LE ‘NOSTRE’ PAROLE DI ZARATHUSTRA

Postato da Admin il 08 SET 2011

"L’editio sincera di Nietzsche, la collezione “Alter ego” di Ar, che ospita i testi del grande filosofo tedesco con l’originale a fronte, è giunta alla prova decisiva: la versione dello Zarathustra. Opera da far tremare le vene e i polsi per la profondità teoretica, per la purezza stilistica, per il labirinto di echi e rimandi in essa contenuti (illuminati con sorprendente virtuosismo dal Curatore). Il volume (di 590 pagine) vedrà la luce tra qualche mese, ma, data la sua importanza, vi proponiamo di divenirne già sottoscrittori da ora.

LE "CENTURIE NERE" PRECURSORI RUSSI DEL FASCISMO?

Postato da Admin il 28 giu 2011

"Il Fascismo non è nato in Italia e in Germania. Ebbe la sua prima manifestazione in Russia, col movimento dei “Cento Neri”, completo già all’inizio del 900 nelle sue azioni e nei suoi simboli: la violenza politica, l’antisemitismo feroce, i neri stendardi col teschio. “Maurizio Blondet in -Complotti- (Il Minotauro, Milano, 1996, pag.83)...

Steno Lamonica intervista Silvia Valerio

Postato da Admin il 07 SET 2011

Silvia Valerio, ha pubblicato nel 2010 il libro “C’era una volta un presidente”, la fabula milesia dei suoi diciott’anni. Tutt’attorno, eroi, prove, comparse, antagonisti, e qualche apokolokyntosis. "L’invidia… talvolta, in uno di quelli che volgarmente chiamano trip mentali, vedo di fronte a me una nuova versione del Giudizio Universale, un po’ psichedelica e sadica, dove Dio, o chi per lui, affossa ed esalta in base alle reazioni delle anime di fronte a un’opera di Botticelli. Lo so, sono rimasta scioccata da chi al liceo sosteneva che Botticelli i piedi li disegnasse male."

COME IL MONDO ANTICO È DIVENTATO CRISTIANO

Postato da Admin il 27 Set 2011

"Da parte di diversi autori è stato osservato che il cristianesimo si è potuto diffondere con relativa rapidità nel mondo antico, incontrando relativamente poca resistenza, in una maniera che è stata paragonata a un contagio, un'epidemia le cui cause sembrano in qualche modo misteriose, nonostante la sua evidente carica di sovversione e dissoluzione nei confronti del mondo e della cultura antichi.

La Spagna tra Goti Arabi e Berberi in uno degli ultimi scritti di J.A.Primo De Rivera

Postato da Admin il 21 Ott 2011

Ebbe a scrivere Maurice Bardeche in “Che cosa è il Fascismo” (Volpe, Roma, 1980, pag.47) “Il solo dottrinario di cui i fascisti del dopoguerra accettano le idee all’incirca senza restrizioni, non è né Hitler né Mussolini, ma il giovane capo della Falange, il cui destino tragico lo sottrasse all’amarezza del potere ed ai compromessi della guerra”, Frase bellissima come tante altre nel libro del Bardeche, ma che non ha mai completamente convinto chi scrive.(1).

Riceviamo e pubblichiamo lo splendido testo del nostro caro Amico Juan Pablo Vitali, argentino di La Plata che con la sua prosa, la sua poesia le sue oniriche visioni coniuga Antichità e Modernità con un unico comune denominatore anticonformista, letterariamente scorretto ed esteticamente sublime che sconvolge l'Anima e penetra nel Cuore di colui che non si arrende ad un mondo materialista e offre la propria coscienza, il proprio coraggio, la propria ribellione ai principi del pensiero e della cultura Tradizionale che i nostri antenati ci hanno consegnato e che ai nostri figli trasmetteremo con immutata lealtà e umiltà.

La poesia e la guerra sono nate insieme. Quando l'uomo brancola la morte, sente inevitabilmente il bisogno di vincolarsi a qualcosa di più alto di lui, superandola. I popoli indoeuropei ci hanno lasciato ampie prove di tale intento. La Bhagavad Gita, l'Iliade, le Saghe, il ciclo del Graal, i Cantori di Gesta. Fa tutto parte di un tentativo di vincere la morte attraverso simboli estetici, che sono anche simboli sacri. Nell'istante estremo del combattimento, è molto poco quello che può essere considerato essenziale. Gli antenati e gli dèi diventano allora parte del guerriero. Già vivono nello stesso mondo sicuramente, quando il guerriero resta ancora vivo. Vanno insieme la poesia e la guerra, perché i valori all'ultimo momento, sono in qualche modo assoluti, perché la morte fisica deve essere superata con un'anima immortale, che ci si è guadagnati in battaglia. Non c'è niente di più poetico che la morte di un guerriero. Questa morte comporta una modifica dell'universo stesso, nell’ eredità di sangue, nella comunità che lo ha generato e sicuramente anche nei mondi invisibili, dove continuano a vivere i guerrieri che lo hanno preceduto. Non c'è guerra senza poesia. La morte trasmuta il caduto, ipso facto, in un super-uomo. Non importa che un poeta non canta questa morte in particolare. Si può sostenere che non ci sono morti particolari quando si diventa un cittadino di questa repubblica aristocratica della morte con onore. Vi è certamente una gloria comune a tutti i fedeli. E due volte beati sono coloro che sinceramente hanno ben combattuto, lo hanno fatto per una giusta causa. Anche coloro che hanno sbagliato in buona fede avranno il loro paradiso, però gli onesti di giusta causa, senza dubbio, saranno elevati al rango di semi-dei.
Probabilmente è nell'apporto di sangue che risiede la bellezza assoluta di uno spirito poetico, perché la sensibilità del poeta e quella del guerriero sono simili. E' differente solo il modo di attraversare la realtà, in un viaggio verso una realtà superiore e pura, luminosa e fatale. Sovrumana, nel senso nietzschiano. Man mano che l'età oscura progredisce, risulta più raro trovare un'espressione o un atto eroico. Praticamente non ci sono più né poeti né guerrieri. Sono diventati parte di una realtà fuori dal tempo. Gli uomini di questo periodo stanno morendo in modo non trascendente. Il degrado rende la poesia difficile, che svanisce come svanisce la guerra secondo l'antico significato. Pochissimi uomini oggi riescono a capire il significato primordiale e sacro della poesia e della guerra. Un giorno, dopo millenni e millenni, il senso sacro delle cose tornerà ancora una volta ad esprimere nuovamente la sua vera dimensione. Nel frattempo, c'è sempre un piccolo spazio e un breve momento in cui la bellezza e il pensiero attraversano l'oscurità. Si tratta di un punto a volte piccolo, ma attraverso di esso possiamo attraversare l'eternità, come le nostre nonne infilavano il filo per cucire in un ago.


