istituzionale e costituzionale. Su tale piano bisognerà ora precisare la funzione specifica da attribuire alla monarchia e ciò che differenzia un sistema monarchico da altri sistemi. Stupisce che un simile problema non venga quasi affatto affrontato dalla propaganda dei monarchici. Nelle elezioni si sono avuti, anche in Italia, discorsi di monarchici i quali hanno accusato, più o meno sulla stessa linea di altri settori dell'opposizione, le disfunzioni dello Stato repubblicano democratico e partitocratico, e il pericolo del comunismo, guardandosi però dall'indicare, senza mezzi termini e senza paura, in quali termini la presenza della monarchia andrebbe ad eliminare positivamente le une e l'altro, o, per meglio dire, in virtù di quali particolari prerogative la monarchia sarebbe da tanto.
.. Se si è veramente monarchici, non si può ammettere che la monarchia si riduca ad una semplice istituzione decorativa e di rappresentanza, una specie di bel sovramobile o, secondo l'immagine ricordata dal Loewenstein, qualcosa come la figura dorata che si metteva sulla prua di un galeone; lo Stato, in concreto, resterebbe quello delle democrazie parlamentari repubblicane, al re spettando solamente di controfirmare, come farebbe un presidente di repubblica, tutto ci ò che governo e parlamento deliberano. La restaurazione dovrebbe invece comportare una specie di rivoluzione ( o di contro-rivoluzione) monarchica.
.. Alla nota formula « il re regna ma non governa », si dovrebbe contrapporre l'altra: « il re regna e governa » — governa, naturalmente, non nei termini delle monarchie assolute di altri tempi, bensì, in via normale, nei quadri di un diritto e di una costituzione stabiliti. A tale riguardo il migliore esempio è stato proprio quello offertoci dalle precedenti monarchie centro-europee, per le quali il Loewenstein non ha nascosto la sua decisa antipatia. Al sovrano dovrebbe essere riservato non soltanto un potere regolatore, moderatore e arbitrale rispetto alle varie forze politiche ma altresì quello di una suprema istanza. Della costituzione e del diritto non si debbono fare dei feticci. Costituzione e diritto non cadono belli e fatti dal cielo, sono formazioni storiche e la loro intangibilità è condizionata dal corso normale delle cose. Quando questo corso viene meno, quando ci si trova di fronte a situazioni di emergenza, deve farsi valere positivamente un superiore potere che per essere rimasto latente e inattivo nelle condizioni normali, non per questo cessa di costituire il centro del sistema. Il re è il soggetto legittimo di tale potere. Egli può e deve esercitarlo ogni volta che sia necessario, dicendo: «Fin qui, e non più oltre», prevenendo sia ogni movimento rivoluzionario eversivo (prevenendolo mediante una «rivoluzione dall'alto»), sia qualsiasi rivolgimento dittatoriale la cui unica giustificazione è la mancanza di un vero centro di autorità.
..Non è detto che un simile potere debba essere esercitato direttamente dal sovrano; esso può esserlo per mezzo di un Cancelliere o primo ministro capace e deciso che, forte dell'appoggio della Corona e responsabile essenzialmente di fronte ad essa, può far fronte alla situazione. Il caso di Bismarck nel « conflitto istituzionale » ricordato dal Loewenstein corrisponde a questa possibilità. Sicuro della fiducia del sovrano, Bismarck poté tener anche in nessun conto l'opposizione del parlamento e seguendo la sua via fece la grandezza della Germania, ricevendo successivamente, in una nuova costituzione, la sanzione del suo operato.
