LE ‘NOSTRE’ PAROLE DI ZARATHUSTRA

Postato da Admin il 08 SET 2011

"L’editio sincera di Nietzsche, la collezione “Alter ego” di Ar, che ospita i testi del grande filosofo tedesco con l’originale a fronte, è giunta alla prova decisiva: la versione dello Zarathustra. Opera da far tremare le vene e i polsi per la profondità teoretica, per la purezza stilistica, per il labirinto di echi e rimandi in essa contenuti (illuminati con sorprendente virtuosismo dal Curatore). Il volume (di 590 pagine) vedrà la luce tra qualche mese, ma, data la sua importanza, vi proponiamo di divenirne già sottoscrittori da ora.

LE "CENTURIE NERE" PRECURSORI RUSSI DEL FASCISMO?

Postato da Admin il 28 giu 2011

"Il Fascismo non è nato in Italia e in Germania. Ebbe la sua prima manifestazione in Russia, col movimento dei “Cento Neri”, completo già all’inizio del 900 nelle sue azioni e nei suoi simboli: la violenza politica, l’antisemitismo feroce, i neri stendardi col teschio. “Maurizio Blondet in -Complotti- (Il Minotauro, Milano, 1996, pag.83)...

Steno Lamonica intervista Silvia Valerio

Postato da Admin il 07 SET 2011

Silvia Valerio, ha pubblicato nel 2010 il libro “C’era una volta un presidente”, la fabula milesia dei suoi diciott’anni. Tutt’attorno, eroi, prove, comparse, antagonisti, e qualche apokolokyntosis. "L’invidia… talvolta, in uno di quelli che volgarmente chiamano trip mentali, vedo di fronte a me una nuova versione del Giudizio Universale, un po’ psichedelica e sadica, dove Dio, o chi per lui, affossa ed esalta in base alle reazioni delle anime di fronte a un’opera di Botticelli. Lo so, sono rimasta scioccata da chi al liceo sosteneva che Botticelli i piedi li disegnasse male."

COME IL MONDO ANTICO È DIVENTATO CRISTIANO

Postato da Admin il 27 Set 2011

"Da parte di diversi autori è stato osservato che il cristianesimo si è potuto diffondere con relativa rapidità nel mondo antico, incontrando relativamente poca resistenza, in una maniera che è stata paragonata a un contagio, un'epidemia le cui cause sembrano in qualche modo misteriose, nonostante la sua evidente carica di sovversione e dissoluzione nei confronti del mondo e della cultura antichi.

La Spagna tra Goti Arabi e Berberi in uno degli ultimi scritti di J.A.Primo De Rivera

Postato da Admin il 21 Ott 2011

Ebbe a scrivere Maurice Bardeche in “Che cosa è il Fascismo” (Volpe, Roma, 1980, pag.47) “Il solo dottrinario di cui i fascisti del dopoguerra accettano le idee all’incirca senza restrizioni, non è né Hitler né Mussolini, ma il giovane capo della Falange, il cui destino tragico lo sottrasse all’amarezza del potere ed ai compromessi della guerra”, Frase bellissima come tante altre nel libro del Bardeche, ma che non ha mai completamente convinto chi scrive.(1).

Elena Percivaldi e la storia celtica

Pubblicato da Admin il 12:57 2 commenti

Ereticamente ospita tra le sue pagine web Elena Percivaldi, medievista, scrittrice, giornalista, critico d’arte e musicale. Titolare della Perceval Archeostoria, è esperta di storia e tradizioni del mondo celtico e annovera una importante produzione bibliografica.

Ereticamente, nel ribadire il proprio impegno metapolitico si associa alla critica della nostra interlocutrice verso il mondo politico (soprattutto quello di centro-destra)  distratto e il più delle volte assente verso la Cultura.  “…piuttosto che organizzare convegni, conferenze e iniziative didattiche sulle radici dei nostri popoli e sulla nostra Storia che, a parole dicono di voler promuovere,  fanno (i politici ndr) poi a gara nel costruire strade e fare concessioni edilizie: cose che, evidentemente, interessano di più per i motivi che è facile intuire. Ma non è con questo tipo di mattoni che si costruisce l'identità di un popolo.”


intervista a cura di Steno Lamonica dell'associazione Aretè


A) Dottoressa Elena Percivaldi, Lei è una studiosa del Mondo Celtico: la cultura dei Celti è ancora presente in Italia?
Quella dei Celti anche da noi è una civiltà antichissima, anche se pochi lo sanno. Prevale ancora  nell'immaginario collettivo l'idea che i Celti valicarono le Alpi, misero a ferro e fuoco la Pianura Padana e si diressero a Roma, dove Brenno e i suoi la saccheggiarono spietatamente per poi tornarsene a casa loro senza lasciar traccia  se non un mucchio di rovine fumanti. Niente di più falso E' ormai assodato che la loro prima apparizione dalle nostre parti non va fatta risalire alla famosa “invasione storica” del VI-V secolo a.C. - quella di cui parla ad es. Tito Livio e che si concluderà appunto col celeberrimo sacco  perpetrato da Brenno – ma a secoli prima. E' stato ampiamente dimostrato che le popolazioni afferenti la cosiddetta cultura di Golasecca, insistente su un territorio che aveva il suo fulcro lungo il fiume Ticino e valicava le Alpi, appartenessero alla koinè celtica europea. Commerciavano col centro Europa e col Mediterraneo e anzi facevano da cerniera, commerciale e culturale, tra il cuore del continente e le sue propaggini meridionali, parlavano una lingua celtica (il lepontico) testimoniata da abbondanti iscrizioni ed esportavano ovunque manufatti di grande pregio, come dimostrano i corredi di alcune tombe principesche centro-europee come  quella, straordinaria, di Hochdorf. Lo spettacolare divano di bronzo lungo 2 metri e mezzo e interamente decorato sembrerebbe addirittura, per motivi stilistici, una creazione insubre: come dire che la Lombardia esportava “mobili di lusso” già millenni fa e non solo adesso. Se poi, come tutto sembra provare, già la cosiddetta cultura di Canegrate portava i segni del celtismo, la presenza di tali genti nelle nostre terre va anticipata addirittura al XIII secolo a.C.  Quando i Celti d'Oltralpe (chiamiamoli per brevità Galli ma in realtà si trattava di molte tribù di varia provenienza: i Boi, i Lingoni, i Senoni, Cenomani, Biturigi, Vertamocori, ecc.) nel V secolo a.C. arrivarono da noi, trovarono genti molto simili che già peraltro conoscevano per via dei contatti commerciali. L'archeologia dimostra che la loro occupazione del territorio in Pianura Padana non avvenne in maniera traumatica: semplicemente, occuparono i territori liberi e qui fondarono nuove città come ad es. Medhelan, la futura Mediolanum (Milano). Una parte proseguì il suo viaggio a sud, alcuni si stanziarono a Bologna (Bononia, dai Boi)  e Senigallia (Sena Gallica), altri si spinsero fino a Roma, altri ancora furono assoldati come mercenari in guerre e guerricciole. Se la loro presenza fosse stata irrilevante, come si spiega l'aiuto decisivo che fornirono ai Cartaginesi durante le guerre puniche, un aiuto tale che Annibale arrivò ad un passo da sconfiggere Roma? Piuttosto che cercare sdrucciolevoli tracce di un presunto celtismo rimasto inalterato dopo millenni – cosa francamente assurda vista la storia d'Italia, da sempre crocevia di popoli diversissimi -, direi comunque che sarebbe il caso in primo luogo che questi dati divenissero di dominio pubblico e non restassero invece appannaggio dei soliti specialisti. E lo dico non certo per nostalgia verso epoche passate: semplicemente, per restituire ai Celti il loro ruolo storico riconoscendo l'importanza indubbia che hanno avuto, insieme ad altri, nella formazione dell'identità del nostro Paese. Semmai, sarebbe opportuno riconoscerne l'eredità spirituale che permane, ad esempio, nella religiosità popolare e nel folklore: aspetto a torto snobbato dagli studiosi perché troppo “pop” e invece parte integrante del patrimonio culturale e tradizionale, ancora oggi, delle nostre genti.

B) La musica celtica è veicolo di trasmissione del Celtismo: si potrebbe fare di più e meglio qui da noi?
La musica celtica è suggestiva, commovente e ancestrale e come tutte le espressioni culturali “vere” e autentiche contiene l'anima di un popolo e della sua cultura. Anche per questo è stata, ed è, apprezzata anche là dove i Celti non sono mai arrivati. Il linguaggio della musica è universale e parla a tutti i popoli indistintamente: non per nulla è uno dei più antichi mezzi di espressione e di comunicazione usati dall'uomo. La musica celtica anche da noi è molto popolare, basta vedere il successo dei numerosi Festival che la propongono ogni anno in tutta Italia, frequentati da migliaia di persone, e dai tanti gruppi che la suonano anche e soprattutto per passione. Io distinguo però sempre la musica celtica di stampo storico e filologico, quella cioè che cerca di ricostruire le antiche sonorità con strumenti tradizionali, da quelle compilation, tanto di moda, di musica New Age che sono belle e rilassanti ma col celtismo non hanno proprio nulla a che fare.

C) E’ negativamente limitativo privilegiare cibi,vestiario o fatuo esibizionismo nell’atteggiarsi ai Celti e non coltivare  spiritualità e religiosità degli Avi Celtici. Concorda?
Mi capita spesso di frequentare rievocazioni storiche dove sono presenti gruppi che si ispirano al mondo celtico. Debbo dire, onestamente, che il più delle volte la scelta di queste persone non è affatto esibizionista o superficiale, anzi è anche una scelta di vita: anche quando sono “in borghese” si vestono in maniera alternativa, mangiano i prodotti della tradizione, cercano di fabbricarsi vestiti e utensili e di vivere in modo più vicino ai ritmi dettati dalla natura, e spesso hanno recuperato anche una spiritualità vicina al paganesimo antico. Certo, non è semplice nel mondo contemporaneo fare scelte di questo genere, tanto più che vengono incomprese, guardate con sufficienza o addirittura demonizzate. A loro invece, secondo me, va il massimo rispetto, come va a chiunque decida di vivere in maniera coerente e in armonia con la propria coscienza. Purché il tutto avvenga nel rispetto dei diritti altrui e di chi la pensa in modo diverso.