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Nei decenni successivi alla sconfitta del 1945 sorsero in tutta Europa, e non solo, circoli, gruppi, movimenti e anche veri e propri partiti che, a ragione o a torto, furono definiti dagli avversari come <neofascisti>, se non <neonazisti>. La stragrande maggioranza rimase confinata a un’effimera vita a livello gruppuscolare, altri ebbero parziali ma effimeri successi. Noi oggi, possiamo vedere in alcuni di loro, delle miniere di motivi da recuperare per la continuazione della nostra, sempre più difficile lotta per la sopravvivenza dei popoli europei. Possiamo pensare per la nostra Italia all’esperienza del Centro Studi Ordine Nuovo, ai movimenti di Sir Oswald Mosley e di John Tyndall per la Gran Bretagna, ai falangisti spagnoli “dissidenti” durante il Franchismo e, soprattutto, al gruppo Cedade, agli svedesi di Per Engdahl e via elencando. Particolarmente interessante ci si presenta, sotto tale visuale, il campo nazionalista e neo fascista francese, ricordiamo per ora la rivista <Defense de l’Occident> di Maurice Bardeche, i gruppi animati da Rene Binet, da Charles Luca, da Francois Duprat e così via, tutti impegnati, secondo le parole di Rene Binet a “rovesciare un corso della storia il cui motore è la sostituzione lenta o veloce di alcune razze da parte di altre.”. Vogliamo qui ricordare l’esperienza facente capo alla rivista <Europe Action> tra i cui componenti si possono trovare alcuni che poi si distinsero come i protagonisti della successiva esperienza della <Nouvelle Droite>.
Il primo numero della La rivista <Europe Action> uscì nel gennaio 1963, il nuovo periodico nasceva dalla sconfitta della lotta per l’“Algeria francese” una battaglia che, in realtà, era stata combattuta a favore di tutta l’Europa. L’attivismo rivoluzionario aveva fallito, era tempo di darsi una definizione ideologica adeguata ai tempi. Tra i protagonisti della nuova avventura intellettuale vi era innanzi tutto Dominique Venner già militante del movimento nazionalista Jeune Nation (messo fuori legge, insieme ad altri gruppi. (1)
Il Venner rimase per fatti legati alla vicenda algerina, ospite delle galere francesi fino al Settembre 1962, durante tale soggiorno ebbe a scrivere un saggio <Pour une Critique Positive>, paragonando la situazione dei nazionalisti e nazional rivoluzionari francesi dopo la sconfitta algerina a quella dei bolscevici russi dopo la fallita insurrezione del 1905, questo scritto voleva essere quasi l’equivalente del famoso <Che Fare> scritto allora dal Lenin. Nelle sue pagine il Venner respingeva le ancora vivaci tendenze attivistiche e cospirative (vi era ancora chi voleva proseguire la battaglia clandestina dell’O.A,S.) propugnando la ripresa della lotta su di un piano strettamente legale, cosa inevitabile in quegli come nei nostri anni. Nel contempo veniva superato il nazionalismo “vecchio stile” invocando la cooperazione di tutti i nazionalisti dell’Occidente auspicando che essi si collegassero intorno al tema centrale della lotta contro il comunismo e tutti quanti lo favorivano grazie ad un organismo di coordinamento che però rispettasse la libertà di azione dei singoli movimenti.
La nuova fase doveva iniziare con una rivista di riflessione ed elaborazione ideologica. Durante il suo soggiorno a spese dello Repubblica Francese il Venner aveva incontrato Maurice Gigembre che era stato uno dei tesorieri dell’O.A.S. e che ebbe poi modo, una volta libero, di raccogliere fondi a favore dei nazionalisti e che divenne poi l’editore della nuova rivista. Possiamo ricordare anche un altro condannato per i fatti di Algeria De Laroque-Latour che, con lo pseudonimo di Coral, divenne il disegnatore “ufficiale” del gruppo, la cui produzione artistica venne spesso accusata di “razzismo” dagli avversari.
L’iniziativa reclutò tra gli aderenti della Fédération des Etudiants Nationalistes una combattiva organizzazione studentesca che era stata costituita nel 1960 anche per continuare in qualche modi le attività di Jeune Nation, i suoi militanti si distinsero per il loro coraggio nell’affrontare le ben più numerose schiere degli studenti di sinistra. Agli inizi del 1960 i capi della F.E.N. (tra i quali figurava, con lo pseudonimo di Fabrice Laroche, Alain de Benoist, elaborarono un <Manifeste de la Classe 60> nel quale si reclamava il mantenimento della presenza francese in Algeria tramite la costituzione di uno Stato autoritario e comunitario che escludesse le divisioni provocate dal pluripartitismo e fosse così in grado d’imporre la propria legge al capitalismo apatride internazionale.(2) Forte fra gli studenti francesi in Algeria la F.E.N. fu vicina ai vari complotti miranti ad impedire l’indipendenza del paese africano, riuscendo peraltro a sopravvivere alla repressione gollista. Messasi in sonno durante la fase finale della questione algerina la F.E.N. ebbe poi una certa ripresa pubblicando < Les Cahiers Universitaires> e < Militant> per i liceali aprendo nuove sezioni sia nella capitale che in provincia. Peraltro non tutti i militanti dell’organizzazione nazionalista studentesca accettarono l’alleanza con il gruppo del Venner e da questi dissidenti nacque poi il Mouvement Occident che si rese famoso per il suo attivismo di piazza e i numerosi scontri con i <rossi> durante il 1968 e che fu infine disciolto dal governo il 31 ottobre di quello stesso anno.
