LE ‘NOSTRE’ PAROLE DI ZARATHUSTRA

Postato da Admin il 08 SET 2011

"L’editio sincera di Nietzsche, la collezione “Alter ego” di Ar, che ospita i testi del grande filosofo tedesco con l’originale a fronte, è giunta alla prova decisiva: la versione dello Zarathustra. Opera da far tremare le vene e i polsi per la profondità teoretica, per la purezza stilistica, per il labirinto di echi e rimandi in essa contenuti (illuminati con sorprendente virtuosismo dal Curatore). Il volume (di 590 pagine) vedrà la luce tra qualche mese, ma, data la sua importanza, vi proponiamo di divenirne già sottoscrittori da ora.

LE "CENTURIE NERE" PRECURSORI RUSSI DEL FASCISMO?

Postato da Admin il 28 giu 2011

"Il Fascismo non è nato in Italia e in Germania. Ebbe la sua prima manifestazione in Russia, col movimento dei “Cento Neri”, completo già all’inizio del 900 nelle sue azioni e nei suoi simboli: la violenza politica, l’antisemitismo feroce, i neri stendardi col teschio. “Maurizio Blondet in -Complotti- (Il Minotauro, Milano, 1996, pag.83)...

Steno Lamonica intervista Silvia Valerio

Postato da Admin il 07 SET 2011

Silvia Valerio, ha pubblicato nel 2010 il libro “C’era una volta un presidente”, la fabula milesia dei suoi diciott’anni. Tutt’attorno, eroi, prove, comparse, antagonisti, e qualche apokolokyntosis. "L’invidia… talvolta, in uno di quelli che volgarmente chiamano trip mentali, vedo di fronte a me una nuova versione del Giudizio Universale, un po’ psichedelica e sadica, dove Dio, o chi per lui, affossa ed esalta in base alle reazioni delle anime di fronte a un’opera di Botticelli. Lo so, sono rimasta scioccata da chi al liceo sosteneva che Botticelli i piedi li disegnasse male."

COME IL MONDO ANTICO È DIVENTATO CRISTIANO

Postato da Admin il 27 Set 2011

"Da parte di diversi autori è stato osservato che il cristianesimo si è potuto diffondere con relativa rapidità nel mondo antico, incontrando relativamente poca resistenza, in una maniera che è stata paragonata a un contagio, un'epidemia le cui cause sembrano in qualche modo misteriose, nonostante la sua evidente carica di sovversione e dissoluzione nei confronti del mondo e della cultura antichi.

La Spagna tra Goti Arabi e Berberi in uno degli ultimi scritti di J.A.Primo De Rivera

Postato da Admin il 21 Ott 2011

Ebbe a scrivere Maurice Bardeche in “Che cosa è il Fascismo” (Volpe, Roma, 1980, pag.47) “Il solo dottrinario di cui i fascisti del dopoguerra accettano le idee all’incirca senza restrizioni, non è né Hitler né Mussolini, ma il giovane capo della Falange, il cui destino tragico lo sottrasse all’amarezza del potere ed ai compromessi della guerra”, Frase bellissima come tante altre nel libro del Bardeche, ma che non ha mai completamente convinto chi scrive.(1).

Giovenale, "Satire"