D) Verden 782 d.C, 4500 Sassoni trucidati da Carlo Magno perché rifiutavano la conversione al Cristianesimo essendo Pagani.725 d.C. san Bonifacio,volendo evangelizzare la politeista Germania, taglia personalmente –che tolleranza!...- la Sacra Quercia  consacrata al Dio Donar,uno dei simboli più importanti per i Germani e al suo posto  fa costruire una chiesa. Ferite ed offese sempre sanguinanti per il Mondo Indoeuropeo di cui poco si scrive…
Episodi così ce ne sono a migliaia: aggiungiamo san Barbato che nel 663 a Benevento abbatte la sacra arbor venerata ancora dai Longobardi e fa fondere il simulacro a forma di serpente, che adoravano, per trasformarlo in calice per l'eucarestia... Per onestà intellettuale, va però detto che questo approccio “violento” nei confronti del paganesimo fu esercitato dalla Chiesa in un numero importante ma tutto sommato limitato di casi. In genere, il tentativo era quello di operare un sincretismo tra i culti pagani e quelli cristiani individuando, dove possibile, similitudini atte a rendere il più possibile indolore il passaggio. Alcuni esempi: molte caratteristiche delle feste precristiane di Samonios, Imbolc, Beltaine, Lugnasad si ritrovano rispettivamente nelle nostre ricorrenze di Ognissanti e dei Defunti, della Candelora, di Calendimaggio e di Mezza estate. In sant'Antonio Abate, col suo maiale (in origine cinghiale) ai piedi, come mostrano agiografia e iconografia, non è difficile intravedere la figura del dio Lug e, più, in genere del sacerdote-druido; santa Brigida d'Irlanda, venerata anche da noi, sottende chiaramente il richiamo alla dea Birghit o Brigid; in San Michele Arcangelo si sovrappongono Lug e il germanico Odino. E poi Sant'Orso, Santa Lucia, e via enumerando: tutte figure molto meno ingenue e assai più ricche, complesse e stratificate di quanto si creda. Figure che puntano dritte alle radici più arcaiche dell'Europa.


E) Karl Marx ha minacciato - causando carneficine - che la religione è l’oppio dei popoli. La Cosmologia Celtica come risponde a questa volgarità?
Non saprei proprio. Rispondo per me stessa però, e magari la farò arrabbiare: se la religione (qualsiasi essa sia) viene utilizzata per imporre la propria Weltanschauung agli altri o per calpestare i diritti del prossimo in nome e per conto di una divinità usata come spauracchio, allora sono convinta anche io che sia oppio dei popoli.


F) La Sinistra –ormai al servizio del Capitale-ha tentato di appropriarsi di talune tematiche celtiche. Una clamorosa autorete?
Sinistra o destra, ciò che conta per me è la filologicità della questione. Sono una storica, non faccio e non voglio fare politica se non nelle mie scelte quotidiane (che credo contino più di mille proclami) e sono convinta che a commettere autogol sia chiunque tenti di  appropriarsi della Storia tirandola per la giacchetta dalla sua parte. E questo a prescindere dalle bandiere.
 

G) La “Croce Celtica” è uno dei simboli d’Europa. Eppure ha contro una “DAMNATIO MEMORIAE”. Minaccia alla libertà?
Più che altro idiozia collettiva. Il fatto che la croce celtica sia stata utilizzata da chi sappiamo per i fini altrettanto noti non giustifica completamente, a mio modestissimo parere, la demonizzazione del simbolo in quanto tale. Basterebbe semplicemente reinserirlo nel suo contesto sfrondandolo dall'ideologia, restituirlo al suo antichissimo significato e smettere una buona volta di profanarlo con parole d'ordine che non gli appartengono.


H)L’Inghilterra,una tantum,ha dato una lezione di serietà civica parificando recentemente il DRUIDISMO alle altre Religioni riconoscendolo legale a tutti gli effetti. Cosa accade in Italia?
In Italia credo che ciò non si verificherà mai per una serie di motivi contingenti e facilmente comprensibili. Ma la colpa non è certo della Chiesa, la quale si limita – mi si passi l'espressione - a fare il suo mestiere. Il colpevole maggiore è lo Stato, che per definizione dovrebbe essere laico e garantire libertà di culto a tutti, mentre invece continua a inserirsi indebitamente in questioni che non gli competono. Trovo sbagliatissimo, ad esempio, imporre la presenza del crocifisso nelle aule pubbliche, e non certo perché penso che questo possa turbare le coscienze o addirittura offendere qualcuno, anzi. Come se un cristiano avesse bisogno di vedere il crocifisso per sentirsi, sempre e comunque, tale! Se lo Stato deve essere equidistante, perché poi sposa un simbolo a discapito di un altro?  Per questioni di difesa dell'identità? Diciamolo chiaramente: l'identità per un popolo è fondamentale. Se ognuno conosce da dove viene e chi è, non ha certo paura di confrontarsi con l'altro e non ha bisogno di difendersi. Però l'identità non è solo un fatto di religione. E' un fatto di cultura. Anche la lingua è fondamentale, così come la storia, lo studio e la conoscenza di quello che siamo stati nel nostro passato.  Allora, se lo Stato giustamente vuole preservare tale identità, perché ad esempio non difende con altrettanta veemenza – come fanno altri Paesi a casa loro – la lingua italiana dall'ingerenza dell'inglese e dalle continue violenze cui è sottoposta dalla pubblicità, dalla moda e dalle scorciatoie degli sms? Leggo sempre più spesso sconcertanti statistiche sull'ignoranza dei nostri ragazzi a scuola, che si diplomano scrivendo anche nei temi “ke” invece di “che” (e magari fosse una citazione del Placito di Capua!!!!), hanno dimenticato l'uso del congiuntivo e hanno una proprietà di linguaggio e una conoscenza del vocabolario pari a quelle di un bambino delle elementari. Come si fa a difendere l'identità di un popolo che non conosce più nemmeno  la sua lingua? Perché lo Stato continua a mortificare il patrimonio morale del Paese tagliando sulla scuola, sulla cultura, sui musei, su recupero, tutela e valorizzazione dei nostri beni architettonico-paesaggistici, sperperando in pochi decenni un'eredità preziosissima accumulata dai nostri avi nel corso dei millenni? Un popolo senza cultura e senza storia è facile da soggiogare, da asservire, da trasformare in consumatore al servizio delle multinazionali e preda della globalizzazione. Questo, ne sono convinta, è il pericolo più grande.

L) La “Lega Nord” ed il Mondo Celtico. Ci si aspettava di più da chi usa il Rito Pagano del Dio Po. Tanto di più pensando anche che la “Lega Nord” è  al Governo.
Ho già parzialmente risposto prima parlando dell'approccio che il governo, come del resto  altri nella nostra recente storia, ha nei confronti dell'identità: un concetto che viene rispolverato ad usum delphini solo quando fa comodo, un fantasma da agitare davanti alle folle quando si vuole chiamarle a raccolta nel momento del pericolo, una parola che viene pronunciata a sproposito per fomentare odio nei confronti di ipotetici (e strumentali) nemici o per distrarre le masse dai problemi reali del Paese. Avere a cuore l'identità non è solo giusto ma è anche doveroso, sia chiaro, e su questo non ci piove. Però poi occorrerebbe far seguire alle parole i fatti. Abito al Nord e in genere non vedo, salvo poche e per questo ancor più encomiabili eccezioni, le amministrazioni distinguersi nell'organizzare iniziative serie che portino alla cittadinanza la Storia. E' varo, sono falcidiate dai tagli. Ma non basta. Che quelle di centro-sinistra non abbiano interesse per queste tematiche non mi stupisce. Ma mi stupisce che quelle di centro-destra, invece di organizzare convegni, conferenze e iniziative didattiche sulle radici dei nostri popoli e sulla nostra Storia che a parole dicono di voler promuovere,  facciano poi a gara nel costruire strade e fare concessioni edilizie: cose che, evidentemente, interessano di più per i motivi che è facile intuire. Ma non è con questo tipo di mattoni che si costruisce l'identità di un popolo.

M)Lei ha numerosi attestati e scritto molto. Recentemente ha vinto anche il Premio Italia Medievale: i Suoi prossimi lavori?
Oltre alle collaborazioni con varie riviste di settore come Medioevo e Civiltà e ad altre di carattere più specialistico, sta per uscire un volume, a mia cura e con mio ampio contributo, che raccoglie gli Atti di un importante convegno sul Seprio nel Medioevo svoltosi la primavera del 2010 a Morazzone (Va), amministrazione questa sì – come molte altre del Varesotto e dell'Insubria -  molto attenta alla propria storia e alle proprie radici antiche. Poi, ho scritto la parte relativa alla storia antica in un volume su Biassono, importante paese della Brianza, anche questo di prossima uscita. Per il 2012 sono previsti altri saggi e volumi su vari argomenti ma per ora non posso dire di più: aspetto di avere in mano buona parte del lavoro.  Intanto, giro l'Italia con un mio collega archeologo  cercando di diffondere il più possibile con conferenze, corsi, seminari e iniziative didattiche, la conoscenza della storia dei Celti, dei Longobardi e del Medioevo. Sperando che questo lavoro faticosissimo non sia vano.