Come si è detto il gruppo nasceva dalla sconfitta della lotta per l’Algeria, si riteneva che la fine dei colonialismo europeo significasse anche la fine delle rivalità che avevano diviso le nazioni europee, il che dava la opportunità di elevare il nazionalismo francese a un patriottismo europeo. In un articolo del 1963 si dichiarava, infatti “La nostra volontà europeista deve sublimare il nostro nazionalismo francese in un patriottismo europeo. La fine dell’Algeria ha fatto di noi i primi patrioti europei” “… Europe–Action si distacca dal nazionalismo in senso stretto, per aderire a un nazionalismo più ampio, <europeista>, occidentalista, che pone l’accento sul destino comune dei popoli bianchi” (J.Algazy <La tentation nèo fasciste..> pag.265) Come scriveva il Duprat pag.123 “Senza rinnegare le realtà nazionali, la rivista si dichiarava europea e chiedeva la solidarietà fra i popoli bianchi. Essa guardava con particolare attenzione ai problemi del mondo moderno. La sua critica alla società mercantile era altrettanto vivace di quella marxista. Europe-Action si preoccupava tanto della qualità della vita quanto dell’elaborazione di una nuova etica collettiva. Il suo empirismo la condusse, sulla via già percorsa dal Renan e dal Maurras, a un agnosticismo politico che venne poi molto criticato da altri gruppi di destra” Buona parte della destra nazionale francese, in effetti, rimaneva legata a un cattolicesimo più o meno bigotto e a una Chiesa che iniziava ad assumere posizioni sempre più marcatamente anti-europee. Tra i collaboratori ricordiamo Lucien Rebatet, Maurice Bardeche già militanti del Fascismo francese antecedente alla II Guerra Mondiale, fra quelli più giovani, Francois d’Orcival (pseudonimo di Amaury de Chaumac lanzac), Fabrice Laroche (pseudonimo di Alain de Benoist), Gilles Fournier, Jean Claude Rivière, Jean Mabire e Pierre Vial. Altri collaboratori già distintisi nelgli anni precedenti furono, Marc Augier (Saint Loup), Henri Coston, Maurice-Ivan Sicardi(Saint-Paulien). Molti di codesti nomi saranno senz’altro noti anche ai lettori italiani.
Inoltre Europe-Action. ebbe corrispondenti in Germania, America Latina, Spagna, USA, Portogallo e Italia (Antonio Lombardo). Nel numero del Maggio 1963 si poteva leggere: “I militanti di una nazione bianca devono trovare al di là delle frontiere del loro paese un aiuto propagandistico che spieghi la loro lotta, esalti il loro coraggio, denunci la repressione e gli abusi di cui sono vittime, risvegli il sentimento di una lotta generale dei popoli bianchi per la propria sopravvivenza contro coloro che ne vogliono la distruzione.” In effetti (E-A Aprile 1964) “Contro una società globale, non può esservi che una concezione globale della rivoluzione. In pratica, ciò significa che un colpo inferto al regime negli Stati Uniti o in Italia giova al Nazionalismo nel suo insieme, in Germania come in Francia.” Mentre sul numero del Luglio-Agosto 1965 si poteva leggere: “Noi ci rivoltiamo contro la castrazione dell’Occidente. Noi ci richiamiamo allo spirito dell’Europa, simboleggiato dal mito di Prometeo, il titano che rubò agli Dei il fuoco celeste per donare agli uomini la conoscenza ed il dominio del mondo …… Vi sono dei nazionalisti <unionisti> di cui noi stessi facciamo parte e dei nazionalisti <separatisti> che hanno perso la nozione della comunità occidentale e della solidarietà europea e vogliono restringere il loro pensiero a una sola parcella del nostro patrimonio ereditario, si tratti del Lussemburgo, della Scozia o della Francia….   Per noi L’Europa è un cuore il cui sangue pulsa a Johannesburg e al Quebec, a Sidney e a Budapest, a bordo delle bianche caravelle e dei vascelli spaziali, su tutti i mari e in tutti i deserti del pianeta….
Ieri il nazionalismo basco voleva creare una patria tra la Francia e la Spagna e il nazionalismo francese si levava tra l’Inghilterra e la Germania. Oggi il nazionalismo vuole edificare un continente tra l’America e la Russia, domani un nazionalismo occidentale, da San Francisco a Vladivostok, risponderà al razzismo dell’Asia …”
Ci fa particolarmente piacere ricordare che E.A. ebbe tra i suoi ispiratori Francis Parker Yockey autore del fondamentale <Imperium, the Philosophy of History and Politics> (cfr. l’edizione Noontide, USA,1991), la rivista riconobbe il suo debito verso questo grande “europeo nato in America” in un articolo del numero dell’ottobre 1964 “che iniziava Yockey è un personaggio poco noto, malgrado abbia dato un considerevole apporto al pensiero occidentale”. Inoltre Yockey fu citato in almeno altri due articoli. Lo stesso Francois Duprat in <Les Mouvements d’Extreme Droite en France depuis 1944> riconosceva che il pensiero dell’autore di <Imperium> aveva costituito “buona parte della base dell’ideologia di Europe Action”(Crf. anche Kevin Coogan <Dreamer of the Day: F.P.Yockey and the postwar fascist International> Autonomedia, 1999 pag.532 e segg. e Alfonso De Filippi <F.P.Yockey ed il Destino dell’Europa> Idee in Movimento, Genova,2000).
Riportiamo quanto scriveva uno “storico” di parte avversa (J.Algazy <La tentation néo fasciste en France…> pagg.264-265) “Ai suoi inizi, il gruppo Europe Action preferì il lavoro di formazione ideologica alle attività in piazza: esso aspirava a rafforzare le convinzioni dei suoi lettori, dei suoi futuri attivisti, dal punto di vista politico ed ideologico. Ciò che caratterizzò il gruppo … furono tentativi da parte dei suoi dirigenti di rinnovare e riforgiare l’ideologia di base, il Fascismo, al fine di adattarla meglio,… alle nuove condizioni dell’epoca. I redattori di Europe Action non si dichiararono mai adepti del fascismo, ma non parvero rinnegarlo, raramente segnalarono delle divergenze tra le proprie concezioni e quelle del Fascismo pre 1945; in ogni caso, mai parvero condannarlo. In seguito all’insuccesso dell’avventura algerina a cui aveva partecipato la maggior parte dei neo-fascisti francesi(3), si constata che Europe Action si distaccò dal nazionalismo inteso in senso stretto, per aderire ad un nazionalismo di maggior ambito, “europeista” che poneva l’accento sul destino comune dei popoli bianchi”. Riguardo all’atteggiamento di E:A. verso