Pubblicato da Admin il 10:56
Giovenale ammette fin dall'inizio che quel che lo spinge a scrivere è l'indignazione verso il degrado della società in cui si trova a vivere (I, 79-80); probabilmente la morte di Domiziano nel 96 lo avrà spinto ad uscire allo scoperto, e anche l'amicizia con Marziale, che gli dedicò diversi epigrammi, dovette spingerlo all'emulazione. L'indignazione gli permette anche di superare i modelli diatribici e retorici (il tipo della suasoria è ironicamente quanto programmaticamente citato nella satira I) su cui sono tecnicamente costruite molte delle sue satire, specialmente negli ultimi libri. Intorno al 100 Giovenale pubblica la prima raccolta di satire, in età relativamente avanzata se, come sembra ragionevole, era più anziano o coetaneo di Marziale. È il suo momento di sbottare: Semper ego auditor tantum? Dovrò sempre stare solo a sentire? (Sat. I,1). I bersagli della satira di Giovenale sono numerosi, provenienti da ogni ceto e da ogni sesso; tutta la società romana del suo tempo è bollata con parole di fuoco. Così i rampolli debosciati dell'aristocrazia, privati del potere sono dediti a tutti i vizi importati dall'oriente quasi a tenerli in soggezione. Allo stesso modo la plebe si mantiene imbelle pascendola e offrendole spettacoli gladiatori e corse (la celeberrima espressione panem et circenses è proprio di Giovenale). Le donne, che sono ormai emancipate e aspirano ad altri ruoli piuttosto che alla filatura della lana nella domus del marito o del padre, sono viste come in preda ad una vertigine di ninfomania, che culmina nel celebre ritratto di Messalina/Licisca nella sesta satira. Gli Orientali sono l'estremo della degradazione umana, siano essi Graeculi che sussurrano nelle orecchie dei loro protettori, togliendo spazi ai buoni romani di stirpe rustica (come l'autore) che così sono ridotti alla vita miserabile del cliente, o Egiziani descritti come poco più che bestie, dedite al cannibalismo. Insomma, l'indignazione di Giovenale, vera linfa della sua creazione poetica, è a ben guardare un sentimento profondamente anacronistico. La società dei suoi tempi infatti vede l'abbassamento dell'antica aristocrazia dominante e l'insorgere delle nuove classi mercatorie, lo spostamento della fruizione culturale dall'élite senatoria a un pubblico più ampio, nuove convenzioni sociali e di costume che permettono un miglioramento nella condizione femminile (sempre parlando di donne libere) al prezzo della rinuncia alle prische virtù. Di tutto questo Giovenale non si avvede, o sceglie di non avvedersene. Ben pochi si salvano nell'oscuro universo tratteggiato nelle satire; un Amico che decide di abbandonare la pericolosa e corrotta Roma (III), un ritratto vivido e umoristico di un povero gigolo, Nevolo, dedito a sollazzare nobili invertiti e le loro vogliose matrone, che si lamenta del suo destino e anela a un'impossibile "redenzione" (IX): in pochi squarci lirici delle satire vediamo una rappresentazione idealizzata ma commossa della vita nei municipia, nelle antiche e un po' dimenticate città italiche come Aquino, sua patria. In una cittadina assistiamo a una rappresentazione teatrale, col pubblico che assiste rapito, ben diverso dallo smaliziato e schizzinoso pubblico dell'Urbe, e con i maggiorenti confusi e indistinguibili tra la folla (III). Ancora in questo "filone" dell'arte di Giovenale assistiamo nella satira XI all'evocazione di un banchetto che intende offrire a un amico (il topos è ovviamente quello messo alla berlina nel celebre epigramma di Catullo), in cui si descrive la mensa del poeta, non misera, non inutilmente fastosa, carica di pietanze non ricercate, ma sane e di buon sapore, servite da schiavi ben vestiti, perché non soffrano il freddo, che serviranno come meglio possono, ma capiscono il latino. Ma è nelle pagine sulfuree, più cariche di bile non smaltita, che l'arte di Giovenale colpisce il lettore, come nelle pagine compiaciute in cui descrive le notti brave delle matrone romane che hanno gettato al vento ogni ritegno, o quando descrive l'adunata dei consiglieri imperiali che si affretta per discutere del miglior modo di cuocere un rombo donato a Domiziano. Si può facilmente ironizzare sulle ragioni che spinsero Giovenale a descrivere così violentemente la sua epoca, ma non si può non restare colpiti dalla potenza delle sue immagini fosche e lutulente.


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