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Elena Percivaldi nel 2001 consegue la Laurea in Lettere Moderne con il massimo dei voti all'Università degli Studi di Milano con una tesi di storia medievale ("La canonica di S. Stefano nelle pergamene dell'Archivio di Stato di Milano: 1234-1277", comprendente la trascrizione e lo studio di oltre 200 pergamene inedite). Dal 2002 è giornalista professionista. Ha collaborato e collabora con importanti testate di settore come "Medioevo", "Storia & dossier", "Storia in rete", "Arte", “Civiltà”, “Exibart”. E' stata consulente per l'Assessorato alle Culture, Identità e Autonomie della Regione Lombardia. E' socio della Società Storica Lombarda (dal 2004) e membro dell'Associazione Nazionale Critici Musicali (dal 2006), dell'AICA (International Association of Art Critics), sede a Parigi (dal 2006), dell'AISSCA (Associazione italiana per lo studio delle santità, dei culti e dell'agiografia), dal 2007, della Società Friulana di Archeologia (dal 2007), della Società Archeologica Comense (dal 2011), del Centro Europeo Ricerche Medievali (dal 2009), dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri (dal 2009).
Nel 2011 frequenta il Corso di Formazione “L'allestimento dei musei archeologici”, promosso dalla Rete dei Musei Archeologici di Brescia, Cremona e Mantova e realizzato con il contributo di Regione Lombardia – Direzione Generale Cultura.

Ha pubblicato numerosi volumi:

1999: Le genti bergamasche e le loro terre, Co-autrice con il prof. Ettore A. Albertoni (docente presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università dell’Insubria-Como) e Romano Bracalini (giornalista della Rai- Radio Televisione Italiana, scrittore e saggista). Volume pubblicato a cura della Provincia di Bergamo e distribuito a enti, scuole e biblioteche della provincia.
2003: I Celti. Una civiltà europea (Giunti, Firenze), tradotto in spagnolo (Ed. Susaeta, Madrid, tit.: Los Celtas) e tedesco (Tosa Verlag, Vienna, tit.: Das Reich der Kelten)

2005: I Celti. Un popolo e una civiltà d'Europa (Giunti, Firenze)
2006: Gli Ogam. Antico alfabeto dei Celti (Keltia, Aosta)
2008: La Navigazione di S. Brandano. Traduzione dal latino (con testo a fronte), introduzione, note e commento a cura di E. Percivaldi. Prefazione di Franco Cardini (Il Cerchio, Rimini). Il libro ha vinto la sesta edizione (2009) del Premio Italia Medievale.
2009: I Lombardi che fecero l'impresa. La Lega Lombarda e il Barbarossa tra storia e leggenda (Ancora, Milano).
2011: Il Seprio nel Medioevo: appunti su un territorio e la sua storia, in Il Seprio nel Medioevo. Atti del convegno di Morazzone (Va) [tit.provvisorio], in corso di stampa (Il Cerchio, Rimini).

Prefazioni

2009: prefazione a “I cavalieri della Croce Nera. L'Ordensbuch del 1264: Statuto, regola e storia militare dell'Ordine Teutonico” di Pierluigi Romeo Di Colloredo (Ass. Italia – CLU, Genova)
2009: prefazione a "I Segreti di Triora. Il potere del luogo, le streghe e l'ombra del boia", a cura di Maria Antonietta Breda, Ippolito Edmondo Ferrario, Gianluca Padovan (Mursia, Milano)

Tra i tanti lavori apparsi su riviste specialistiche, si segnalano inoltre:

2009: Brevi note sulla scrittura longobarda in Italia, in “Terra Insubre”, anno XIV, n. 50
2009: Arminio, alle radici di un mito controverso, in “Terra Insubre”, anno XIV, n. 51
2010: Vlad l'impalatore, spietato tiranno o eroe nazionale?, in “Terra Insubre”, anno XV, n. 53
2010: La necropoli lateniana dei Celti Vertamocori a Dormelletto, in “Terra Insubre”, anno XV, n. 54
2010: La "Navigazione" di Brandano di Clonfert: un'esperienza tra verità storica, mistica e leggenda, in Archivum Bobiense n. XXXI, 2009, pp. 159-212
2011: I Longobardi tra storiografia e mito, in Terra Insubre, anno XVI, n. 57.
2011: La Langobardia e san Michele, in Terra Insubre, anno XVI, n. 57.



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di Fabio Calabrese

Io credo che il concetto di tradizionalismo serva a molto poco se non si ha la cura di specificare quale sia la tradizione alla quale facciamo riferimento. Una cosa che mi ha sempre colpito come una bizzarria (e una fonte di equivoci pericolosi), è il fatto di sentir parlare di “tradizionalismo cattolico” e “tradizionalismo” “integrale”, “evoliano”, “esoterico” come se esistesse un soggetto, il tradizionalismo, cui possono di volta in volta e a seconda dei casi, convenire diversi attributi, ma questo a mio parere è un vero e proprio abuso del linguaggio, un capovolgimento fra soggetto e attributo.