il Nazionalsocialismo germanico si può citare quanto si leggeva in un <Dictionnaire du Militant> nel numero del maggio 1963 “A fianco di intuizioni geniali, i suoi errori hanno provocato la sua sconfitta: ipertrofia del concetto di capo, razzismo romantico (non scientifico) destinato unicamente a rafforzare un nazionalismo ristretto, revanscista, aggressivo: una politica europea reazionaria che non solo provocò la sua disfatta, ma anche l’ostilità generale dei popoli europei. Codesti errori furono in gran parte dovuti all’assenza di stabili fondamenta dottrinali …” Nella stessa occasione si poteva leggere del Fascismo italiano <Fenomeno politico italiano  del periodo tra le due guerre morto con il suo fondatore, Mussolini, nel 1945. Rivolta della generazione del fuoco e della gioventù contro una società sclerotizzata, riflesso di difesa popolare contro il pericolo della rivoluzione comunista, aspirazione ad uno stile di vita che esaltasse le virtù energiche, la poesia del passato nazionale risvegliato dalla volontà dei combattenti. Potente movimento popolare troppo dipendente dalla schiacciante personalità di un solo uomo, privo di riferimento ad una filosofia politica coerente. Non bisogna confondere Fascismo e Nazionalsocialismo ….>
Ridando la parola ad un avversario (Pierre Milza <Fascisme française…> pag.330 “La grande innovazione nei confronti della dottrina originaria del Nazionalsocialismo è la sostituzione dal parte del Venner e dei suoi amici di quello che essi definiscono un nazionalismo <unionista> al nazionalismo tradizionale qualificato <separatista>. Spieghiamo: i tempi della nazioni francese, tedesca, inglese etc, sono passati; è venuto il momento di promuovere un <nazionalismo europeo>, fondato sull’<eredità occidentale> (cfr. Europe Action Luglio Agosto 1964). In rapporto alle idee ed ai sentimenti che avevano animato alcuni collaborazionisti francesi del tempo di guerra, intellettuali o lanzichenecchi della LVF, si tratta meno di una innovazione che della teorizzazione, su base razziale, del mito ricorrente della Crociata. Una Crociata senza croce, dato che Europe-Action, al servizio della <civiltà ariana>, pende nettamente verso il simbolismo pagano. Pertanto vi è una differenza: l’<Europa> che la rivista ….. vuol fare la patria comune dei <rivoluzionari> non si limita alle frontiere del vecchio continente. In altri termini (proseguiva il Milza). Si tratta della <civiltà bianca>, la cui superiorità è in primo luogo dimostrata dalla sua capacità a <fornire i mezzi per il dominio dell’ambiente fisico>, e poi definita tramite criteri <antropologici>, <biologici>, <genetici> ripresi dai classici del pensiero razziale e riadattati ai tempi.”
Sono codesti argomenti di cui la repressione ed il “politicamente corretto” impediscono oggi la ripresa, ma che, almeno a giudizio di chi scrive, non andrebbero del tutto trascurati da chi ancora tenti di elaborare una “ideologia di combattimento” adattata ai nostri giorni. Comunque i collaboratori della rivista tentavano di giustificare la pretesa alla superiorità della razza bianca rifacendosi agli studi sulla capacitò cranica, il peso della massa cerebrale, l’attività delle glandole endocrine ritenendo che fosse dimostrabile l’esistenza di una scala razziale riguardo all’intelligenza e alla capacità di creare delle civiltà. “sembrerebbe, dunque, che a una differenziazione fisiologica corrisponda una …..ineguaglianza mentale tra le varie razze e che essa non sia eliminabile. Né l’educazione, né il cambiamento delle condizioni ambientali paiono sufficienti a modificare un fatto che risulta dall’evoluzione della vita”. Cfr.J.Algazy cit. pag.271
Ma un gruppo etnico può venire trasformato modificandone la composizione genetica con l’introduzione massiccia nel suo seno di elementi eterogenie, esso giungerebbe così alla propria sparizione e alla sparizione della cultura che scaturisce. Per questo il gruppo si opponeva non solo all’immigrazione extra europea ma anche alla mescolanza tra le razze, ai matrimoni misti e favoriva la segregazione razziale. Su di un piano “interno” la rivista auspicava che il futuro stato nazionalista portasse ad un miglioramento delle elites nazionali separandone contemporaneamente la parte sana del popolo dallo “scarto biologico” di cui sarebbe stato bene frenare se non impedire la crescita demografica.
Inutile dire che l’europeismo di Europe Action venne criticato da quei gruppi rimasti attaccati al “piccolo nazionalismo” limitato all’“esagono” francese: un atteggiamento deleterio e suicida che purtroppo perdura anche ai giorni nostri. Inoltre la difesa del Sud Africa e del sistema dell’apartheid e del regime “bianco” della Rhodesia furono una costante di E.A.
Scriveva il Lebourg (<Le Monde vu.. > cit. pag,23) <Europe–Action non cessava di presentarsi sotto l’angolatura europeista mentre il suo discorso univa le ambiguità amalgamando la questione della civiltà del continente a quella della supremazia della razza bianca. Mentre venivano apertamente espresse tesi improntate al social darwinismo e  al  razzialismo ….. il nazismo e il fascismo venivano dati per morti con i loro fondatori. La nozione di “Comunità del popolo” deriva dall’organicismo volkisch  che unisce “la terra e il popolo, il suolo e il sangue …. Quelli che sono dello stesso sangue, della stessa cultura ed hanno lo stesso destino” Da tale aggiornamento culturale derivava un completo mutamento dell’accezione della parola “nazionalismo”, d’ora in poi definito come: “dottrina che esprime in termini politici la filosofia e le necessità vitali dei popoli bianchi”> In fondo più che all’Europa, E.A. si richiamava ad un <Occidente> visto come unione dei popoli bianchi comprendente perciò anche gli USA che (cfr il Numero del Giugno 1964) venivano considerati una delle “provincie di questa grande patria che è la razza bianca” allo stesso titolo della Francia e dell’Africa del Sud (cfr. Lebourg op. cit. pag.102). In tal senso si elogiava la lotta dei movimenti nazionalisti d’oltreoceano che ancora difendevano la supremazia della razza bianca. Tale posizione che negli anni seguenti, divenne sempre più difficile da sostenersi a causa delle posizioni antieuropee e di asservimento al sionismo adottate dagli Stati Uniti e, supinamente accettata da quella che ancora per poco tempo è la maggioranza “più o meno bianca” della popolazione nordamericana (Peraltro se si verificasse quello che molti “buoni europei” auspicano, cioè una frantumazione degli USA secondo linee etniche, tali concezioni potrebbero, forse, venire riprese su nuove basi.)