.. Ci si potrebbe arrischiare a dire che, in parte, una situazione analoga a tutta prima si ebbe quando il re d'Italia appoggiò Mussolini concedendogli poteri che però lui stesso, Vittorio Emanuele, se non si fosse sentito così vincolato costituzionalmente, avrebbe potuto esercitare, tanto da imporre un ordine all'Italia sconvolta dalla sovversione e dalla crisi sociale mediante nuove strutture, senza aver bisogno del fascismo, e prevenendo quegli sviluppi — da alcuni definiti nei termini di una « diarchia » — che alla fine minarono in una certa misura la sua posizione per la presenza, quasi, di uno Stato entro lo Stato. Nelle ore decisive un sovrano non dovrebbe mai dimenticare il detto di un'antica sapienza: Rex est qui nihil metuit (È re chi nulla teme). Per un male inteso umanitarismo, in casi estremi perfino il pericolo di lotte nelle quali possa scorrere il sangue non deve impaurire perché qui non si tratta delle persone, ma di far regnare, al disopra di tutto, l'autorità, l'ordine e la giustizia contro le eventuali agitazioni di parte. La formula, l'abbiamo già indicata: « Fin qui, e non oltre ». In situazioni non eccezionali la concezione di Benjamin Constant della Corona come « quarto potere », come una funzione arbitrale e equilibratrice può essere accettata. Anche i diritti riconosciuti dal Bagehot alla Corona: diritto di essere interpellata, diritto di incitare, diritto di dare orientamenti, sono ineccepibili.
.. Pertanto, con una restaurazione monarchica dovrebbe venire effettuato uno spostamento del centro di gravità. Una rappresentanza nazionale può anche essere eletta dal « popolo », secondo l'una o l'altra modalità (su ciò torneremo), ma essa dovrebbe essere responsabile, in primis et ante omnia , di fronte al sovrano, secondo rapporti di una responsabilità personalizzata che già da sé chiuderebbe la via a tante forme di corruzione democratica. Il re dovrebbe essere, dunque, il supremo punto di riferimento, e dovrebbero essere sentiti gli accennati valori di lealismo e di onore, anziché essere, i rappresentanti, gli strumenti dei partiti e della misteriosa, labile entità «popolo» da essi strumentalizzata, ed a cui sola spetta il potere di conferma o di revoca secondo il sistema della democrazia assoluta, ossia del suffragio universale parificato.
..D'altra parte, per un vero rinnovamento monarchico bisognerebbe aver presente l'ideale di uno Stato organico, per cui non può essere evitato il problema della compatibilità, in genere, della monarchia col sistema, appunto, della democrazia assoluta parlamentare. La sovrapposizione dell'una all'altro può dar luogo solamente a qualcosa di ibrido. E' da ritenersi che se l'auspicato mutamento di mentalità si realizzerà, si verrà a poco a poco a riconoscere anche l'assurdità del sistema delle rappresentanze basato sul suffragio universale indiscriminato, cioè sulla legge del puro numero, avente per ovvio presupposto non la concezione del cittadino come una « persona » bensì la sua riduzione degradante ad un atomo indifferenziato intercambiabile.
.. A tale riguardo bisogna tener presente che una cosa è la democrazia nella sua forma assoluta moderna, un'altra è un sistema di rappresentanze, il secondo non coincidendo necessariamente con la prima. Si sa che un sistema di rappresentanze esistette anche negli Stati monarchici tradizionali, ma in genere come rappresentanze organiche, ossia di corpi, di ordini, di Stände, non di partiti ideologici. A voler considerare i partiti, il sistema migliore sarebbe quello bipartitico, ammettente una opposizione che agisca costruttivamente e dinamicamente entro il sistema, non al difuori di esso o contro di esso. (Ad esempio, che un partito comunista o rivoluzionario, sempreché osservi certe norme statuarie puramente formali, possa venire considerato « legale » ed essere ammesso in una assemblea nazionale benché il suo programma, dichiarato o tacito, sia il rovesciamento dell'ordine esistente, ciò è un vero assurdo). A parte la soluzione bipartitica, già adottata con vantaggio nell'Inghilterra monarchica, il sistema rappresentativo che pel suo carattere organico più si armonizzerebbe con la monarchia sarebbe quello corporativo, nel senso più vasto, tradizionale, senza riferimenti al tentativo, che fu fatto dal fascismo con la creazione di una Camera corporativa anziché partitocratica. Forse l'attuale sistema portoghese — meno quello spagnolo — si avvicina all'ordinamento auspicabile. Il Loewenstein ha messo in luce l'alternativa che si presenterebbe nel caso di una restaurazione, perché o il sovrano si appoggia alle classi superiori, più inclini a sostenere la monarchia, e allora farebbe il giuoco di coloro che sono pronti ad accusarlo di reazionarismo conservatore; ovvero va incontro alle classi lavoratrici e, in genere, si mette a fare il « re del popolo », e allora si alienerebbe pericolosamente quell'appoggio dell 'altra parte della nazione.