Diciamo piuttosto che esistono diverse Weltanschauung, pagana o cristiana a cui ci si può accostare in modo “tradizionale” o “tradizionalista” o altrimenti. Non esiste quindi un “tradizionalismo cattolico” ma piuttosto un “cattolicesimo tradizionalista” e sull'altro fronte una paganitas che non potrà essere altro che basata sul recupero di una tradizione che si è cercato in tutti i modi di distruggere e che perlomeno si è dovuta occultare da due millenni in qua.
Il raddrizzamento del rapporto soggetto-attributi ha un inconveniente molto tangibile con cui bisogna fare i conti: permette di avvertire a colpo d'occhio che fra la tradizione che si richiama alla più antica spiritualità autoctona europea e la pseudo-tradizione (considerarla tale, infatti, è come scambiare per salute un malanno cronicizzato) che venti-quindici secoli or sono si è cominciata a diffondere in Europa come sovversione distruggendo le religioni e le forme spirituali europee native, non esiste in linea di principio nessuna compatibilità.
E' dalla corrosione dell'animo europeo iniziata con la cristianizzazione che, dopo un lungo periodo di latenza, sono scaturite le patologie della modernità, il democraticismo e il marxismo, ed è un discorso che vedremo di sviluppare fra un po'. Per il momento è importante osservare che il discorso si sdoppia su due livelli.
SUL PIANO DEI PRINCIPI, DELLA VISIONE DEL MONDO, diciamo pure che non esiste nessuna possibile compatibilità: non ne può esistere fra chi guarda alla spiritualità indoeuropea e chi basa la sua, “fede” su di un libro mediorientale che è una raccolta di falsità storiche e di infantilismi e sciocchezze in termini spirituali ed etici, e viene venerato come “la parola di Dio”.
Tempo fa, una persona di mia conoscenza mi diceva che da questo punto di vista trovava il mio giudizio un po' troppo radicale; infatti nel o attraverso il cristianesimo si sono conservati riti, ricorrenze, feste di origine pagana  superficialmente “battezzate” e cristianizzate, soprattutto nel mondo contadino, che l'occhio esperto del cultore di tradizioni può sempre riconoscere e interpretare nel loro vero significato. Che le cose stiano così è innegabile, ma perché ricorrere a una copia alterata e mutila quando si può fare riferimento all'originale? Perché non togliere la patina di cristianizzazione così come un buon restauratore rimuove l'untume e la sporcizia depositatisi sui capolavori pittorici dei secoli passati?
 Il “tradizionalismo cattolico” o più correttamente il cattolicesimo tradizionalista rimane una forma di cristianesimo, cioè una variante di una religione le cui origini mediorientali, non-europee e i cui effetti dissolutori sulla cultura e sulle istituzioni dell'Europa, dell'impero romano in primis, non hanno bisogno di essere illustrati. Sarà forse la più vicina al bordo, ma rimane al di là dell'abisso che separa “noi” da “loro” figli del Medio Oriente e non dell'Europa – ebrei, cristiani, islamici, democratici, marxisti.
SUL PIANO PRATICO, le cose camminano o potrebbero camminare in maniera un po' diversa. Perlomeno, accade che ci troviamo ad avere in comune una quantità di nemici. Nel 2009, Giovanna Canzano, che mi aveva intervistato per “Caserta Sette” a questo proposito, riportava questa mia affermazione il cui testo è ancora reperibile in internet:
“Quando si deve condividere un ambiente ristretto gomito a gomito, si fa meglio ad andare d'accordo, a rispettarsi reciprocamente; se poi questo ambiente ristretto è una precaria trincea attaccata dai nemici da tutte le parti, e nemici che sopravanzano i difensori in maniera massiccia, allora la reciproca ostilità equivale al suicidio.
Tutto questo non richiede una particolare profondità intellettuale, una perspicacia ideologica, è semplice, elementare buon senso che più non si potrebbe. A chi è impegnato a lottare assieme a noi contro gli stessi nemici, non chiediamo neppure di amarci, ben sapendo che al cuore non si comanda, ma almeno di rispettarci, di astenersi da aggressioni immotivate. E' una richiesta eccessiva?” (“Caserta Sette”, 3 luglio 2009).
Il fatto è che molto spesso i cattolici tradizionalisti si sono tirati addosso una marea di attacchi per il fatto di non fare mistero dei loro sentimenti antigiudaici ed antisionisti. Quando qualcuno viene attaccato a motivo del suo antisionismo, io sono dalla sua parte, non da quella dei servi di ZOG, fosse pure un “compagno”. Io mi schiero idealmente accanto al feretro di Vittorio Arrigoni, non dalla parte dei suoi assassini.
Tuttavia che i cattolici tradizionalisti manifestino in genere sentimenti antigiudaici piuttosto vivaci, considerando le evidenti origini ebraiche della loro religione (Ebreo era Gesù Cristo, ebrei gli apostoli, in ebraico è stato scritto l'Antico Testamento; il Nuovo è stato scritto in greco ma da ebrei ellenizzati) risulta una cosa piuttosto curiosa.
Naturalmente, distinguiamo l'antigiudaismo come avversione verso la religione ebraica, dall'antisemitismo inteso come ostilità razziale verso gli ebrei.
Io vi chiedo scusa, ho fatto il liceo classico come studente or sono quarant'anni e passa, e non posso ricordarmi tutto, mi pare fosse Tacito, ma non ci posso giurare; a ogni modo uno storico latino, parlando dell'imperatore Claudio, riferisce “Expulit iudeos impulsore Chresto tumultuantes”, che parrebbe essere la più antica menzione del cristianesimo da parte di uno storico romano che si conosca, ossia: “(Claudio) allontanò da Roma gli ebrei che facevano gazzarra su istigazione di un certo Cresto (Cristo)”.
Non è chiaro quel che dev'essere avvenuto? A Roma a quel tempo si era già formata una comunità di ebrei immigrati dalla Palestina e, contemporaneamente una comunità di “eretici” cristiani staccatasi dalla prima. Naturalmente, i rapporti fra i due gruppi dovevano essere pessimi, e una qualsiasi occasione deve aver scatenato un bel tafferuglio fra gli uni e gli altri, e l'autorità imperiale pensò bene di risolvere il problema di ordine pubblico espellendo gli uni e gli altri fuori dalle mura dell'Urbe.
Gli ebrei ortodossi sono rimasti più o meno quelli che erano mentre gli ebrei eretici, i cristiani, si sono dilatati a una dimensione ipertrofica perché, a differenza dei primi, non rifiutavano affatto il proselitismo, ma io credo che l'antigiudaismo di matrice cristiana scaturisca sempre da quelle antiche dispute; controversie – ricordiamolo – sorte in seno all'ebraismo e i Romani, a mio parere assolutamente a ragione, identificavano come “iudeos” gli uni e gli altri. 
Io ho l'impressione, a giudicare dai cattolici tradizionalisti che ho conosciuto, che queste persone siano sostanzialmente dei conservatori benpensanti che sono cristiani semplicemente perché sono rimasti “imprintati” dalla prima concezione del mondo cui si sono trovati esposti, senza la minima capacità di esercitare un vaglio critico, che se fossero vissuti nell'India del XIX secolo, sarebbero stati dei buoni thung piamente dediti alla devota pratica dello strangolamento. Tradizionalismo è per costoro sinonimo di conformismo, in altre parole il massimo dello squallore.
La mia impressione è che costoro siano al di fuori della realtà come pochi: sembra che si immaginino di essere all'indomani del Concilio di Trento e non si rendano conto di essere non solo ridotti a una scheletrica conventicola, ma di trovarsi in una posizione francamente umiliante, dal momento che la Chiesa cattolica, la Chiesa post-Concilio Vaticano II, è la prima a disconoscerli, a emarginarli o a costringerli a vergognose ritrattazioni tutte le volte che aprono bocca. Si veda, per tutte, la maniera penosa in cui è “rientrato” lo scisma di Econe.
Solo questa mancanza di senso della realtà e l'erronea convinzione di avere dietro le spalle una Chiesa che li sostenga invece di civettare con il democraticismo, il marxismo, il giudeo-cristianesimo “made in USA”, possono spiegare taluni atteggiamenti che costoro talvolta ostentano, a cominciare da attacchi immotivati a coloro che potrebbero essere i loro unici alleati nella lotta contro il democraticismo, il sionismo e la definitiva giudeo-americanizzazione della nostra cultura, e questo non si può assolutamente tollerare perché, come spiegavo a Giovanna Canzano, perché il rispetto possa esistere, deve essere reciproco.
Tanto per fare un esempio, nel 2009 Maurizio Blondet, che pure per altri versi è una persona di indubbio spessore, pubblicò sul sito della EffeDiEffe un articolo che era un violento attacco contro la filosofia di Friedrich Nietzsche; l'ex redattore dell' “Avvenire” considerava il filosofo tedesco il precursore di ... Marco Pannella e confessava di non riuscire a figurarsi il superuomo altro che come un tenore in calzamaglia color tortora che canta arie wagneriane in cima a montagne di cartapesta.
Il limite, probabilmente, non è una mancanza di fantasia da parte di Blondet. Noi possiamo concepire il superuomo come al di là biologico, come superamento della nostra specie perché per noi l'essere umano – noi stessi – è una parte del mondo naturale. A tanto un cristiano non può arrivare, perché ha dell'uomo una visione statica, come “immagine e somiglianza” di una divinità che non è altro che l'espansione a dimensioni universali di un dio totemico mediorientale. Veramente, se l'umanità attuale è il meglio che ci possa essere, verrebbe voglia di dare ragione a Stefano Benni che sosteneva “Dio ci fa una figura migliore se non esiste”.
Un attacco in qualche modo analogo l'aveva portato nel 2005, l'antropologo Mario Polia che nell'articolo Che cos'è la tradizione, pubblicato su “Minas Tirith” (rivista della Società Tolkieniana Italiana) sosteneva:
“Una tradizione, del resto, non può essere definita solo in senso negativo, come opposizione ad un’anti-tradizione, ma richiede di essere definita principalmente in senso positivo nei riguardi del messaggio che essa tramanda e dal quale trae il motivo e la legittimazione della propria esistenza.
Esiste, inoltre, un “tradizionalismo” in senso lato nel quale si riconoscono appartenenti singoli o gruppi, diversi in quanto a impostazione e tendenze, ma accomunati da un pronunciato antagonismo nei confronti del mondo moderno, delle sue strutture (religiose, sociali, politiche) e della sua cultura (neo-illuminista, edonista, materialista) in quanto ne avvertono fortemente le limitazioni e le aberrazioni. E’ comune alle varie tendenze del “tradizionalismo” (cultural-politico e/o spiritualista) la tensione verso il recupero di un’identità “spirituale” dai contorni in genere mal definiti, non-confessionale, caratterizzata dal sincretismo in campo religioso e, spesso, da una componente marcatamente anti-cristiana”.