Al fianco della rivista si formò un vero e proprio milieu, comitati di sostegno, gruppi di “volontari” che ne assicurassero la diffusione e gruppi di studio su problemi particolari (Centre d’études pour l’écononomie organique, Groupement d’ètudes des repatriés et sympathisants etc.):
Il primo numero di Europe Action uscì nel gennaio 1963 con una tiratura di 10.000 esemplari per raggiungere poi una media di 20.000. In seguito l’equipe di Europe Action partecipò a un’altra avventura politica destinata anch’essa alla disfatta. Nel 1965 si presentò come candidato alla presidenza della Repubblica per la destra nazionale il famoso avvocato Jean Louis Tixier Vignancour(4) fra i suoi collaboratori si segnalava l’ex deputato poujadista Jean Marie Le Pen ben presto gli elementi di E.A. si infiltrarono nel <Comitato> per la candidatura del Tixier. Questi finì con l’ottenere un deludente 5,1% dei voti, in seguito a tale insuccesso il fronte, fin troppo composito, dei suoi sostenitori si spezzò e l’ex candidato finì col fondare un suo partito l’Alliance Rèpublicain pour les Libertès et le Progrès destinato a vivacchiare per qualche anno. Infine il Tixier fu candidato al Parlamento Europeo per una lista dell’<Eurodestra>.
Ad “approfittare” della disfatta della destra nazionale furono quelli di Europe Action: quando divenne chiaro che il Tixier non aveva l’intenzione di creare il grande partito nazionale nel quale avevano contato di infiltrarsi per assumere la direzione, il Venner ed i suoi iniziarono a porre le basi di un proprio movimento recuperando in primis gli elementi più “duri del Comité TV”. Il 24 gennaio 1966, nel 6° anniversario della insurrezione nazionalista delle “barricate di Algeri”, un centinaio di membri del Comitè TV (per lo più ex militanti di Europe Action) pubblicarono un manifesto che annunciava la loro intenzione    di costituite un nuovo partito, il Mouvement Nationaliste du Progres (F.Duprat<Les Mouvemenets d’Extreme Droite…> pag 132
Come notava lo stesso Duprat (ibidem) il nuovo movimento si distanziava dalle tesi di “realismo biologico” di E.A. cercando di attrarre più simpatizzanti di quanto avessero potuto fare i Volontaires di Europe Action. In alcune regioni il MNP riuscì a recuperare parte dei Comitati che avevano sostenuto la candidatura del Tixier, ma in molte altre dovette accontentarsi di adesioni individuali. Il MNP poté peraltro contare sul sostegno del rinnovato attivismo della Federation des Etudiants Nationalistes i cui aderenti avevano anche infiltrato la Federation des Etudiants Réfugiés che raggruppava i giovani profughi dall’Algeria. Purtroppo fallì un tentativo di fondere la FEN con il Movimento Occident. Si può ricordare che grazie al tipo di propaganda impiegato, il MNP poté crearsi a Parigi una certa qual base tra i lavoratori. Soprattutto il nuovo movimento riprese la campagna <Stop a l’invasion algèrienne en France> già portata avanti da Europe Action.
Il 1 Maggio 1966 si svolse a Parigi il congresso del MNP che vide la presenza di 300 delegati provenienti da tutta la Francia e quella di rappresentanze di vari movimenti nazionali del resto dell’Europa. Durante il congresso furono celebrati due atti di alto valore simbolico (Cfr.F.Duprat cit. pag.136): una colonna di militanti condotta dal generale Cariou andò a deporre una corona al Mur des Fédéres in memoria dei <comunardi> fucilati dalla reazione mentre un’altra composta da operai delle officine Renault ne andava a deporre una sulla tomba di Bastien-Thiry fucilato per aver attentato a De Gaulle.
Purtroppo il nuovo movimento dovette, fin dalla nascita, affrontare gravi problemi finanziari, la stessa rivista <Europe Action> dovette chiudere nel Novembre 1966 in seguito alla cessazione, per motivi finanziari, delle attività delle Editions Saint-Just da cui veniva pubblicata (Cfr. Duprat cit. pag.134)
Dopo varie esitazioni, i dirigenti del MNP decisero di partecipare alle elezioni legislative del marzo 1967, a tal scopo veniva fondata una “copertura elettorale” del MNP, il Rassemblement Européen de la Liberté. Si cercò di presentare almeno 75 candidati, numero necessario per avere accesso a radio e televisione, il che veniva a costare un milione di franchi per ogni candidato, una cifra che fu impossibile procurarsi. Alle elezioni del 5 Marzo 1967 furono così presenti solo 27 candidati del R.E.L. Nonostante la scarsezza dei mezzi la campagna fu condotta con vigore, disperando di poter avere degli eletti, si cercava almeno di far conoscere il partito e le sue posizioni ai francesi. La propaganda venne condotta sulla separazione della banca dallo Stato, la soppressione degli aiuti ai paesi sotto sviluppati e, naturalmente, l’arresto dell’immigrazione algerina; già da allora gli spiriti più attenti intravvedevano il più grande dei pericoli che si profilavano all’orizzonte: quello che l’Europa, e tutti i popoli bianchi, venissero sommersi dalle razze di colore. Inoltre si chiedeva la costituzione di una Europa federale con un esercito, un parlamento e una moneta europei.   Si chiedeva anche l’amnistia per militanti dell’O.A.S. e i “collaborazionisti” ancora in carcere. Si può ricordare che a Metz un candidato del R.E.L. ebbe il sostegno dell’ex generale della Spagna “rossa” El Campesino (Valentin Gonzales) ormai deluso dal comunismo. Come era fin troppo facilmente prevedibile, i risultati furono deludenti: una media del 2,58% dei voti espressi con punte del 3,8% a Marsiglia e del 4,4% in una circoscrizione popolare della Meurthe et Moselle. I militanti più giovani avevano avuto difficoltà a riconvertirsi ai “ludi cartacei” e la cessazione di Europe Action aveva lasciato un vuoto che fu impossibile colmare. A tutto ciò si aggiungeva l’ostilità di altri gruppi nazionalisti determinata da motivi ideologici ed anche personalistici.