.. Ora, un simile bivio presuppone ovviamente il mantenimento, la perpetuazione dello stato di lotta di classe, nei termini dell'ideologia marxista. Ma noi riteniamo che uno dei presupposti per un ordine nuovo, organico e monarchico vada veduto proprio nel superamento di questa divisione antagonistica delle forze nazionali. A tanto dovrebbe mirare appunto la riforma corporativa, attuata la quale l'accennata alternativa di fronte a cui si troverebbe la monarchia restaurata verrebbe in gran parte meno. Anche se all'interno delle corporazioni, o come altro si voglia designare l'organo rappresentativo primario, si facessero valere opposte tendenze, vi è da pensare che la preminenza da dare al principio delle competenze ridurrebbe ampiamente, in tali divergenze, il fattore ideologico.
.. In un settore divenuto ormai sempre più importante il sistema delle rappresentanze corporative secondo competenze potrebbe presentare un carattere attuale per via dello sviluppo quasi teratologico presentato dall'elemento tecnocratico e, in genere, dall'economia. Si sa delle critiche mosse contro la civiltà tecnologica dei consumi nella società industriale più avanzata; gli aspetti distruttivi che le sono propri sono stati indicati, è stata espressa l'esigenza di porre un freno a processi economici divenuti pressoché indipendenti, come secondo l'imagine del « gigante scatenato » usata da W. Sombart. Ora non è concepibile un freno al sistema, un contenimento, senza l'intervento di un potere superiore, politico. Il compito di frenare e ordinare adeguatamente in base ad una gerarchia più completa di interessi e di valori le forze in movimento nell'anzidetta società, ovviando anche una situazione paradossale verificatasi nei tempi ultimi, quella di uno Stato sempre più forte con una testa sempre più debole, troverebbe evidentemente l'ambiente più favorevole per la sua realizzazione in un vero Stato monarchico. Istituzionalmente, l'organo potrebbe venire fornito o da un'assemblea unica, che però, a fianco dei rappresentanti delle forze economiche e produttive, comprenda anche rappresentanze della vita spirituale e culturale (come si ebbe, appunto, negli « Stati Generali » e in analoghe assemblee o Diete degli antichi regimi tradizionali monarchici), oppure dal sistema della doppia Camera, di una Camera Alta e di una Camera Bassa, la seconda essendo quella propriamente corporativa, nella prima facendosi valere invece istanze sovraordinate. Si sa che l'ultima « conquista » della democrazia assoluta è stata l'aver ridotto la Camera Alta, ossia il Senato, ad un inutile doppione dell'altra Camera perché anche per essa è stato fatto valere il principio dell'elezione di massa e delle nomine temporanee (almeno per la maggior parte dei componenti di essa). Come ancor nell'Italia di ieri, la definizione della Camera Alta dovrebbe essere, invece, uno dei compiti essenziali della monarchia, sia pure convenientemente assistita, permanendo il carattere formale della nomina dall'alto.
..Per tal via la Camera Alta resterebbe il corpo politico più vicino alla Corona e sarebbe naturale che in esso il lealismo, la fedeltà e l'impersonalità attiva fossero presenti al più alto grado. Essa dovrebbe avere un potere, una autorità, un prestigio e un significato diversi da quanto è proprio alla Camera Bassa. Custode di valori e di interessi superiori, essa costituirebbe il vero nucleo centrale dello Stato, la « testa » di esso. Andrebbe, pertanto, messo ben in rilievo il suo carattere funzionale attivo in sede di condeterminazione della linea politica, carattere che la differenzierà profondamente da quel che era stato, nell'Italia monarchica post-risorgimentale, il Senato: una assemblea di degne persone, di « alti ingegni », di notabili secondo il censo, però in veste essenzialmente decorativa, senza nessuna vera, vigorosa funzione organica.
.. Senza fermarsi sui dettagli, è chiaro che un sistema di tal genere supererebbe le aberrazioni della democrazia assoluta e della partitocrazia repubblicana e nella monarchia esso avrebbe la sua naturale integrazione. Qui la monarchia non sarebbe qualcosa di eterogeneo, quasi residuo di un altro mondo, sovrapposto al sistema parlamentare corrente. Pertanto, di rigore, il problema della monarchia rientra in un problema più vasto, quello del ridimensionamento « ri voluzionario » dell'intero Stato moderno.