(Mario Polia: Che cos'è la tradizione, “Minas Tirith” n. 13, Società Tolkieniana Italiana, Udine 2005).
A fronte della tradizione cattolica “definita in senso positivo nei riguardi del messaggio che essa tramanda” (prescindiamo per un momento dal valore di questo messaggio) c’è il “ “tradizionalismo” in senso lato” (se non ricordo male le regole della lingua italiana, si usa porre una parola fra virgolette o quando si fa una citazione, o quando si vuole evidenziare il fatto che se ne sta facendo un uso improprio, per cui l’ulteriore specificazione “in senso lato” è pleonastica e l’insieme della frase ha un tono dispregiativo) che consisterebbe più nell’antagonismo rispetto a ciò che si ritiene sia antitradizione che in un contenuto positivo, che quando lo si cerca di definire, risulta al più una “tensione verso il recupero” (non il possesso!) di “un’identità “spirituale” (di nuovo virgolettato!) dai contorni in genere mal definiti”, un “sincretismo” e chi più ne ha più ne metta.
Tutte queste però non sono altro che punzecchiature di spillo in confronto ai colpi d'ascia vibrati con foga delirante da un altro cattolico tradizionalista, don Curzio Nitoglia, di cui un amico mi ha recentemente segnalato sul sito dello stesso ecclesiastico un articolo che è un attacco violentissimo contro la figura di Julius Evola e il suo pensiero. Considerando che si tratta appunto di un ecclesiastico, questo mi ha fatto irresistibilmente tornare alla memoria un'altra reminiscenza scolastica, un detto latino medievale: “Cane ante, mulo retro, fratre ante et retro”, ossia: dal cane guardati davanti, dal mulo di dietro, dal prete davanti e di dietro (e tralasciamo per il momento le implicazioni sessuali di questo detto).
L'articolo, di cui vi riporto il link: http://www.doncurzionitoglia/juliusevola.htm , si presenta come una recensione del libro di Marco Fraquelli Il filosofo proibito, Terziaria, Milano 1994. Onestamente, non ho avuto occasione di leggere il libro di Fraquelli, ma mi pare obbiettivamente inverosimile che possa mostrare nei confronti di Julius Evola maggiore accanimento e maggiore velenosit  dello stesso don Nitoglia.
Leggendo l'articolo, la farneticazione, di don Curzio si ha l'impressione di fare un balzo all'indietro nel tempo di oltre un secolo, quanto meno ai tempi del Sillabo di Pio IX se non prima:
"Noi sappiamo che esiste una sola vera Tradizione, che Dio consegnò oralmente ad Adamo, che ci è pervenuta tramite i Patriarchi e i Profeti, che Gesù ha completata e resa universale, e che ha consegnata ai suoi Apostoli affinché, tramite il Magistero della Chiesa, arrivasse di giorno in giorno, fino alla fine del mondo, ad ogni uomo. Questa TRADIZIONE VERACE afferma, in sintonia col buon senso e col realismo, che vi è un Dio trascendente il quale ha voluto liberamente creare il mondo, che è finito, contingente e dipendente da Lui e che l’uomo possiede un intelletto il quale per cogliere la verità deve conformarsi alla realtà oggettiva, e che la realtà non dipende da lui, bensì da Dio".
E' chiaro? La premessa di tutto il discorso è l'accettazione incondizionata del dogma cristiano-cattolico, ovviamente indimostrato; se non lo si accetta, esso si affloscia come una ragnatela a cui si toglie il punto di sostegno.
Oltre tutto, nello specifico, don Nitoglia si dimostra un discreto ignorante:
“La vera Tradizione per Evola è anticristiana, infatti il Cristianesimo “rappresenta la causa prima della degenerazione del mondo moderno, è la forza eversiva per eccellenza che ha scardinato qualsiasi principio tradizionale...Secondo Evola il Cristianesimo è il principale responsabile della caduta dell’Impero Romano”.
Don Curzio ritiene che questa idea sia una specie di bizzarria di Evola, eppure non è precisamente quello che hanno sostenuto TUTTI gli storici e i pensatori dotati di un minimo di probità da Machiavelli in poi?
Possiamo andare oltre a questo: la stessa cosa la ammette perfino un filosofo cattolico di sinistra come Massimo Cacciari in un'intervista rilasciata a Maurizio Blondet che questi ha riportato nel libro Gli “adelphi” della dissoluzione:
"Il Cristianesimo è stato dirompente rispetto ad ogni ethos" (...). Il Cristianesimo non ha più radici in costumi tradizionali, in una polis specifica, in un ethos; non ha più nemmeno una lingua sacra (...). Il Cristianesimo si rivela essenzialmente sovversivo dell'Antichità e dei suoi valori; che esso spezza definitivamente i legami fra gli Dei e la società. L'ethos antico era una religione civile (...). Il Cristianesimo, consumando la rottura con gli dei della Città, sradica l'uomo (...). “Tutta la cultura cristiana è un correre ai ripari contro la tragedia che ha provocato, una tensione disperata a riparare il pericolo che viene dalla frattura tra la Città di Dio e la città dell'Uomo (…). La secolarizzazione totale che viviamo [è] figlia della sovversione originaria operata dal Cristianesimo" .
(Maurizio Blondet: Gli “adelphi” della dissoluzione, Ares, Milano 2000).
Se le cose rimanessero a questo punto, tuttavia, noi saremmo ancora sul piano di un confronto dialettico, per quanto animato, ma don Curzio scivola presto nell'attacco personale nei confronti di Evola, accusandolo di essere un massone, un drogato, un satanista.
Quella di ricorrere all'attacco personale, alla denigrazione della figura morale dell'avversario quando non si hanno argomenti da contrapporre sul piano delle idee, è una vecchia, vecchissima tattica cattolica, è lo stile cattolico-clericale che riesce a essere nello stesso tempo perfido e untuoso. Avrete presenti ad esempio le falsità e malignità inventate sul conto di Nietzsche, la bassa insinuazione che la sua filosofia sarebbe stata causa della sua pazzia, che sappiamo tutti essere stata conseguenza di una sifilide trascurata, e pensiamo a tutti gli atei e anticlericali che hanno vissuto benissimo a lungo e in salute, a cominciare da Bertrand Russell che a 84 anni ha contratto e consumato il suo quarto matrimonio.
E' uno stile nel quale si può riconoscere un'intima, profonda, atavica vigliaccheria. Sapete ad esempio che l'indice dei libri proibiti, abolito come tale nel 1964 esiste ancora sotto forma di indice dei libri sconsigliati: in esso si trovano persino i "Promessi sposi" di Manzoni, ma non le opere di Marx, perché - è ovvio - il socialismo-comunismo-sinistra ha rappresentato e rappresenta ancora una forza, un sistema di potere di cui occorre tenere conto. E' questo lo stile cattolico: pecore coi forti e vipere con chi non può difendersi o si ritiene non possa difendersi.
Riguardo all'accusa rivolta a Evola di essere stato un massone, l'unico elemento concreto è che fra i maestri di Evola vi fu il matematico Arturo Reghini che probabilmente aveva dei contatti con la massoneria, ma data la statura morale di Reghini, ben difficilmente la cosa potrebbe essere considerata disonorevole.
Reghini si chiedeva: “Quando si smetterà di inchinarsi al genio distruttore del cristianesimo per rendere finalmente omaggio al genio creatore di Roma?”
Bene, ce lo chiediamo anche noi.
Più che un satanista in senso stretto, per don Nitoglia Evola sarebbe stato un assatanato, un posseduto:
“Evola non crede al diavolo ma parla esattamente come un posseduto, vittima incosciente, può darsi, ma certa, di colui di cui nega l'esistenza”.
Ci mettiamo a ridere o a piangere? Se non possiamo accettare un Dio che, appena si gratta un po' sotto la facciata universalista, lascia scorgere tutte le stimmate della sua origine tribale, totemica mediorientale, potremmo forse credere nella sua controfigura negativa?
Il massimo del ridicolo però don Nitoglia lo raggiunge probabilmente quando cerca di accreditare un'ascendenza ebraica a Evola in quanto di origine siciliana.
[Evola] “essendo siciliano, avrà avuto al novanta per cento, un po' di sangue arabo, ossia semita, nelle sue vene e magari anche ebraico, dato che la Sicilia ha accolto molti ebrei, sia nel medioevo sia dopo l'espulsione dalla Spagna nel 1492”.
A parte il totale delirio, siamo all'offesa gratuita di qualcosa come un sesto dei nostri connazionali. Forse Borghezio arriverebbe a tanto, forse nemmeno lui.
Che simpatici questi preti cattolici che tirano fuori un razzismo biologico a cui non sarebbe arrivato neppure Lombroso!
Dunque, secondo Don Nitoglia, Julius Evola era un massone, un drogato, un satanista o meglio ancora un posseduto, e per soprammercato pure un ebreo, strano, davvero strano che non lo abbia accusato anche di omosessualità.
Forse don Nitoglia avrebbe fatto meglio a guardare cosa ha in casa Santa "Romana" Chiesa (romana, s'intende, nello stesso preciso senso in cui io e voi siamo esquimesi), dai preti pedofili ai contatti dello IOR con la mafia, la massoneria (in questo caso si, altro che essere stati allievi del povero Reghini, la banca vaticana ha fatto intrallazzi con figuri come Michele Sindona e Licio Gelli), la banda della Magliana.
Ma soprattutto don Nitoglia e quelli come lui si nascondono dietro un dito. Non esiste, non può esistere cosa più ridicola di un antisemitismo, antigiudaismo, antisionismo o quel che volete, di matrice cristiana, quando è evidente che il cristianesimo non è altro che un'eresia dell'ebraismo che si è espansa in maniera ipertrofica, ma le sue radici ebraiche sono sempre lì, chiare ed evidenti. Cosa invocano tutte le domeniche a messa i buoni cattolici? Sapete cosa significa “alleluia”? E' un'abbreviazione dell'espressione ebraica “hallelujavhé”, lode a Javhé, il dio di Israele, non è altri che questi che i buoni cristiani invocano. Guardate lo zucchetto che preti e frati portano sulla testa, e ditemi cos'altro è se non la kippah ebraica.
 Ma se ancora non vi bastasse, ricordatevi che l'ha riconosciuto un papa, Pio XI: i cristiani sono "spiritualmente semiti", l'ha ribadito un altro papa, Giovanni Paolo II: i cristiani sono "fratelli minori" dell'ebraismo.
Se questi sono i fatti, e lo sono, allora don Nitoglia e quelli come lui sono delle contraddizioni viventi.
Tuttavia, a dispetto di tutto, io mi auguro che quello di don Nitoglia sia un caso isolato. Abbiamo bisogno, c'è bisogno di tutte le forze che è possibile mobilitare per contrastare la giudeoamericanizzazione dell'Europa e preparare la rinascita del nostro continente.