Ben presto non tardarono a scoppiare gli inevitabili dissensi tra i responsabili del movimento, che non tardò a dividersi in almeno tre tronconi dalla vita più o meno effimera; i militanti più “duri” (La F.E.N di Parigi ed il “servizio d’ordine del M.N.P). passarono ad Occident. Dei partecipanti all’avventura di Europe Action, infine alcuni, in primis il De Benoist, furono tra i protagonisti della vicenda della “Nouvelle Droite” iniziata nel gennaio 1968 con la fondazione del Groupement de Recherche et d’Etudes pour la Civilisation Européenne (GRECE). Nella famosa rivista grecista <Nouvelle Ecole> riappariranno in forma molto più “morbida” tesi già comparse in <Europe Action>. Si trattò in questo caso di un fenomeno culturale che, almeno ai suoi inizi, parve avere la possibilità di forgiare le basi di una cultura “di combattimento” che rendesse possibile continuare la lotta contro la decadenza dell’Occidente e per la difesa dei popoli bianchi.
ALFONSO DE FILIPPI
(1)N Jeune Nation era stata fondata nel 1954 da Pierre Sidos e da due suoi fratelli figli di un ufficiale della Milice di Darnand fucilato dai resistenti nel 1945, il movimento si distinse per la violenza delle azioni di piazza dirette specialmente contro i comunisti finché venne sciolto dal governo, analoga sorte ebbe pochi giorni dopo la sua fondazione un Parti Nationaliste che avrebbe dovuto continuarne le attività. Dominique Venner (classe 1935) fu volontario in Algeria, militò in Jeune Nation e in Europe–Action per poi essere tra i fondatori del G.R.E.C.E, è autore di numerosi libri, alcuni dei quali tradotti anche in italiano. Cfr www.dominiquevenner.fr
(2) Nel <Manifesto> si respingevano sia la concezione egualitario democratica dell’uomo sia quella marxista in favore di una visione spiritualista e inegualitarista dell’esistenza. Tra gli ispiratori figuravano il famoso scienziato Alexis Carrel, l’agitatore antisemita Eduard Drumont considerato precursore di un “socialismo nazionale”, Charles Maurras, Pierre Drieu La Rochelle e Robert Brasillach “Essi sanno che cosa è la loro nazione e il suo passato e vogliono credere al suo avvenire. Essi vogliono far luccicare senza tregua, davanti a loro, il luccichio imperiale. Essi vogliono una nazione pura, una storia pura, una razza pura. Non credono alle promesse del liberalismo, all’eguaglianza degli uomini alla volontà dei popoli. Ma essi credono….. che la nazione sia UNA esattamente come una equipe sportiva. Non credono alla giustizia che si limita alle parole, ma invocano la giustizia che regna grazie alla forza”. I militanti della F.E.N. dichiarano di opporsi alla “rivolta dei popoli di colore contro la sovranità ordinatrice e imperiale della civilizzazione bianca, rivolta fomentata, sotto mano, dal comunismo e dai padroni dell’alta finanza e del grande capitalismo apatride”. Il nazionalismo per il <manifesto> diventa un “fenomeno europeo” e si definisce come “la difesa della preminenza europea e la definizione di una forma nuova della vita politica …” La Francia dovrà essere modello a tutta l’Europa dopo che una nuova elite rivoluzionaria, una volta preso il potere ristabilirà l’unità della Nazione, escludendo il gioco dei vari partiti, l’autorità “rigorosamente gerarchizzata” e la “volontà di lotta” indispensabile alla sopravvivenza. Infine “La nuova elite deve difendere l’etnia francese che è la base fondamentale della nostra esistenza nazionale e la cui alterazione a causa di elementi stranieri ne determinerebbe la sparizione certa. A fortiori, gli uomini che formano l’inquadramento politico, intellettuale e sociale della nazione devono appartenere a quella etnia europea di cui la Francia è, in qualche modo, il crogiuolo, e gli elementi apatridi o nettamente differenti ne devono essere esclusi.”
(3) Presero posizione diversa alcuni gruppi a carattere più spiccatamente razzista, tra i quali quelli che venivano definiti <neo nazisti> i quali consideravano che la continuazione del dominio francese sul paese nord africano avrebbe favorito il meticciato e la conseguente decadenza della Francia stessa. Si può ricordare che l’occupazione francese dell’Algeria mise fine al plurisecolare assalto all’Europa da parte della pirateria saracena.
(4)  Jean Louis Tixier Vignancour (1907-1989) fu deputato di destra negli anni 30,vicino al P.P.F. del Doriot, ricoprì una carica nel Regime del maresciallo Petain. Nel dopoguerra fu rieletto al parlamento nel 1956. Famoso avvocato fu, tra l’altro, difensore di vari esponenti dell’O.A.S. tra cui il generale Raoul Salan e J.M.Bastien Thiry.
BIBLIOGRAFIA
Collezione della rivista <Europe Action>
Algazy Joseph <La tentation néo-fasciste en France 1944-1965> Fayard,Paris,1984
Duprat Francois <Les Mouvements d’Extreme Droite en France depuis 1944> Albatros,Paris,1972
Lebourg Nicolas <Le Monde vu de laPlus Extreme Droite-Du Fascisme au nationalism-révolutionnaire>Pup,France,2010
Milza Pierre <Fascisme franc Passé et Présent> Flammarion, Paris, 1987