.. Ma per le funzioni della monarchia che abbiamo cercato di tratteggiare, per potere, essa, non soltanto « regnare » ma aver anche una parte attiva — più o meno determinante a seconda delle circostanze — nel « governo », è chiaro che sarebbe necessaria una particolare qualificazione del sovrano non solamente sul piano del carattere, secondo la severa educazione tradizionale dei prìncipi, ma anche in fatto di competenza, di conoscenze e di esperienza. Ciò è reso necessario dal carattere sia dell'epoca che dello Stato moderno. Suggestiva è l'antica concezione estremo-orientale del wei-wu-wei, dell'«agire senza agire» regale, alludente non ad un'azione materiale diretta ma ad una azione « per presenza », come centro e potere quintessenziato. Questo aspetto, pur mantenendo la sua intrinseca validità nei termini dianzi accennati, quando, come nei tempi attuali e probabilmente, ancor più, come in quelli che si preannunciano, tutto è in moto e le forze tendono ad uscire dalla loro òrbita normale, ha bisogno di venire integrato, pur badando bene che per tal via esso non sia menomato. Come abbiamo detto, in altri tempi nel monarca il simbolo poteva anche avere la preminenza sulla persona; dato il clima generale e data la forza di una lunga tradizione e di una legittimità, esso poteva non venire pregiudicato dagli aspetti soltanto umani della persona che nell'uno o nell'altro caso lo incarnava. Se oggi o domani si dovesse venire ad una restaurazione monarchica, ciò non sarebbe più possibile: il rappresentante dovrebbe essere al massimo all'altezza del principio, non per una ostentazione della persona, anzi pel contrario. Dovrebbe avere le qualità anche di un vero capo, di un uomo capace di reggere lo scettro altrimenti che simbolicamente e ritualmente. Una tale qualificazione ai nostri giorni non può essere solamente quella delle epoche delle dinastie guerriere. Le doti di carattere, di coraggio e di energia, pur restando la base essenziale, dovrebbero unirsi a quelle di una mente illuminata e di conoscenze politiche essenziali, adeguate alla struttura complessa di uno Stato moderno e delle forze in atto nella civiltà contemporanea.
.. Il declino dei regimi tradizionali ha avuto due cause le quali hanno agito solidarmente ancor prima che vi si aggiungesse il clima materialistico della civiltà moderna e della società industriale. Da una parte, in alto vi è stata appunto la crescente incapacità di incarnare completamente il principio specie quando le strutture generali cominciavano a scricchiolare; dall'altra, in basso, si è avuto il venir meno, nei popoli divenuti più o meno « masse », di una determinata sensibilità, di certe capacità di riconoscimento. Pertanto la possibilità di una restaurazione monarchica subisce una duplice ipoteca, ed appare condizionata dalla rimozione di entrambi i fattori negativi. Sarebbero richiesti, da una parte, sovrani che non debbano il loro prestigio soltanto alla loro sopraelevata posizione, al simbolo che li adombra, ma che siano anche capaci di far fronte ad ogni situazione come esponenti di una idea e di un potere superiore. Dall'altra parte, occorrerebbe quel mutamento del livello mentale e morale generale delle masse, di cui non ci siamo stancati di sottolineare la necessità.
.. Al giorno d'oggi, l'una e l'altra condizione appaiono ipotetiche. Ma se non si deve venire alle conclusioni, essenzialmente negative, da trarre da studi sulla monarchia nello Stato moderno, come quello intrapreso dal Loewenstein; se essa non deve essere considerata unicamente come un istituto che, pallida ombra di quel che la monarchia è stata, è ora quasi interamente privo del suo significato e della sua essenziale ragion d'essere, non vi è altro modo di impostare il problema. Conviene dunque ripetere che il destino della monarchia appare essere, in un certo modo, solidale con quello dell'intera civiltà moderna e più propriamente dipende da quella che potrà essere la soluzione di una crisi la quale, come appare da indizi molteplici, di quella civiltà sta investendo le stesse fondamenta.


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