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Il ritorno delle antiche religioni

Pubblicato da Admin il 12:29 4 commenti
di Fabio Calabrese

Mi dispiace di averlo saputo con un certo ritardo, ma credo che la cosa non tolga nulla all'importanza della notizia. La riferisce “L'indipendente” del 24 gennaio 2007 in un articolo a firma di Mauro Frasca, Il ritorno dei pagani sull'Olimpo: una rappresentanza dei circa 40.000 pagani ellenici ha ottenuto dalle autorità greche il permesso di celebrare un rito nel tempio di Giove Olimpio ad Atene, e la cosa sembra essere un primo passo per il riconoscimento ufficiale della religione “gentile” fra quelle ufficialmente ammesse, con il diritto di celebrare pubblicamente funerali, matrimoni eccetera. Già oggi la neo-rinata comunità pagana ellenica è la quarta fede del Paese dopo i 10 milioni circa di cristiani ortodossi, i 500.000 mussulmani ed 200.000 cattolici, superando nettamente i 30.000 testimoni di Geova, i 30.000 protestanti ed i 5.000 ebrei.
Quattro anni fa, ad un precedente tentativo di celebrare un rito sempre sull'acropoli ateniese nel tempio di Efesto, furono cacciati in malo modo dalle guardie archeologiche, oggi un tribunale ha dato loro ragione, riconoscendo il loro diritto di riappropriarsi dei luoghi di culto che furono eretti dai loro padri per la loro fede.
Puntualmente, vi sono state le prevedibili reazioni isteriche della Chiesa ortodossa. Ma come? - verrebbe da chiedersi – questi cristiani oggi non sono tanto per l'ecumenismo, per il dialogo fra le religioni? Ma quando si tratta di manifestazioni della più antica spiritualità autoctona d'Europa, ecco scattare la più cieca, isterica intolleranza. Sarà mica perché i seguaci del “dio inchiodato” hanno un'enorme coda di paglia? Sarà mica perché la cristianizzazione dell'Europa, la cancellazione – evidentemente non così completa e non così definitiva come costoro pretendono – delle fedi europee originarie è avvenuta in un'orgia di violenza? La verità pura e semplice che ogni storico che si rispetti conosce, ma che ancora adesso ci si guarda bene dal rivelare al grosso pubblico, è che l'Europa è stata cristianizzata a forza.
Dai massacri di pagani (migliaia di vittime) e la distruzione di templi per edificare al loro posto chiese cristiane ordinata dall'imperatore Teodosio, a Carlo magno con la sua evangelizzazione a fil di spada dei Sassoni, agli analoghi “sermoni” dei cavalieri teutonici contro gli Slavi, alla crociata contro gli Albigesi nel XIII secolo, ai roghi degli eretici, a quelli delle presunte streghe, la verità è che nella “conversione” dell'Europa al cristianesimo, la predicazione e la persuasione hanno tenuto un ruolo assolutamente marginale rispetto alla conquista militare, alle stragi, alla violenza più brutale, alla persecuzione dei dissidenti, alla soppressione di ogni forma di pensiero “non allineato”.
L'articolo di Mauro Frasca precisa anche che il quasi-riconoscimento ufficiale del movimento gentile ellenico, che va ad aggiungersi a quelli già ottenuti dagli analoghi movimenti islandese e lituano, costituisce la punta dell'iceberg di un movimento molto più vasto che interessa tutta l'Europa e ne trascende i confini. Negli Stati Uniti, ad esempio, la wicca conta ben 134.000 seguaci, e recentemente la vedova di Patrick Steward, un sergente americano appunto adepto della wicca caduto in combattimento in Afghanistan nel 2005, è riuscita, sempre con sentenza del tribunale, a costringere l'United States Departement of Veteran Affairs ad ammettere i simboli wiccani nei cimiteri dei caduti (perché, sia chiaro, ancora oggi i pagani non riescono ad ottenere senza lunghe battaglie legali quei diritti che normalmente si riconoscono alle altre fedi; e questa ingiustizia è la più chiara dimostrazione del permanere anche all'interno di istituzioni che si vorrebbero “laiche” di una mentalità cristiana, e del fatto che il cristianesimo ha sempre costruito le sue posizioni civettando con il potere, e mentendo nella maniera più spudorata tutte le volte che ha inteso presentarsi come religione “dei poveri e degli umili”).
In Europa, oltre ai movimenti islandese, lituano e greco, hanno ottenuto una sorta di riconoscimento ufficioso i 500 membri del Forn Sidr in Danimarca, una comunità pagana odinista (ma non è questione di numeri quando si esce da due millenni di repressioni e persecuzioni; vi sono poi movimenti che mirano alla restaurazione del paganesimo paleoslavo in Polonia, movimenti druidici nelle Isole Britanniche, in Francia ed in Italia; in Italia vi sono anche movimenti che vorrebbero restaurare il paganesimo romano.
Il Dipartimento per gli Affari Ecclesiastici del governo danese ha fatto premettere al suo quasi-riconoscimento del Forn Sidr la dichiarazione di non avere nulla a che fare e l'impegno di non avere nulla a che fare in futuro con gruppi neonazisti o satanisti; cosa della cui equità od opportunità si potrebbe anche discutere, ma immaginatevi, provatevi solo ad immaginare se le Chiese cristiane e quella cattolica in particolare, per poter svolgere la loro attività dovessero impegnarsi preventivamente ad astenersi da ingerenze nella politica! Calmatevi, che rischiate di slogarvi le mascelle!
Il defunto pontefice Giovanni Paolo II aveva il “pallino” delle radici spirituali dell'Europa che voleva menzionate anche nella costituzione dell'Unione Europea, ed il suo successore Joseph Ratzinger, Benedetto XVI si è mosso sulla medesima strada; non si può dire che in Europa non ci si stia muovendo per accontentare quest'aspirazione dell'uno e dell'altro; peccato che queste radici con il cristianesimo nulla abbiano a che fare.
Le radici spirituali dell'Europa non sono cristiane, non possono esserlo, per chiari ed evidenti motivi.
La civiltà europea nasce dall'incontro, dalla fusione, dall'intersecarsi, ma anche dallo scontro di quattro culture: greca, latina, celtica e germanica. Le prime tre sono più antiche del cristianesimo, che non vi ha apportato altro che elementi di dissoluzione e tentativi di scalzamento delle popolazioni europee dalla loro matrice culturale originaria. La quarta, quella germanica, ebbe il suo maggiore sviluppo in epoca medievale, già cristiana, ma anche qui il cristianesimo funse piuttosto da antagonista e da elemento di dissoluzione. La mentalità ecclesiastica ed i suoi valori furono in perenne antagonismo con la mentalità cavalleresca-feudale espressione del germanesimo, ed i suoi valori basati non sull'ascetismo ma sull'aspirazione ad una vita eroica. Questo contrasto si espresse per tutta l'epoca medievale nel conflitto fra papato ed impero poi nel 1516 con la riforma protestante ed il distacco della Germania dal papato romano.
In secondo luogo, non è esagerato affermare che l'Europa ha sempre vissuto il cristianesimo impostole con la violenza come una soffocante camicia di forza.
Nel XVIII secolo nacque in Europa il movimento illuminista; gli intellettuali più aperti, trovando il consenso della borghesia che si andava affermando e l'appoggio dei sovrani più illuminati, riuscirono a porre un freno all'ingerenza massiccia, al monopolio delle Chiese cristiane, soprattutto di quella cattolica, nell'istruzione, nella cultura, nella politica, in ogni aspetto della vita civile: era una reazione, in effetti, e pienamente giustificata, a due secoli di guerra civile europea che dalla riforma protestante in poi, cattolici e riformati avevano scatenato, contendendosi l'Europa palmo a palmo. La guerra dei Trent'anni (1618-1648) che distrusse la Germania e quasi ne sterminò la popolazione, giungendo ad essere la guerra più distruttiva e brutale della storia umana fino alle due guerre mondiali del XX secolo, non fu in effetti che l'episodio più acuto di una guerra civile bisecolare che sconvolse quasi ogni angolo del Vecchio Continente. L'illuminismo e le rivoluzioni del XIX secolo imposero la separazione fra Chiesa e stato, la laicità degli stati, la libertà di coscienza come diritto inalienabile. Da allora in poi, non appena l'Europa ha cessato di essere costretta dai roghi dell'inquisitore e dalla spada del crociato (Le crociate, ricordiamolo, non furono dirette solo contro l'islam, vi fu la crociata contro gli Albigesi, ma anche, ad esempio, quella che nel 1204 pose fine all'impero bizantino, e certamente “crociate” si potrebbero definire le campagne di sterminio carolinge contro i Sassoni e quelle dei cavalieri teutonici contro gli Slavi), è iniziato un movimento di scristianizzazione dell'Europa, lento ma inarrestabile e con ogni probabilità irreversibile. L'Europa rigetta da sé il cristianesimo come quel corpo estraneo che in effetti è. Dove sono le “radici cristiane” dell'Europa? Sono piuttosto le parole del grande Richard Wagner che vengono in mente:
“PER QUANTO L'INNESTO SULLE SUE RADICI DI UNA CULTURA CHE LE E' ESTRANEA, POSSA AVER PRODOTTO FRUTTI DI ALTISSIMA CIVILTA', ESSO E' COSTATO E CONTINUA A COSTARE INNUMEREVOLI SOFFERENZE ALL'ANIMA DELL'EUROPA”.
“Una cultura che le è estranea”; di questo appunto si tratta; nonostante due millenni di sforzi, l'origine mediorientale, non-europea del cristianesimo rimane un marchio indelebile.
L'anno scorso, 2006 dell'Era Volgare, l'attuale pontefice (sempre che convenga al leader della Chiesa cattolica questo titolo usurpato – come tutto il resto – all'antica religione romana) Benedetto XVI tenne, nel corso della sua prima visita pastorale nella natia Germania, un discorso all'università di Regensburg, che attirò l'attenzione soprattutto per un'espressione sull'islam giudicata offensiva dalle comunità islamiche e prontamente ritrattata, ma questo però ha fatto passare inosservato il fatto che in questo discorso Joseph Ratzinger diceva anche altro, tornava ancora una volta sulle “radici cristiane dell'Europa”, tormentone preferito del suo predecessore, con un'interessante variante, mettendo a lato delle fonti bibliche ed evangeliche anche la “filosofia greca”.
Potremmo quasi dire che Ratzinger è stato più moderato (ed è certamente più colto) del suo predecessore Wojtila, essendosi degnato di menzionare accanto alle radici ebraico – biblico – cristiane, quelle greche.
Questa ammissione rende ancora più interessante un esame delle tre omissioni delle reali radici dell’Europa: la costruzione politico - giuridico – amministrativa romana, l’immaginario celtico, le tradizioni germaniche di fedeltà e di onore, soprattutto considerato che Joseph Ratzinger non è un curato di campagna casualmente diventato papa, ma un teologo ed uno dei più acuti intelletti che la Chiesa oggi possiede.