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Dice il pediatra Aldo Naouri: «La società ha adottato integralmente, senza limiti e contro-poteri, valori femminili».
Lo testimoniano il primato dell’economia sulla politica, dei consumi sulla produzione, della discussione sulla decisione; il declino dell’autorità rispetto al «dialogo», ma anche l’ansia di proteggere il bambino (sopravvalutandone la parola); la pubblicità dell’intimità e le confessioni da tv-verità; la moda dell’umanitario e della carità mediatica; l’accento costante su problemi sessuali, riproduttivi e sanitari; l’ossessione di apparire e piacere e della cura di sé (ma anche il ridurre il corteggiamento maschile a manipolazione e molestie); la femminilizzazione di certe professioni (insegnanti, magistrati, psicologi, operatori sociali); l’importanza dei lavori nella comunicazione e nei servizi, la diffusione di forme tondeggianti nell’industria, la sacralizzazione del matrimonio d’amore (un ossimoro); la voga dell’ideologia vittimista; la moltiplicazione dei consulenti familiari; lo sviluppo del mercato delle emozioni e della pietà; la nuova concezione della giustizia che la rende non più mezzo per giudicare equamente, ma per risarcire il dolore delle vittime (onde «elaborino il lutto» e «si rifacciano una vita»); la moda ecologica e delle «medicine alternative»; la generalizzazione dei valori del mercato; la deificazione della coppia e dei suoi problemi; il gusto per la «trasparenza» e per il «mischiarsi», senza dimenticare i telefonini come surrogato del cordone ombelicale; infine la globalizzazione stessa, che tende a instaurare un mondo di flussi e riflussi, senza frontiere né punti di riferimento stabili, un mondo liquido e amniotico (la logica del Mare è anche quella della Madre).
Certo, dopo la dolorosa «cultura rigida» stile anni Trenta, non tutta la femminilizzazione è stata negativa. Ma ormai essa provoca l’eccesso opposto. Oltre a significare perdita di virilità, porta a cancellare simbolicamente il ruolo del Padre e a rendere i ruoli sociali maschili indistinti da quelli femminili. La generalizzazione del salariato e l’evoluzione della società industriale fanno sì che oggi agli uomini manchi il tempo per i figli. A poco a poco, il padre s’è ridotto al ruolo economico e amministrativo. Trasformato in «papà», si muta in semplice sostegno affettivo e sentimentale, fornitore di beni di consumo ed esecutore di volontà materne, mezzo assistente sociale e mezzo attendente che aiuta in cucina, cambia i pannolini e spinge il carrello della spesa.
Ma il padre simboleggia la Legge, referente oggettivo al di sopra delle soggettività familiari. Mentre la madre esprime innanzitutto il mondo di affetti e bisogni, il padre ha il compito di tagliare il legame fra madre e figlio. Figura terza, che sottrae il figlio all’onnipotenza infantile e narcisistica, permettendone l’innesto socio-storico, ponendolo in un mondo e in una durata, assicura «la trasmissione dell’origine, del nome, dell’identità, dell’eredità culturale e del compito da svolgere» (Philippe Forget). Ponte tra sfera familiare privata e sfera pubblica, limite del desiderio davanti alla Legge, si rivela indispensabile per costruire il Sé. Ma oggi i padri tendono a divenire «madri qualsiasi». «Anche loro vogliono essere latori dell’Amore e non solo della Legge» (Eric Zemmour). Senza padre, però, il figlio stenta ad accedere al mondo simbolico. Cercando un benessere immediato che non si misuri con la Legge, trova con naturalezza un modo d’essere nella dipendenza dalla merce.
Altra caratteristica della modernità tardiva è che la funzione maschile e quella femminile sono indistinte. I genitori sono soggetti fluttuanti, smarriti nella confusione dei ruoli e nell’interferenza dei punti di riferimento. I sessi sono complementar-antagonisti: s’attirano combattendosi. L’indifferenziazione sessuale, cercata nella speranza di pacificare i rapporti fra sessi, fa scomparire tali relazioni. Confondendo identità sessuali (ce ne sono due) e orientamenti sessuali (ce ne sono tanti), la rivendicazione d’eguaglianza fra genitori (che toglie al figlio i mezzi per dare un nome ai genitori e che nega importanza alla filiazione nella sua costruzione psichica) significa chiedere allo Stato di legiferare per convalidare i costumi, per legalizzare una pulsione o per garantire istituzionalmente il desiderio. Non è questo il suo ruolo.
Paradossalmente, la privatizzazione della famiglia ha proceduto di pari passo con la sua invasione a opera dell’«apparato terapeutico» di tecnici ed esperti, consiglieri e psicologi. Col pretesto di razionalizzare la vita quotidiana, tale «colonizzazione del vissuto» ha rafforzato la medicalizzazione dell’esistenza, la deresponsabilizzazione dei genitori e le capacità di sorveglianza e controllo disciplinare dello Stato. In una società ritenuta sempre in debito verso gli individui, oscillante fra memoria e compassione, lo Stato-Provvidenza, dedito alla lacrimosa gestione delle miserie sociali tramite chierici sanitari e securitari, s’è mutato in Stato materno e maternalista, igienista, distributore di messaggi di «sostegno» a una società coltivata in serra.
Ma tutto ciò è evidentemente l’esteriorità del fatto sociale, dietro il quale si dissimula la realtà di ineguaglianze salariali e donne picchiate. Radiata dal discorso pubblico, la durezza torna con tanta più forza dietro le quinte e la violenza sociale risalta sotto l’orizzonte dell’impero del Bene. La femminilizzazione delle élite e il posto preso dalla donna nel mondo del lavoro non l’hanno resa più affettuosa, tollerante, attenta all’altro, ma solo più ipocrita. La sfera del lavoro dipendente obbedisce più che mai alle sole leggi del mercato, il cui fine è il continuo lucro. Si sa, il capitalismo ha sempre incoraggiato le donne a lavorare: per ridurre i salari degli uomini.
Ogni società tende a manifestare dinamiche psicologiche che s’osservano anche a livello personale. Alla fine del XIX secolo regnava spesso l’isteria, all’inizio del XX secolo la paranoia. Oggi, nei Paesi occidentali, la patologia più comune sembra essere un narcisismo diffuso, che si traduce nell’infantilizzare chi ne è colpito, in un’esistenza da immaturi, in un’ansia orientata alla depressione. Ogni individuo si crede oggetto e fine di tutto; la ricerca dello stesso prevale sul senso della differenza sessuale; il rapporto col tempo si limita all’immediato. Il narcisismo genera un fantasma d’auto-generazione, in un mondo senza ricordi né promesse, dove passato e futuro sono parimenti appiattiti su un perpetuo presente e dove ognuno si pensa come oggetto di desiderio e pretende di sfuggire alle conseguenze dei suoi atti. Società senza «padri», società senza «ripari»! 