Che proprio un papa tedesco abbia omesso qualsiasi accenno al contributo delle radici germaniche alla civiltà europea, non è purtroppo cosa che possa stupire: dal 1945 i Tedeschi sono abituati, sono stati costretti con una sorta di schizofrenia indotta, a definire la propria identità in termini di negazione del proprio passato e della propria storia; nondimeno, la concezione germanica dello stato che nasce da rapporti personali fra governanti e governati, da un patto liberamente sottoscritto ma che una volta contratto va osservato con una fedeltà che non ammette deroghe, è alla base non solo del forte spirito identitario che ha caratterizzato il medioevo feudale e comunale, ma, incontrandosi con la paideia greca e l’humanitas latina, ha generato la nostra concezione che accorda alla persona, al singolo, ai suoi diritti, una centralità assolutamente sconosciuta in altre culture.
Che anche i Celti in questo discorso rimangano fatalmente ignorati, stupisce ancora meno: dalle radici celtiche abbiamo ereditato il folklore come forma di mitologia popolare, con creature fantastiche come elfi e folletti, ed alcuni miti ancora vivi nella nostra cultura apparentemente smagata: il Ciclo Bretone, Artù, Merlino, Excalibur, il Santo Graal sono presenze ancora vive, simboli ancora forti nella nostra cultura: è il residuo maggiore di paganesimo che permane oggi in Europa, che urta frontalmente contro la mentalità cristiana, e proprio per questo è per me una delle ragioni che rendono degna di amore e d’interesse la cultura celtica.
Stupisce maggiormente la mancanza di qualsiasi riferimento alla tradizione romana da parte del principale esponente di una Chiesa che si definisce pomposamente e falsamente “romana”. Forse la cosa è più spiegabile alla luce di una riflessione del filosofo Denis De Rougemont, secondo il quale il cristianesimo avrebbe portato in Europa “un terzo mondo di valori”, quelli del profetismo ebraico “difficilmente conciliabili con la misura greca e totalmente contrari a quelli di Roma”.
Da Roma, la Chiesa cattolica “romana” ha ereditato parte della struttura amministrativa e la lettera della sua cultura giuridica e letteraria, uccidendone totalmente lo spirito.
“Et facere et pati fortiter romanum est”, è da romani agire e sopportare con fermezza. Il romano affronta le vicende della vita con un senso di equilibrio interiore, non perde il controllo di sé nei momenti favorevoli e non si abbatte nelle sventure; ancora più del greco gli è proprio il senso della misura. Un mio rimpianto docente del liceo ormai scomparso da molti anni, faceva notare come Orazio traduca il “Nun chré methusthen” (“ora bisogna ubriacarsi” di Alceo con “Nunc est bibendum”, il romano “beve”, non “si ubriaca”.
A differenza di quelle cristiane, le virtù romane sono virtù civiche: valore e disciplina in battaglia, frugalità e parsimonia nell’amministrazione delle proprie cose, obbedienza filiale, magnanimità e saggezza come pater familias, senso di appartenenza, fierezza di appartenere alla propria civitas ed alla propria stirpe, preoccupazione per i suoi destini, forza d’animo nelle sventure, moderazione nei successi.
La virtus romana non è la “virtù” cristiana, viene da vir, e significa appunto in ogni circostanza riuscire ad essere e sapersi comportare da uomini.
Del concetto antico di virtù, curiosamente rimane una traccia negli erbari, nei bestiari, nei lapidari medievali, laddove si parla delle “virtù” delle piante, degli animali, dei metalli: “virtù” significa portare alla massima estrinsecazione, sviluppare ciò che è conforme alla propria Natura; è un’idea esattamente opposta a quella del cristianesimo che implica l’andare contro la propria natura che si suppone corrotta dal peccato originale.
A questo punto proprio il fatto che Joseph Ratzinger abbia menzionato il pensiero greco nel discorso di Regensburg diventa sospetto. Su cosa si debba intendere per pensiero greco, infatti, esiste quanto meno una grossa ambiguità, forse una mistificazione.
Come minimo occorre distinguere fra “la sapienza” greca e “la filosofia” greca o presunta tale. Giorgio Colli, il nostro maggiore studioso del pensiero greco, faceva notare che la parola “filosofia” che significa “amore per la sapienza” fu usata per la prima volta da Platone, ma in Platone essa ha ancora il significato di una sapienza perduta da ritrovare, mentre l’idea “moderna” della filosofia come un sapere mai prima posseduto da inventare ex novo, nasce solo con Aristotele.
Ora, si osservino bene i rapporti temporali: con Socrate, maestro di Platone siamo già a dopo la guerra del Peloponneso che è considerata l’evento che pone fine alla civiltà ellenica classica, e con Aristotele che fu il precettore di Alessandro Magno, siamo già nell’ellenismo.
In pratica, non considerando la fase sapienziale ma unicamente quella filosofica del pensiero greco, e riducendo tutto quanto sta prima di Socrate nella categoria dei precursori sui quali non è il caso di soffermarsi troppo, con una specie di gioco di prestidigitazione, è proprio il pensiero della grecità classica che è stato fatto scomparire dalla nostra vista.
Tra la sapienza ellenica e la “filosofia” ellenistica corre, potremmo dire, la stessa distanza che c’è fra Leonida che si immola alle Termopili con i suoi trecento spartiati per sbarrare la strada ai Persiani, ed Aristotele che si pone al servizio di Filippo II di Macedonia, il re straniero che minaccia l’indipendenza delle città greche.
L’aspetto più interessante e forse più rilevante della sapienza greca è il suo contenuto etico, che è bene illustrato da un episodio riguardante Solone, forse il più noto dei Sette Savi della tradizione ellenica. Solone fu invitato alla corte di Creso, il re di Lidia il cui stesso nome è diventato sinonimo di ricchezza. Dopo avergli mostrato i suoi tesori, Creso chiese al saggio greco se riteneva che egli fosse un uomo felice. Solone rispose negativamente, ed allora Creso gli domandò:
“Chi conosci tu più felice di me?”
Solone rispose citando un qualsiasi cittadino ateniese che aveva onorevolmente servito la sua città in guerra, era onesto e stimato dai suoi concittadini, aveva una moglie fedele e dei figli devoti.
Anni più tardi, Creso mosse guerra a Ciro, il re dei Persiani e fu pesantemente sconfitto e catturato. Mentre stava per essere messo a morte, invocò ripetutamente il nome di Solone, avendo finalmente compreso l’insegnamento del saggio greco. Incuriosito da quell’invocazione, Ciro chiese a Creso di che si trattasse, e questi gli narrò dell’incontro avvenuto anni prima con il sapiente greco. Allora il re dei Persiani graziò Creso e lo perdonò, pago di poter godere almeno del riflesso della saggezza di Solone.
Vivere secondo virtù è per la Sapienza greca l’unico modo per essere felici, una virtù concepita allo stesso modo della virtus romana come conformità alla propria natura, e l’uomo non è separabile dal cittadino, né la virtù dall’esercizio dei doveri civici. Tale separazione, ci spiegherà più tardi J. J. Rousseau, avviene con il cristianesimo ed è caratteristica di esso.
Democrito sottolinea il valore della libertà per l’uomo:
“Preferisco vivere libero e povero in una democrazia, piuttosto che essere uno schiavo ricoperto d’oro sotto una tirannide”.
Sotto una tirannide, infatti, non si può nemmeno dire di essere ricchi ma solo degli schiavi coperti d’oro, poiché il tiranno può toglierti in qualsiasi momento quel che ritieni tuo.
Naturalmente, fosse vissuto nella nostra epoca, avesse conosciuto le nostre democrazie piene di limitazioni alla libertà di pensiero, nelle quali esiste il reato d’opinione, Democrito si sarebbe reso conto che “democrazia” può ben essere il nome di una tirannide ipocritamente mascherata.
La sapienza greca o la filosofia presocratica (la seconda è il prolungamento della prima) sono ben consce della tragicità dell’esistenza in termini tali che il giudizio di De Rougemont che le vede “difficilmente conciliabili” con il cristianesimo, è in effetti una sottovalutazione.
“Da dove i viventi hanno origine”, spiega un memorabile frammento di Anassimandro, “là essi necessariamente ritornano. Essi pagano l’uno all’altro il fio dell’ingiustizia commessa vivendo”.
L’esistenza è una catena ciclica cui i viventi, ossia tutti noi, siamo connessi, destinati a tornare là da dove siamo venuti nell’eterno ripetersi di nascite e morti. Vivere significa commettere ingiustizia, causare e ricevere dolore, un’ingiustizia di cui tutti noi salderemo immancabilmente il conto con il nostro trapasso.
Eraclito ha scritto che “Omero ed Esiodo che supplicavano gli dei di dare pace al mondo, non erano consapevoli di pregare per la sua morte”, poiché l’essenza stessa della vita è il conflitto. “La guerra è madre e regina di tutte le cose”; non la guerra che talvolta gli uomini si fanno, ma la lotta incessante tra predatori e prede, la morte di alcuni che è la sopravvivenza per altri, ed è essa a generare le cose ed i viventi, a costruire i tipi più elevati, e pare quasi di toccare con venticinque secoli d’anticipo il concetto darwiniano di selezione naturale. (Non a caso, Darwin è ancora oggi così odiato dai fondamentalisti religiosi).
E’ una visione che potremmo definire un nichilismo aristocratico, capace di osservare con occhio lucido tutta la tragicità e la precarietà della condizione umana senza cercare scappatoie soprannaturali, è una visione che presuppone un’umanità sana che riesce ad apprezzare gli aspetti positivi dell’esistenza pur essendo conscia della loro caducità, laddove il cristianesimo vuole l’uomo malato per poterlo “redimere”.
A partire da Aristotele abbiamo la filosofia nel senso che ci siamo abituati a dare a questa parola, come narcisistico esercizio intellettuale nel quale, come ebbe a dire Cicerone, “riceve maggiore considerazione chi inventa una stranezza nuova, che chi ripete una verità già detta da altri”, la cultura del mondo cosmopolita “globalizzato” ante litteram creato dalle conquiste di Alessandro, dove s’infiltrano sempre più elementi non greci e non europei, i cui fermenti di dissoluzione si attaccheranno come un contagio al mondo romano dopo che quest’ultimo l’avrà politicamente assoggettato, il “terreno di coltura” su cui si svilupperà il cristianesimo. E’ senz’altro questo il “pensiero greco” cui guarda Ratzinger.
Noi dobbiamo ribadire che le radici dell’Europa, quelle vere: il pensiero greco (quello autentico, non la sua contraffazione ellenistica), Roma, il mondo celtico e quello germanico, non sono cristiane, sono europee.
 “Non si può dire”, ha detto qualcuno, “Se una rinascita del paganesimo in Europa sia oggi possibile, di certo è necessaria”.
Negli ultimi anni i segnali che fanno presagire una tale rinascita, non hanno fatto altro che moltiplicarsi. Cominciamo a scorgere la luce in fondo al lungo tunnel durato due millenni; il nostro continente sta cominciando forse a ritrovare il contatto con le sue vere radici spirituali



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Serpeggiano timori e incertezze a Londra, dove si pensa che la vittoria dello Scottish National Party di Alex Salmond alle elezioni di maggio possa celare scenari minacciosi per il Regno Unito.


La regina Elisabetta ha incontrato il primo ministro Cameron a Buckingham Palace per esprimergli la propria preoccupazione a seguito dell’affermazione elettorale dei nazionalisti scozzesi, che detengono ora la maggioranza nel Parlamento di Holyrood, a Edimburgo. Ella avrebbe chiesto al premier di consultare un esperto costituzionale qualora venisse indetto un referendum sull’indipendenza della Scozia e, se vincesse il sì, sul possibile smembramento del Regno. Nel qual caso, Elisabetta diventerebbe l’ultima sovrana del Regno di Gran Bretagna, nato dall’unione dell’Inghilterra con la Scozia nel 1707. Unione che ha implicato, tuttavia, una drammatica e poco conosciuta storia fatta di vessazioni e violenze perpetrate ai danni del popolo scozzese, persino sradicato delle sue radici cattoliche. Per approfondire il tema, abbiamo incontrato Paolo Gulisano, medico e al contempo saggista e scrittore, autore del libro “Il cardo e la croce. La Scozia: una storia di fede e di libertà” (ed. Il Cerchio, 1998).Dottor Gulisano, l’ingerenza dell’Inghilterra nella Scozia ha origini lontane, risale all’invasione da parte del sovrano inglese Edoardo I nel 1296. Ritiene, tuttavia, che da quel triste evento sia scaturita una fierezza che consente ancora oggi alla popolazione scozzese di farsi ammirare per il proprio senso d’appartenenza e il proprio coraggio?

Scozia e Inghilterra nacquero come regni e come nazioni nel Medioevo, allorquando abili sovrani riuscirono a fondere i vari reami in cui era suddivisa l’isola di Britannia. In Scozia il processo andò a complimento nel IX secolo, grazie al Re Kenneth Mac Alpin, che unì i vari piccoli regni dei Gaeli e dei Pitti. Il regno di Scozia tuttavia aveva un potente e ambizioso nemico che mirava all’unificazione di tutta l’isola. Fu Edoardo I Plantageneto colui che cercò di realizzare concretamente questa aspirazione, muovendo un’autentica guerra di conquista. Ciò contribuì in realtà – in una sorta di eterogenesi dei fini – a dare una fortissima identità nazionale agli scozzesi, qualunque fosse il loro clan di appartenenza o l’origine etnica. La Scozia della fine del XIII secolo vedeva infatti la presenza di diverse componenti etniche: celtiche, vichinghe, sassoni, normanne, fiamminghe. Di fronte alla minaccia inglese essi si sentirono per la prima volta veramente un solo popolo. Nasceva il senso di essere nazione, fondata su una storia e su una fede. Anche per gli stessi inglesi l’antagonismo nei confronti della Scozia divenne una caratteristica importante della propria identità. Il Plantageneto venne sepolto nella Cattedrale di Westminster e sulla sua tomba vennero scolpite queste parole: Malleus Scotorum, il martello degli Scozzesi. Secoli dopo, l’inno nazionale God save the Queen venne scritto in funzione antiscozzese, contro il Principe Charles Edward Stuart e il suo tentativo, avvenuto nel 1745, di riprendersi il Regno. Ciò che il Plantageneto scatenò venne descritto dallo scrittore inglese G.K.Chesterton nella sua A Short History of England: “La Scozia resistette, e le avventure di un cavaliere di nome William Wallace ben presto dovevano dotare questa forza di certe leggende che sono molto più importanti della stessa storia. (…) Edoardo fu il martello degli scozzesi, non perché li schiacciò, ma perché li fece. In effetti, egli li percosse sull’incudine e li forgiò a guisa di spada.”

Dopo estenuanti battaglie, finalmente nel 1306 la Scozia conquista la propria indipendenza e incorona re Roberto I, iniziatore della dinastia degli Stuart. Ciò non serve però a smorzare le ambizioni inglesi su quella terra, che nel 1314 viene nuovamente invasa. Cosa accade in quest’occasione?

Con la Battaglia di Bannockburn, avvenuta il 23 giugno del 1314, gli scozzesi ottennero la libertà, sconfiggendo un immenso esercito inglese di 100.000 uomini, deciso a schiacciare definitivamente la ribellione scozzese. L’esercito radunato da Robert Bruce era di gran lunga inferiore per numero di uomini e per equipaggiamento, ma la determinazione, il coraggio, la fede ardente fecero sì che le sorti della battaglia – e così della guerra – si volgessero a favore di re Robert.

Sei anni dopo la vittoria di Bannockburn di cui ci ha parlato, nel 1320 i capi dei clan di Scozia si riuniscono al fine di svolgere un’importante e significativa mossa diplomatica; non è vero?

Trascorsi sei anni da Bannockburn, e con la minaccia inglese sempre alle porte, quello che si desiderava ora era sancire, davanti a Dio e agli uomini, il diritto della Scozia ad esistere liberamente nel consesso delle nazioni. Per ottenere questo, scrissero una lunga lettera al Vicario di Cristo, il Papa, esponendo le ragioni delle proprie richieste, chiedendo che fossero da lui legittimate. Questa lettera, nota come La Dichiarazione di Arbroath, è un commovente manifesto dello spirito indomitamente teso alla libertà degli scozzesi, e rimane anche come una significativa testimonianza e una conferma di quanto Chesterton affermava riguardo alle leggende che possono diventare più importanti della stessa storia. “In verità non è per la gloria, non per le ricchezze, non per gli onori che noi combattiamo, ma per la libertà… per quella sola, a cui nessun uomo retto rinuncerebbe, anche a prezzo della vita stessa.” Queste le parole della Dichiarazione, che il Papa approvò.

Ci parli, appunto, del profondo legame tra gli Scozzesi e la Chiesa di Roma, da molti ignorato sebbene si tratti invece di un elemento fondante della cultura di quel popolo…

Nella Dichiarazione di Arbroath gli scozzesi fecero ben di più che dichiarare la propria indipendenza: sottoposero al Vicario di Cristo le proprie istanze e le proprie speranze, facendo consistere il proprio diritto a vivere come uomini liberi unicamente nel proprio retaggio di cristiani. Nel Medioevo alla Scozia venne attribuito dalla Chiesa il titolo di Specialis Filia Romanae Ecclesiae , di cui gli Scozzesi andavano fieri. La religione cattolica concorse fortemente a forgiare l’identità della nazione, a partire dalla stessa bandiera nazionale, la Croce di Sant’Andrea, il patrono di Scozia.

Per quali motivi ritiene che la civiltà scozzese medievale sia stata travolta dalla Riforma Protestante?

I sogni dell’utopia in grado di generare mostri cominciano quindi un po’ prima dell’ora fatidica della Rivoluzione Francese: affondano nel terreno viziato del cosiddetto Rinascimemto e della Riforma. L’aggressione in Scozia venne quindi portata direttamente contro l’esistenza stessa del cattolicesimo: dal calvinismo feroce del predicatore John Knox al progetto di “repubblica utopica” di Oliver Cromwell, il sangue dei martiri prese a scorrere per il paese mentre un intero patrimonio culturale venne devastato e distrutto. Essere patriota aveva sempre significato, per la Chiesa in Scozia, avere a cuore il bene comune della Nazione, la sua crescita morale e spirituale. Come spiegarsi questa catastrofe rapida e pressoché completa? In pochi anni la Riforma era penetrata in Scozia e aveva assunto il volto violento, iconoclasta e sterminatore del calvinismo di

Knox. Il governo inglese aveva ospitato e in seguito sovvenzionato quest’uomo animato da un utopismo rancoroso, che aspirava a realizzare una comunità di perfetti, che adorava il Libro della Parola e detestava ferocemente ogni manifestazione dell’Incarnazione di Dio, a cominciare dall’Eucaristia, che incitava instancabilmente a profanare. Odiava la Messa, che riteneva “un rito superstizioso e blasfemo”; odiava ogni visibile realizzazione della carità. I suoi seguaci in pochi anni rasero al suolo tutti i monasteri e le più insigni chiese e cattedrali. Una civiltà fu ridotta in rovine.

Nel suo libro afferma che “è stata la Scozia a sperimentare per prima il significato del termine pulizia etnica”. Ci spieghi meglio…

Accadde negli ultimi decenni del ‘700, dopo la tragica conclusione dell’ultima insurrezione guidata dal Principe Charles Edward Stuart, il “Bonnie Prince Charlie” delle ballate. Le Highlands, che si erano sempre irriducibilmente opposte all’anglicizzazione e alla protestantizzazione, vennero quasi totalmente “ripulite” dei loro abitanti, che vennero deportati oltre oceano, negli Stati Uniti e, soprattutto, in Canada. Queste operazioni vennero definite dallo stesso governo inglese come “Clearances”, pulizie. Fu il primo esempio di pulizia etnica, volta ad eliminare la stessa presenza in un dato territorio della popolazione autoctona, caratterizzata dall’etnia celtica e dalla fede cattolica.

Lei sostiene che nel corso del XX secolo la presenza cattolica in Scozia è significativamente aumentata. Ritiene che ciò possa aver contribuito alle istanze di libertà che lo scorso 9 maggio hanno vissuto un importante passaggio storico con la vittoria elettorale dello Scottish National Party?
Per molto tempo i cattolici scozzesi, che nel corso del secolo passato sono aumentati di numero soprattutto grazie all’immigrazione degli irlandesi che venivano a Glasgow e dintorni per sfuggire alla miseria che affliggeva la loro terra, hanno dato il loro voto al Partito Laburista, attento alle istanze sociali dei meno abbienti. D’altra parte un patriota scozzese ben difficilmente potrebbe sostenere il Partito Conservatore, che in Scozia si presenta con la dicitura di “Conservatore e Unionista”. Lo Scottish National Party ha progressivamente conquistato la fiducia dell’elettorato scozzese, e certamente molti sono i cattolici che non solo lo votano, ma vi militano e che vi risultano eletti nei vari organismi di livello locale e nazionale. Il che rappresenta, tra le altre cose, anche la possibilità che la Scozia ha di riconciliarsi col proprio passato e con le proprie radici.

fonte: ladestra.info


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