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L’Associazione ARETE’ ricorda  l’immensa figura del Filosofo Giordano Bruno, bruciato vivo il 17 Febbraio del 1600 a Roma in Campo dei Fiori dall’intolleranza della Inquisizione, da taluni ancora definita “santa”. Con Lui ricordiamo altri Martiri dell’Antico Culto, colpevoli solo di essere rimasti fedeli alle Divinità della propria Civiltà. Ricordiamo la scienziata  Ipazia , trucidata ad Alessandria di Egitto, il Filosofo Simonide bruciato vivo, il Filosofo Politeista Maximus decapitato, migliaia di Sacerdoti;  inoltre bruciati luoghi di Culto Sacri. poi ridotti a bordelli e stalle per disprezzo! Carbonizzare le Biblioteche come quelle di Antiochia ed Alessandria di Egitto e numerose altre,  ha significato perdere per l’Eternità opere di scienza, fisica, matematica, astronomia, filosofia, storia, geografia, geometria, letteratura, trattati di idraulica ed architettura, tutte opere di immenso valore artistico, scientifico e culturale...Potremmo continuare ma rimandiamo alla lettura dell’imperdibile opera di K.Deschner “STORIA CRIMINALE DEL CRISTIANESIMO”, Edizioni Ariele in cui vengono descritti accadimenti inimmaginabili. Essendo il nostro Sodalizio, continuatore ideale del Culto di quella Civiltà, accettiamo ed ammettiamo qualsiasi  Religione, ed è per questo che oggi, in nome della tolleranza, irrinunciabile nostra Divisa Spirituale, ricordiamo il Martirio di questo Grande Intellettuale, ingiustamente arso vivo da chi doveva, a parole, ”porgere l’altra guancia”. Onore a Voi, Martiri dell’ Antica Civiltà Europea. Arete776@libero.it 



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